La professoressa Isabella Milani è online

La professoressa Isabella Milani è online
"ISABELLA MILANI" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy dei miei alunni, dei loro genitori e dei miei colleghi. In questo modo ciò che descrivo nel blog e nel libro non può essere ricondotto a nessuno.

visite al blog di Isabella Milani dal 1 giugno 2010. Grazie a chi si ferma a leggere!

SCRIVIMI

all'indirizzo

professoressamilani@alice.it

ed esponi il tuo problema. Scrivi tranquillamente, e metti sempre un nome perché il tuo nome vero non comparirà assolutamente. Comparirà un nome fittizio e, se occorre, modificherò tutti i dati che possono renderti riconoscibile. Per questo motivo, mandandomi una lettera, accetti che io la pubblichi. Se i particolari cambiano, la sostanza no e quello che ti sembra che si verifichi solo a te capita a molti e perciò mi sembra giusto condividere sul blog la risposta. IMPORTANTE: se scrivi un commento sul BLOG, NON FIRMARE CON IL TUO NOME E COGNOME VERI se non vuoi essere riconosciuto, perché io non posso modificare i commenti.

Non mi scrivere sulla chat di Facebook, perché non posso rispondere da lì.

Ricevo molte mail e perciò capirai che purtroppo non posso più assicurare a tutti una risposta. Comunque, cerco di rispondere a tutti, e se vedi che non lo faccio, dopo un po' scrivimi di nuovo, perché può capitare che mi sfugga qualche messaggio.

Proprio perché ricevo molte lettere, ti prego, prima di chiedermi un parere, di leggere i post arretrati (ce ne sono moltissimi sulla scuola), usando la stringa di ricerca; capisco che è più lungo, ma devi capire anche che se ho già spiegato più volte un concetto mi sembra inutile farlo di nuovo, per fare risparmiare tempo a te :-)).

INFORMAZIONI PERSONALI

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La professoressa Milani, toscana, è un’insegnante, una scrittrice e una blogger. Ha un’esperienza di insegnamento alle medie inferiori e superiori più che trentennale. Oggi si dedica a studiare, a scrivere e a dare consigli a insegnanti e genitori. "Isabella Milani" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy degli alunni, dei loro genitori e dei colleghi. È l'autrice di "L'ARTE DI INSEGNARE. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi", e di "Maleducati o educati male. Consigli pratici di un'insegnante per una nuova intesa fra scuola e famiglia", entrambi per Vallardi.

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martedì 25 dicembre 2012

BUONE FESTE A TUTTI!!


Cari lettori, amici, colleghi, non pensiamo a nulla in questi giorni! Godiamoci le feste con familiari, parenti e amici! Approfittiamo per stare un po' insieme, fare strappi alle regole, esagerare un pochino! 
In questi giorni non guardiamo i telegiornali, dove ricominciano già i litigi e gli insulti che per un po' avevamo dimenticato.
Pensiamo solo alle cose belle, ricarichiamo le nostre batterie di insegnanti, per riprendere in forze il nostro lavoro che - sembriamo saperlo 
solo noi - è bello, ma molto molto faticoso.
Vi auguro un 2013 meraviglioso e pieno di cose belle!
Un abbraccio affettuoso e un grazie a tutti quelli che mi seguono sempre :-)

domenica 16 dicembre 2012

(è un po' pasticciato, ma dovete accontentarvi! :-) )

AUGURO A TUTTI UN BELLISSIMO NATALE E DELLE FESTE DIVERTENTI! 
PER QUALCHE GIORNO NON PENSIAMO ALLA CRISI, E GODIAMOCI I FAMILIARI, E TUTTI GLI AMICI E I PARENTI CHE TRASCORRERANNO CON NOI QUESTI GIORNI!


venerdì 14 dicembre 2012

Nuova RECENSIONE al libro! Leggetela!


5.0 su 5 stelle Un ottimo aiuto!13 dicembre 2012
Questa recensione è su: Consigli Pratici Per Giovani Insegnanti (Brossura)
Ho aspettato un po' per scrivere questa recensione perché volevo provare "sul campo" la lettura di questo fantastico libro.
Innanzitutto da ogni pagina traspare l'amore dell'autrice per la scuola e in particolar modo per gli studenti, si percepisce infatti la sua vocazione all'insegnamento. Questa cosa non è da dare per scontata o da sottovalutare perché ciò che prima di tutto deve fare un insegnante è avere una grande sensibilità che le permetta di comprendere umanamente un ragazzo apparentemente indisciplinato e domandarsi il motivo di quell'atteggiamento. Ciò su cui l'autrice cerca di far riflettere in ogni capitolo è l'uscire da se stessi e imparare a guardare i propri studenti in profondità anche quando verrebbe più facile ricorrere a rapidi provvedimenti!
Da neolaureata ho cominciato ad insegnare a settembre in una classe di ragazzi "difficili" e mi trovo costantemente ad affrontare i problemi trattati dalla scrittrice nel libro (e del blog, di cui consigli la lettura, dove sono approfonditi molti temi del libro e vengono trattati molti altri temi!); e questo libro (insieme al blog) è venuto spesso in mio soccorso: mi sono trovata più volte a mettere in pratica con grandi successi tanti dei suoi consigli!
E' un libro che non ci si stanca mai di leggere e che soprattutto va letto e riletto in modo da interiorizzare i suggerimenti, che con la pratica verranno spontanei.
Per un insegnante, e soprattutto per un insegnante alle prime armi come me, questo libro è fondamentale per riflettere e per non trovarsi disarmati di fronte a tante situazioni comuni, che grazie ai consigli pratici offerti possono essere risolte di giorno in giorno. E' una vera e propria guida che accompagna e aiuta a crescere gli insegnanti, soprattutto quelli che non hanno avuto la fortuna di avere professori esperti in grado di raccontargli la bellissima, ma difficile realtà scolastica.

mercoledì 12 dicembre 2012

I nuovi commenti...

Cari lettori, qualcuno sa spiegarmi perché non funziona più, qui nel blog, la stringa dove compaiono gli ULTIMI COMMENTI ?
O qualcuno sa consigliarmi qualche sistema per fare in modo che tutti possano accorgersi della presenza di un nuovo commento?
Effettivamente, era comodo :-)

Grazie!


venerdì 7 dicembre 2012

Sto lavorando a una nuova versione del libro..! 341°

Cari lettori, sto lavorando ad una nuova versione, ampliata, del libro.
Se avete richieste o suggerimenti riguardo a quello che potrei approfondire o aggiungere, FATEVI AVANTI!  Potete scrivermi tutti, anche al mio indirizzo professoressamilani@alice.it
Grazie!
Consigli pratici per giovani insegnanti

giovedì 6 dicembre 2012

Se la scuola diventa “il posto delle sofferenze”. 340°

Ennesima terribile notizia di comportamenti omofobici a scuola: dopo Andrea che si impicca per non dover più rispondere ai compagni e agli insegnanti dei suoi pantaloni rosa e delle sue unghie laccate, Francesco racconta i suoi sei anni di calvario. Il calvario di un gay.  Uno dei tanti.
"Frocio", "finocchio", "checca", “errore della natura”. Scritte sui muri, messaggi sul cellulare, che corrono da uno all'altro perché tanto non costano nulla.  Umiliato, preso in giro, sbeffeggiato, giorno dopo giorno dopo giorno, per sei anni.
Gli viene chiesto se gli insegnanti lo aiutavano, lo difendevano. Assolutamente no. Anzi, alcuni insegnanti facevano anche loro stupide battute sui “finocchi”.
“A scuola era sempre la solita musica, la vedevo e la vedo ancora come il posto delle sofferenze, delle umiliazioni.”, racconta Francesco.
Insegnanti, colleghi che leggete: se la scuola diventa “il posto delle sofferenze” possiamo chiudere tutte le scuole. Noi siamo quelli ai quali vengono affidati i ragazzi, quelli che dovrebbero proteggerli dalle brutture, quelli che dovrebbero insegnare a diventare persone giuste, civili, corrette, oneste. Come possiamo permettere questo? Come possiamo voltarci dall'altra parte, lavarcene le mani?
Ogni insegnante incontra spesso, faccia a faccia, il dolore, la sofferenza, la solitudine dei ragazzi. Alla scuola materna, elementare, media. Ma soprattutto alla scuola superiore, quando la vita è ormai avviata e ogni dolore è ormai diventato cronico. E con quale coraggio lasciamo solo un ragazzo che soffre, ignoriamo il suo problema, o, addirittura, lo peggioriamo tenendo gli stessi comportamenti stupidi degli ignoranti? Quando lasciamo solo un bambino o un ragazzo che soffre, perseguitato, o picchiato, o violentato, o "terribilmente"  gay, noi siamo complici. Complici di chi pensa che “essere gay” sia una scelta, un “errore della natura” di cui vergognarsi.
Gli omosessuali fanno paura. Come facevano paura le streghe. Come fanno paura le malattie, il buio e tutto quello che c'è dentro. Come fa paura l'ignoto. E l'ignoranza è circondata dall'ignoto. E le paure vengono esorcizzate con parole che, umiliando il bersaglio, allontanano da sé la possibilità di essere “confusi” con i finocchi. Gli stupidi insegnano ai bambini e ai ragazzi che “essere gay” è una cosa davvero brutta, una disgrazia. Chi è gay deve nascondersi, perché è una donnetta di cui ridere, un depravato da evitare come la peste, perché “forse si attacca”, perché “se ti vedono con quello lì la gente pensa che tu sia ‘così’.”
Noi abbiamo il dovere di conoscere che cosa significa "essere omosessuale", esattamente. Non , per sentito dire. E si deve cominciare a parlarne, come di una caratteristica e non come di una "cosa strana e anormale".
La scuola dovrebbe essere un luogo dove il ragazzo sta bene, e dove chi proviene da ambienti sociali difficili, può sentirsi al sicuro, protetto; dovrebbe essere un luogo dove scoprire che il mondo non è tutto marcio, e dove si dimentica quello che ci fa soffrire.
Insegnanti, colleghi, quando andate a scuola, domani, guardatevi intorno e rendetevi conto del fatto che sicuramente, in tutte le aule, le biblioteche, i laboratori, le  palestre ci sono degli omosessuali. Cercate chi soffre e aiutatelo. Perché questo è il nostro lavoro.
Combattete al fianco di quei ragazzi, perché possano essere se stessi, vestire come sentono di vestire, senza vergognarsi come ladri. Fate loro capire che i giornalisti che massacrano gli attori, i cantanti, i presentatori che fanno coming out, sono solo degli opportunisti che trasformano il normale in anormale, e alimentano gli scandali che fanno vendere. Fate loro capire che quando nei reality show vengono scelti degli omosessuali che fanno urletti acuti quando inciampano, non lo fanno perché per loro i gay sono uguali agli altri, ma perché sperano che i telespettatori, ridendo di loro, facciano alzare lo share. Come se i gay fossero delle macchiette di cui ridere. Spiegate con grande convinzione che gli omosessuali sono persone come tutte le altre e non fenomeni da baraccone. Che quando uno chiama “finocchio” un altro non sta dicendo “una parola che non si dice”, come se avesse semplicemente detto “merda”. Chiamare una persona “finocchio” è una cosa orribile, e non deve essere tollerato. Se notate in classe anche soltanto un sorrisino, un ammiccamento fra due alunni, riferito ad un omosessuale, al concetto di "omosessualità", alla parola stessa, anche in altri contesti, la vostra reazione dovrà essere di molto decisa, adeguata a un sopruso, a una violenza. La tolleranza deve essere zero verso tutte le forme di emarginazione, di persecuzione, di bullismo, omofobico e non.

Perciò, vergognatevi, insegnanti che continuate a fingere che non siano affari vostri, che "sono cose delicate che riguardano solo la famiglia", che in consiglio di classe ci scherzate su, che pensate che se un ragazzo sembra una ragazza potrebbe anche evitare di vestirsi di rosa, altrimenti “se l’è cercata”.
Abbiamo il dovere di aiutare i ragazzi, perché siamo insegnanti. Abbiamo il dovere di insegnare a tutti che l’omosessualità è soltanto una caratteristica, e non una malattia o una perversione.
Se un ragazzo effeminato vi fa ridere, o se permettere a qualcuno di umiliare e sbeffeggiare un compagno, cambiate lavoro.

mercoledì 5 dicembre 2012

Se volete regalare il libro di Consigli pratici prenotatelo adesso!


Ricordo che questo è il momento di comperare il libro di Consigli pratici, se volete regalarlo a Natale. Non comperatelo su LULU nella versione cartacea, perché non arriva più in tempo. Prendetelo su Amazon.


Ho già spiegato tutto qui


martedì 4 dicembre 2012

“Non ho ancora imparato a fronteggiare la maleducazione senza perdere la calma”. 339°


Chiara scrive:

“Contro la maleducazione mi sento del tutto impotente e inadeguata.
Insegno in due classi. In una di queste sto costruendo un buon clima educativo e comunicativo, e i ragazzi mi rispettano e mi ascoltano. Nell'altra non ci sto riuscendo e, nonostante i miei numerosi sforzi, ogni giorno è una lotta e uno scontro da cui esco sfibrata, arrabbiata, sconfitta...e con la voce affaticata.
Le mie due classi sono simili, entrambe numerose ed eterogenee, ma nella seconda i ragazzi sono molto maleducati. 
Ecco: io non ho ancora imparato a fronteggiare la maleducazione senza perdere la calma. E questo è un mio grosso punto debole. Che questi ragazzi maleducati hanno scoperto e di cui stanno approfittando. Chiara.”

Bisogna proprio che spieghi un concetto: se con "perdere la calma" tu intendi che ti metti ad urlare scompostamente, senza avere più il dominio di te stessa, lasciandoti andare a frasi offensive, o a frasi pronunciate al limite del pianto, allora dico che assolutamente non devi farlo.
Ma se con "perdere la calma" tu intendi che provi rabbia e cominci a rimproverare il ragazzo con vigore, mostrando a lui e ai compagni che sei molto arrabbiata perché sono stati maleducati e ti hanno mancato di rispetto, io dico che è normale. Anzi, è giusto. Non possono passarla liscia. Non devono. Non possono pensare di poterlo ripetere. Non devi permettere le scorrettezze, neanche per una volta. Se lo permetti una volta poi si aspettano che tu lo permetta sempre. E se tu riprendi la lezione o, peggio, non la interrompi neppure, hai già perso.
L'importante è che tu, dentro di te, sappia che se quel ragazzo si comporta così un motivo ce l'ha; l'importante è che tu non perda il controllo. Nessuno riesce a rimanere calmo e tranquillo di fronte ad un maleducato. E neanche di fronte ad un bullo. Neppure io ci riesco. Solo che io, quando mi arrabbio, mi arrabbio in superficie, mi secco, mi irrito (specialmente se sono molto stanca), ma mai abbastanza da dimenticare che ho il dovere di trovare una soluzione, e che quel maleducato è figlio di maleducati, o nipote di maleducati o frutto di situazioni difficili o di ambienti socialmente e culturalmente deprivati.
Arrabbiati pure, Chiara, ma senza perdere il controllo, senza astio (che trasparirebbe senz’altro dai tuoi occhi, e ti tornerebbe indietro come un boomerang). E se ti accorgi che stai perdendo il controllo, trova un sistema per interromperti, per esempio, guarda l’orologio, poi chiama un bidello e chiedigli di guardarti un momento la classe perché devi “andare in segreteria”. Girati poi verso il ragazzo maleducato e digli “Sei fortunato che adesso mi aspettano in segreteria. Ma torno subito: mentre sono via, rifletti bene a quello che hai fatto e chiediti se il tuo è un comportamento giusto e accettabile.” Esci, calmati, pensa a come fare e poi torna.
Quando rientri in classe, chiama il maleducato sulla porta e parlagli. “Ma come mai, Bianchi, ti stai comportando così male? Sto cercando di aiutarti ma è molto difficile…Sei stato molto scorretto. Perché lo hai fatto? Vuoi sentirti importante? Vuoi far ridere gli altri? Se è per questo, ricordati che, poi, loro vengono promossi e tu rimani simpaticamente bocciato…” ecc.
Siamo insegnanti, siamo professionisti, non santi. E soprattutto, non siamo gli zimbelli di nessuno.
Fammi sapere!

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venerdì 30 novembre 2012

“La maestra urla ‘stupido’ e ‘cretino’ ai bambini”. 338°

Teresa mi scrive:
“Gentilissima professoressa, sono la mamma di un bambino di 2 elementare la cui maestra è solita apostrofare i bambini con urla e con parole "stupido" e "cretino". i bambini temono ritorsioni perché la maestra ha detto loro che non devono parlarne in casa, sono "cose" che devono rimanere in classe... Cosa possiamo fare noi genitori? La ringrazio. Teresa.”

Cara Teresa, è semplice. Prima di tutto mi assicurerei che quello che dice tuo figlio sia la stessa cosa che raccontano gli altri bambini. E' accaduto spesso che i bambini modificassero le parole dette dagli insegnanti, suggestionati dalle parole di qualche adulto. Se le urla accompagnate da  "stupido" e "cretino" risultano vere, scrivete (tu e altri genitori) una bella lettera (con richiesta di protocollo) al dirigente. Spiegate con precisione (proprio le parole esatte dei bambini)tutto quello che raccontano i bambini, senza aggiungere vostre considerazioni e senza accusare la maestra. Aggiungere qualcosa così: "Le chiediamo di verificare quello che accade in classe e, se fosse vero -  di prendere provvedimenti affinché non accada mai più e non si verifichi che la maestra in questione rimproveri i bambini per non aver rispettato il suo ordine di non parlarne a casa.
Nel caso la maestra neghi, sarà nostra cura attivarci per capire come è possibile che tanti bambini così piccoli siano capaci di mentire tutti allo stesso modo. 
Sicuri che lei, che ha la responsabilità di ciò che accade nella scuola che dirige, si attiverà per risolvere il problema, la ringraziamo e restiamo in attesa di una sua pronta risposta scritta".
Fammi sapere.

Per quanto riguarda gli insegnanti che si rivolgono ai bambini e ai ragazzi urlando “stupido” e “cretino”, desidero dire loro “Cambiate lavoro!”
Se non avete ancora capito che per nessun motivo dovete usare parole offensive, neanche davanti al più scatenato dei bambini e al più maleducato e straffottente dei ragazzi, allora cambiate lavoro. Non potete essere educatori.  I vostri alunni, soprattutto i più piccoli, stanno costruendosi l’autostima che servirà loro per affrontare la vita, per resistere alle sconfitte e agli insuccessi, per rialzarsi dopo ogni caduta. Se trattate male un alunno, se gli dite “cretino”, “stupido”, “deficiente”, “non sai fare niente”, “sei il solito scemo”, voi distruggete la sua autostima. Distruggete le basi sulle quali poggia la sua felicità. Fate un danno enorme.
Non dovete fare gli insegnanti. Non potete assolutamente considerarvi degli educatori, perché voi stessi siete dei maleducati. 

lunedì 26 novembre 2012

“Mio figlio soffre ad andare a scuola”. 337°

Gina mi scrive:

“Buongiorno professoressa
sono la mamma di un ragazzo di 12 anni, frequenta la II media, in un piccolo paese della provincia di Cuneo.
 E' un ragazzo che è sempre (fin dalla materna) risultato strano e fuori posto, questo a detta di tutte le insegnanti che ha avuto: molto intelligente (forse troppo), solitario, asociale (nel senso di vera incapacità a relazionarsi con i compagni), insofferente alle perdite di tempo e alla confusione della classe ....solitario, asociale, certificazione, derisione
Noi genitori e parenti gli siamo sempre stati vicini, anche con l'aiuto di vari specialisti (neuropsichiatri infantili e psicologi).
Alla fine di questo percorso finalmente abbiamo trovato un medico che sta cercando di aiutarlo e aiutarci avendo capito che il suo è un caso di sindrome di asperger ad alto rendimento.
Il problema è che ora che sono in fase adolescenziale, tutti i suoi  compagni (che sono gli stessi fin dalla materna) lo hanno definitivamente catalogato come strano, diverso e solo (= vulnerabile). Tutte le ore di lezione avvengono tra la confusione generale e in  questo clima mio figlio subisce continue vessazioni verbali da parte del solito gruppetto trascinante, seguite dall'ilarità generale della classe. In tutto questo viviamo il totale silenzio degli insegnanti.
 Dietro mia richiesta di aiuto esplicita da alcuni ho ricevuto espressioni di sorpresa (non si erano accorti di nulla) da altri false  intenzioni di monitoraggio.
Ma nulla è cambiato... lo continuano a mettere a fianco dei compagni più accaniti nei suoi confronti (forse per fortificarlo?) e il risultato è che mio figlio  non vuol più andare a scuola ed ha continuamente mal di testa e di pancia.
 Stiamo pensando di cambiargli scuola, ma mi chiedo se sia giusto che per non avere la capacità e la forza di farsi rispettare dalla classe debba pagare il più debole!. Saluti. Gina”

Cara Gina,
gli insegnanti e il dirigente sono obbligati a concentrarsi sul problema se tu fornisci loro, non solo le tue parole (che dovrebbero bastare perché un ragazzino con la sindrome di Asperger si dovrebbe riconoscere facilmente) ma una certificazione scritta.
Non cambiarlo di scuola, perché non hai alcuna garanzia che quello che accade lì non si ripeta altrove. Dunque: chiedi allo specialista una certificazione scritta con qualche indicazione da seguire. Consegnala in triplice copia (una al coordinatore, una al dirigente e una per il suo fascicolo personale) e chiedi esplicitamente che se ne parli al più presto in consiglio di classe, (scrivi “perché mio figlio mostra segni di forte disagio nei confronti dell’ambiente scolastico, dove, fin dall'inizio dell’anno, è fatto oggetto di atti di bullismo”). Aspetta quindici giorni, per vedere se gli insegnanti hanno preso dei provvedimenti a protezione di tuo figlio. Se non cambia nulla scrivi al dirigente e, per conoscenza, al consiglio di classe (con richiesta di protocollo) esprimendo la tua preoccupazione perché, pur avendo segnalato ai docenti i problemi di tuo figlio, e, per completezza di informazione,  consegnato la certificazione, il ragazzo continua a subire in classe spiacevoli derisioni, che hanno delle conseguenze sul suo stato di salute. Aggiungi: “Poiché credo che uno dei compiti del dirigente e degli insegnanti  sia quello di salvaguardare il benessere psicofisico degli alunni, auspico che la situazione venga tenuta davvero sotto controllo dagli insegnanti e dal dirigente, e spero che, agli alunni che continuassero a tenere atteggiamenti da bulli,  venga insegnato che non si può fare.”.
Anche se non ci sono risorse, in casi come questo gli insegnanti devono combattere perché vengano assolutamente trovate. Non si può lasciare un bambino in balia dei bulli.
Cara Gina, in casi come questi bisogna combattere perché vengano trovate soluzioni. 
Fammi sapere!

domenica 25 novembre 2012

AVVISO: NUOVA OPZIONE

Cari lettori, ho aggiunto una nuova possibilità, tanto per vedere se è utile: potete inserire il vostro indirizzo mail nella stringa sotto al contatore visite e verrete avvertiti ogni volta che c'è un nuovo post.
Fatemi sapere se può servire :-)
Grazie!

giovedì 22 novembre 2012

Gli alunni difficili sono ragazzi che soffrono. Terza parte. 336°

Gli alunni difficili sono ragazzi che soffrono.
Non parlo dei ragazzi che dicono parolacce, che stanno scomposti nei banchi, che ridono fra loro. Quelli sono i maleducati. Sono quelli abituati a credere che tutto è dovuto, che la fatica deve essere evitata, che il rispetto è una cosa da vecchi. A quelli bisogna insegnare che non possono fare quello che vogliono e, a quelli più grandi, che, se non studiano, vengono bocciati.
Non parlo neanche dei ragazzi che hanno una certificazione di handicap. Se vogliamo aiutarli davvero dobbiamo adeguarci alla sindrome dalla quale sono affetti; dobbiamo studiare il loro problema e come possiamo aiutarli.
Parlo di quelli – tantissimi – che sono affetti da sindromi varie che non vengono riconosciute, che non vengono certificate o che vengono ignorate per comodità, sia dagli insegnanti che dai genitori .
Quando abbiamo davanti venticinque o trenta alunni, è difficile capire davvero, in quelli “che non seguono e non rispettano le regole”, dove finisce l’ignoranza, la svogliatezza,  e dove comincia la patologia. Chi non insegna non ha neppure una vaga idea di quanti alunni pieni di problemi ci siano in una classe. Problemi che spesso non sono evidenti agli occhi dei non esperti (spesso anche ai nostri), come la dislessia, la disgrafia, disortografia, la discalculia, che possono essere scambiati per mancanza di studio o mancanza di attenzione. Nella Scuola, quello che non è certificato non esiste.
E quegli alunni, allora, vengono sgridati – da noi e dai genitori - perché non leggono bene, perché fanno troppi errori, perché sbagliano i calcoli. O a chi, dislessico, se non capisce alla prima, se rimane indietro quando dettiamo, diciamo "Come mai non hai capito? Eri distratto!" oppure "Sei rimasto indietro! Stai più attento!".
Alcuni bambini impugnano la penna in modo assurdo, in realtà perché magari hanno problemi di disgrafia, hanno disturbi motori veri, e difficoltà oculo-manuali. Ma vengono rimproverati, obbligati a ricopiare. Quando vengono i genitori diciamo loro “il bambino ha una calligrafia pessima!”; e sul quaderno gli scriviamo “devi scrivere meglio!”. E la mamma, a casa, lo sgrida, gli strappa la pagina e gliela fa ricopiare. Per un bambino, un ragazzino delle medie, non ha ancora la capacità di spiegare che proprio non gli riesce anche se vorrebbe, di esternare il suo malessere in modo pacato: o tace e ingoia, o urla e picchia.
Spesso sono i bambini difficili, quelli che scrivono male, che sono disordinati, che scrivono troppo grande, fuori dalle righe. E noi li rimproveriamo, diamo loro brutti voti. E ci convinciamo che basterebbe un po’ di attenzione per migliorare. Ma forse – probabilmente - non possono proprio.
Che cosa proveremmo, noi, se venissimo rimproverati continuamente, da tutti e per anni, per qualcosa che non riusciamo a controllare? Io credo che forse diventeremmo anche noi “difficili”. E certo la nostra autostima sarebbe piuttosto bassa.
Possiamo fare del male anche senza volerlo. Se non riconosciamo le difficoltà obiettive di un alunno e non facciamo nulla per lui perché chiamiamo “mancanza di impegno”, “mancanza di studio adeguato”, “mancanza di basi” i suoi insuccessi scolastici , gli stiamo facendo del male. Dobbiamo studiare i problemi di apprendimento che possiamo incontrare negli alunni, conoscerli, altrimenti rischiamo di farli soffrire.

Voglio parlare anche dei ragazzi che si comportano malissimo: quelli che vi sfidano apertamente, che vi rispondono male come se voi foste il nemico da combattere. Quelli che si divertono a irritare con scherzi e dispetti i compagni, quelli che, accusati, vanno su tutte le furie, quelli che prendono in giro tutti, che si rifiutano di seguire le regole. Quelli che guardano con odio chiunque li sfiori, che si mettono le cuffie per farvi vedere che non vi stanno ascoltando; quelli che si picchiano e che picchiano. I ribelli. Quelli che fanno proprio di tutto per farvi saltare i nervi.
Potrebbero essere affetti da un disturbo patologico: per esempio il disturbo oppositivo provocatorio. Ma se è qualcosa di patologico, che colpa ne hanno, se reagiscono urlando, se non rispettano le regole – nessuna regola - , se sono aggressivi e violenti? Molti insegnanti non si sono mai preoccupati di aggiornarsi, e, quando qualcuno avanza il dubbio che un certo alunno difficile potrebbe essere affetto da un disturbo patologico, rispondono, seccati “Macché disturbo! È solo un gran maleducato e un mezzo delinquente!”. E il caso è chiuso.
I ragazzi che si comportano male potrebbero essere ragazzi che non hanno nessuna autostima, che soffrono di solitudine, di depressione, di fobie. Forse hanno subito violenze. Potrebbero, quando vanno a casa, assistere alle botte che il padre dà alla madre; potrebbero essere sballottati da un parente ad un altro, e vivere una vita sbandata, senza punti di riferimento, senza affetto. Forse hanno vissuto traumi o abbandoni. O hanno una vita piena di problemi, economici, familiari. E quando uno ha la pancia vuota, quando ha la mamma malata, quando il padre non c’è perché ha mollato tutto e se ne è andato tanti anni prima o quando a casa non arriva più lo stipendio, non si ha molta voglia di studiare, e non si è dell’umore migliore per stare attenti e comportarsi bene.
Non dobbiamo mai dimenticare che gli alunni hanno una famiglia, e che a casa possono vivere l’inferno. Allora diventano cattivi con il mondo intero; a casa prendono calci e pugni e li restituiscono a scuola al primo che capita. Forse non hanno mai avuto affetto e attenzione e cercano di averli a scuola, e si comportano male per avere l’ammirazione dei compagni e l’attenzione (anche se in modo negativo) dell’insegnante. I ragazzi, anche quelli che sghignazzano forte nel bel mezzo della lezione, possono essere gravemente depressi. E più rispondono male, più appaiono prevenuti e aggressivi, e più dobbiamo sospettare che stiano soffrendo.
Solo se li vedremo così, riusciremo ad accettarli e ad aiutarli.
E allora? Dobbiamo accettare tutto? Promuovere tutti? No, certo! dobbiamo rimproverare con forza chi si comporta male. Ma con il tono di chi sa che quel rimprovero è necessario, e con la consapevolezza che tutti hanno diritto di essere aiutati.
I ragazzi davvero problematici sono molto difficili da accettare, perché con il loro comportamento provocano in noi rabbia, frustrazione e stanchezza. 
Ma per riuscire a gestirli bisogna accettarli e capirli. Solo se sentiranno il nostro interesse e la nostra comprensione riusciranno ad imparare a fidarsi di noi.  E le cose miglioreranno. Per loro e per noi.


Prima parte qui.

Seconda parte qui.

domenica 18 novembre 2012

Gli alunni difficili sono ragazzi che soffrono. Seconda parte. 335°

Un lettore Anonimo mi scrive:


“Non tutti i ragazzi difficili hanno un disagio, ad esempio vi sono ragazzi figli di professionisti e assai benestanti che però si comportano male e non studiano e poi vanno alle scuole paritarie dove a volte si fanno due anni in uno ed olè, vanno lì solo per sfoggiare abiti firmati, vestiti alla moda e telefonini, tanto hanno il diploma assicurato. Non mi sembrano poi così disagiati quei ragazzi.”
Ecco, questo è un concetto importante: una persona qualunque – non un insegnante, non un genitore, e quindi non una persona informata dei fatti – interviene e dice il contrario di quello che dico io “i ragazzi che si comportano male e non studiano non mi sembrano poi così disagiati”.
Tutti vogliono dire la loro, nella “società dei tuttologi”. Chiunque ne vuol sapere più del medico, più dell’avvocato, più dell’allenatore della nazionale, e, naturalmente, più dell’insegnante.
Qui il lettore, anonimo, naturalmente, è sicuro che i vestiti firmati e i telefonini siano la prova del fatto che quei ragazzi non hanno problemi. Come se i problemi fossero solo quelli economici, e le soluzioni stessero tutte nel possesso di denaro e di oggetti. Ridicolo.
È un problema comune: la maggior parte delle persone, come questo signore, non vuole credere al fatto i ragazzi che si comportano male sono  “ragazzi che hanno un disagio, che hanno sofferto, che soffrono”. Anche molti insegnanti la pensano così:  “è inutile, è tempo perso. Non ha voglia di studiare, è un mezzo delinquente. Eppure non gli manca niente, è figlio di un medico” Oppure: “Non studia. Non ha i soldi per comperare i libri, ma i soldi per il telefonino, quelli, ce li ha!” “Che problemi ha? È soltanto viziato”. Ridicolo.
Forse non è chiaro quello che intendo con “ragazzi difficili”.
Per esempio: non parlo dei ragazzi che studiano poco. Con quelli possiamo far leva sugli insegnamenti che hanno già ricevuto a casa e possiamo (dobbiamo) fare lezioni interessanti, per convincerli a studiare.
Parlo di quelli che non aprono il libro, che non portano a scuola il materiale necessario per seguire le lezioni. Sono quelli che vivono in ambienti culturalmente deprivati: non aprono il libro perché dalla nascita hanno avuto, a casa, degli stimoli culturali sempre molto inferiori a quelli necessari all'apprendimento  La loro incapacità di stare al passo con gli altri viene spesso scambiata per deficit mentale ("non capisce niente!"). Nonostante ciò, gli insegnanti continuano a chiedere a questi bambini prestazioni che non possono dare, e provocano in loro, così, un grande senso di frustrazione, di rabbia e di rancore, e la perdita della fiducia in se stessi:  questi bambini, questi ragazzi si sentono “diversi”, si sentono “rimproverati” e non capiscono il motivo del rimprovero, e così perdono fiducia nella Scuola, negli insegnanti, e si distaccano da tutto quello che è legato alla parola “scuola”.
La Scuola italiana non considera questi ragazzi “portatori di handicap”, sociale e culturale, come dovrebbe fare. Non c’è spazio per loro e l’unica soluzione che trova e vuole è quella di bocciarli. Non c'è spazio per questi discorsi che faccio, perché, se venissero ascoltati, lo Stato dovrebbe impegnare molte più risorse (invece le diminuisce) e gli insegnanti dovrebbero impegnarsi molto di più, a capire e a studiare.
Mi si dirà: “E allora? Dobbiamo promuovere tutti?”. Rispondo: nella scuola dell’obbligo possiamo far ripetere l’anno ai ragazzi che studiano poco perché presi da altri interessi, ma che hanno ricevuto a casa una sufficiente dose di stimoli culturali. A loro può essere utile essere bocciati, per capire che non si può fare solo quello che si vuole.
Ma i ragazzi che sono vissuti in un ambiente senza stimoli no, non devono essere bocciati. Non finché la scuola italiana rimarrà come è oggi. Non serve a nulla.
Nella scuola post obbligo,  se, dopo averli aiutati, non hanno recuperato, dobbiamo far ripetere l’anno: promuovere chi ha molte lacune crea solo una marea di futuri lavoratori incompetenti.
Quelli che sono estranei al mondo della Scuola (che però vuole esprimere giudizi e condanne) sono convintissimi che basti dire a quei ragazzi “Studia!” per vederli studiare. E troppi insegnanti si offendono se pronunciano la formula magica “Devi studiare!” e non funziona. Sono convintissimi che basti punirli, riempirli di note sul diario e sul registro, usando poi la bocciatura come condanna, per farli pentire di non aver studiato.  Ridicolo. E molto ingiusto.

domenica 11 novembre 2012

Se a NATALE volete regalare i "CONSIGLI PRATICI PER GIOVANI INSEGNANTI questo è il momento!

SE A NATALE VOLETE REGALARE  IL FAMOSO LIBRO DI ISABELLA MILANI, CONSIGLI PRATICI PER GIOVANI INSEGNANTI, questo è il momento.

More about Consigli pratici per giovani insegnanti
Cari colleghi, questo è un "manuale dell'insegnante", un libro di consigli pratici,che può esservi utile se siete giovani insegnanti, finché non avrete fatto esperienza sul campo. Ma credo che possa essere molto utile e offrire spunti di riflessione anche se insegnate già da anni, e perfino se siete genitori di ragazzi che frequentano la Scuola. 
Il libro ISABELLA MILANI: CONSIGLI PRATICI PER GIOVANI INSEGNANTI si può trovare sia nella versione ebook (solo su LULU),che nella versione cartacea. Per acquistarlo nella versione cartacea, potete richiederlo, scontato e con spese di spedizione decisamente inferiori a quelle di LULU, (o senza spese di spedizione per ordini superiori a € 19) su AMAZON

Se ne volete una sola copia, comperatelo insieme ad un vostro collega, così risparmiate le spese di spedizione. Oppure regalate il libro agli insegnanti che conoscete.


PRECISAZIONE IMPORTANTE: quando ordinate il libro, ricordate che NON SONO RESPONSABILE in alcun modo di eventuali ritardi e che non posso dare alcuna informazione al riguardo.  

Credo che sia un bel libro e, per quanto ne so, finora nessuno si è pentito di averlo comperato. Quindi: pubblicizzatelo tranquillamente :-)  Grazie!

giovedì 8 novembre 2012

Gli alunni difficili sono ragazzi che soffrono. Prima parte. 334°


Berta mi scrive:

“Gentile collega, mi chiamo Berta ed insegno Matematica. Mi posso definire alle "prime armi" visto che sono solo sette anni che ho intrapreso questa " avventura". Come incaricata ogni anno è un rimettersi in gioco ed affrontare un percorso diverso fatto di tante gioie ma anche di tante sfide. Quest'anno però sono in piena crisi poiché la scuola dove lavoro è piena di "casi difficili", a volte ho l'impressione di essere in un riformatorio. La settimana scorsa sono stata portata in ospedale dopo un forte malore a causa di uno scontro con un alunno e da quel momento quando sono in classe non riesco più a fare lezione come mio solito. Mi sento sconfitta , depressa e non riesco più a fare lezione mettendoci il cuore ma lo faccio in modo apatico guardando sempre l'orologio , aspettando la fine dell'ora. Sarei molto felice se Lei potesse darmi un aiuto e un consiglio per farmi superare questo momento difficile. Cordiali saluti. Berta”

Cara Berta, ricevo molte lettere da insegnanti che chiedono consigli su come gestire gli alunni difficili. Ho già suggerito parecchie strategie, ma credo che sia utile dedicare un post completo a questo concetto: come affrontare un ragazzo difficile?
Gestire una classe difficile non è lo stesso che gestire un alunno difficile: la classe è l’insieme, che a volte contiene anche qualche alunno difficile e a volte no.
Una classe può essere difficile anche senza alunni difficili, per esempio perché gli alunni sono soltanto molto chiacchieroni. Non è un problema, se applichi i consigli che do.
Ma se nella classe ci sono alunni “difficili” la difficoltà è molto più alta. E con “alunni difficili” non intendo chiacchieroni che studiano poco. Intendo ragazzi che si comportano in modo apparentemente assurdo: mandano tutti a quel paese, urlano, fischiano, ostentano menefreghismo, fanno scherzi pericolosi, rispondono male, fanno dispetti, picchiano, prendono in giro.
Per gestire una classe difficile che ha alunni difficili bisogna prima di tutto trovare il sistema di gestire loro. E per gestire gli alunni difficili bisogna capirli. Capirli profondamente.
Per capirli bisogna convincersi di un concetto fondamentale, che mi sembra di aver già espresso mille volte: gli alunni difficili non sono “mezzi delinquenti”, “cattivi”, “matti”. Sono ragazzi che hanno un disagio, che hanno sofferto, che soffrono, anche quando a noi, se li guardiamo superficialmente, sembra che se la ridano e se ne freghino di tutto e di tutti. Se vogliamo aprirci un varco attraverso la cortina di negatività che li circonda, per poi tendere loro una mano e farli uscire, bisogna che troviamo il modo di accettarli e capirli.
I ragazzi difficili – l’ho già detto e non mi stanco di ripeterlo – sono ragazzi che vivono situazioni assurde, che spesso noi insegnanti non conosciamo o conosciamo solo superficialmente. Pretendiamo che “portino il libro”, che “facciano i compiti”, “che portino il famoso 'materiale'”, che studino. E se non lo fanno ci scandalizziamo, ci irritiamo, come se volessero farci un dispetto, come se ci mancassero di rispetto. Come se bastasse un po’ della tanto decantata “buona volontà” per studiare, stare attenti, fare i compiti. Non basta, purtroppo.
Se un bambino, se un ragazzo, vede il padre che torna a casa ubriaco e picchia la madre, sarà un ragazzo in qualche modo difficile: apatico, asociale o violento. Più facilmente sarà violento, ce l’avrà a morte con tutto il mondo. Dà già tanto a casa e non gli sembra giusto che anche a scuola gli si chieda qualcosa. Un ragazzo che a casa assiste a litigi violenti, che non ha soldi per comperare le scarpe, che sta solo tutto il giorno, fin da piccolo, si comporterà male; un ragazzo che non ha mai visto il padre, che viene rifiutato dalla madre, o picchiato con la cinghia dai nonni, sarà senz'altro un ragazzo difficile. Un ragazzo che subisce violenza – sia essa fisica o psicologica – è sempre un ragazzo difficile, difficilissimo. Avrebbe bisogno di amore e di carezze, perché in fondo è un bambino come tutti gli altri, e invece riceve solo indifferenza, violenza, calci, fisici o psicologici, e vive una vita già dura e faticosa a otto, nove, dodici tredici anni. Poi viene a scuola. Gli ci vorrebbe un po’ di considerazione, di comprensione e di incoraggiamento. Ma dà noia, disturba la classe, la lezione. E allora riceve altri calci psicologici: l’insegnante lo ignora più che può perché gli rende difficilissima la lezione; è contento quando è assente perché “finalmente abbiamo potuto fare lezione: si stava una meraviglia”; l’insegnante gli scrive note sul registro, lo sospende, lo allontana. O lo disprezza con lo sguardo, perché prova astio verso di lui, che “basterebbe che avesse un po’ di buona volontà e potrebbe avere tutte sufficienze”, e perché“disturba, non è capace di stare attento e anche i compagni non lo sopportano più”.
Quando abbiamo di fronte un ragazzo in difficoltà, ricordiamoci che non ha colpa del suo comportamento. Dobbiamo aiutarlo, anche se ci rende la vita difficile, se la sua presenza in classe ci provoca paura, o rabbia. Solo se  riusciremo a trasmettergli vero interesse potremo ricevere rispetto da parte sua. E si vedranno i risultati. Se non ci saranno colleghi che distruggono tutto il nostro lavoro.
E se non riusciamo ad aiutarlo - perché spesso non ci si riesce - se l’unico sistema che troviamo per affrontarlo consiste in una sospensione o in una bocciatura, non sentiamoci soddisfatti perché “giustizia è fatta”. Sentiamoci in colpa. Noi, e, soprattutto, la Scuola italiana, che non offre quasi nulla, a questi ragazzi.

mercoledì 7 novembre 2012

Mi fate un favore?

Cari lettori, se avete acquistato i miei "Consigli pratici" su Amazon, mi mandate una foto del libro? In realtà ho visto soltanto la versione di LULU e non so se è uguale...
Il mio indirizzo lo conoscete: professoressamilani@alice.it.
Grazie!



mercoledì 31 ottobre 2012

Nuova RECENSIONE al libro! Leggetela!


Recensione cliente

5.0 su 5 stelle Un libro davvero utile per tutti i docenti e non solo31 ottobre 2012
Di 
Questa recensione è su: Consigli Pratici Per Giovani Insegnanti (Brossura)
Il libro della professoressa Milani è scritto in un linguaggio semplice ed efficace. Niente complesse teorie psicopedagogiche o concetti astrusi di difficile applicazione, ma consigli semplici, pratici e immediati. La professoressa ci racconta come lei imposta il suo insegnamento e soprattutto il suo rapporto con alunni e genitori, dal modo di entrare in una classe a come rapportarsi in modo positivo con alunni e genitori senza trascurare aspetti complessi e delicati come la gestione di alunni o classi "difficili", il bullismo, il modo di dare i voti e tanto altro.

Non fatevi ingannare dal titolo: il libro è utilissimo anche per insegnanti non più giovanissimi e non alle prime armi (è il mio caso). Credo che chiunque possa trovare spunti di riflessione interessanti. Se almeno una volta vi è capitato di avere l'impressione di non riuscire a dialogare con una classe, di perdere il controllo della disciplina, di non essere soddisfatti da come riuscite a fare lezione, di dubitare dei vostri voti, è il caso di provare almeno a sentire quali sono i suggerimenti della prof, almeno per confrontarsi. Poi ognuno dovrà trovare la sua strada. A me è capitato di essermi improvvisamente reso conto di alcuni errori banali che facevo molto spesso. Già pochi giorni dopo aver letto il libro mi sono accorto che riuscivo a stare molto meglio in classe, sentendomi soprattutto più sereno e sicuro, e non finendo per cedere all'irritazione o allo sconforto.

Attenzione, questo non vuol dire che sia tutto semplicissimo o che la professoressa offra rimedi miracolosi. In qualche caso potrebbe essere necessario lavorare molto su di sé e di certo per migliorare davvero bisogna essere disposti a mettersi almeno un minimo in discussione e riconoscere i propri errori e i propri limiti. Però ho trovato che alcuni consigli sono come il classico uovo di colombo: come avevo fatto a non pensarci prima, mi sono chiesto, e perché nessuno me lo aveva mai detto?

In definitiva, una lettura utilissima per tutti gli insegnanti e non solo: di certo anche per dirigenti e genitori. E direi che dovrebbe anche essere una lettura obbligatoria per qualche ministro dell'istruzione che non ha mai messo piede in una classe (tutti, mi sa).

lunedì 22 ottobre 2012

Lettera aperta al Presidente del Consiglio Monti, al Ministro Fornero e al Ministro Profumo. 333°



Cari, carissimi Presidente del Consiglio Monti, Ministro Fornero e Ministro Profumo,
vi scrivo perché sono convinta che davvero non vi rendiate conto di che cosa significa lavorare in certe condizioni. Altrimenti non chiedereste a certe categorie di andare in pensione a 67 anni o più, e “di fare un sacrificio e lavorare qualche ora in più”.
Naturalmente ci sono altri mestieri e altre professioni che snervano, ma io desidero spiegarvi qualcosa del lavoro dell’insegnante, che a troppi appare come un lavoro di tutto riposo. Non starò ad elencarvi tutti gli impegni che abbiamo, perché lo hanno già fatto in tanti e credo che almeno il Ministro Profumo dovrebbe conoscerli con esattezza. E poi, perché mi piacerebbe che ci credeste sulla parola: abbiamo molti impegni, al di là di quelle 18 ore.
Il lavoro dell’insegnante è difficile e faticosissimo. Abbiamo a che fare con persone che un giorno entreranno nella società, e dovranno essere cittadini onesti, lavoratori volenterosi. Dovranno diventare muratori, commercianti, medici, avvocati, perfino Ministri, onesti e preparati. Nessuno vuole avere a che fare con medici, meccanici, avvocati, ingegneri, idraulici, tecnici di radiologia incompetenti. Nessuno vuole che la Scuola sforni degli ignoranti.
Ma è quello che succederà. Perché, cari, carissimi Presidente del Consiglio Monti, Ministro Fornero e Ministro Profumo, la società finge di volere che la Scuola prepari, ma in realtà non si interessa minimamente di quello che uscirà dalle sue aule. Anzi. La società – e quando dico “società” intendo quelli che abitano in Viale dei Giardini e in Parco della Vittoria, e non quelli di Vicolo Corto e vicolo Stretto - vuole che creiamo degli spendaccioni da spremere; vuole che sforniamo degli ignoranti da imbambolare e da sfruttare.
Vogliono che andiamo a Scuola a scaldare la cattedra, che ci inventiamo qualche sistema per non correggere i compiti in dieci minuti, che facciamo dei quiz. Non importa se sforniamo ignoranti. Anzi.
Lei, Signor Ministro Profumo, ci chiede 24 ore di insegnamento invece di 18. La credo in buonafede. Non può sapere che cosa significa. Altrimenti non lo avrebbe detto, ne sono sicura. Non si possono fare 24 ore di lezione, glielo assicuro. Se lei si abbassasse a leggere il mio blog, lo vedrebbe lì, che cosa significa insegnare, oggi. Leggerebbe la disperazione, la frustrazione, la paura di non farcela di tanti insegnanti. Capirebbe che cosa significa amare la Scuola e i ragazzi,  avere un controllo di se stessi ininterrotto; capirebbe lo stress che comporta la responsabilità di dover educare e istruire gli alunni,  sapendo che fuori, nella società dei consumi,  la diseducazione sarà forte e continua. Non si può sostenere questo per 24 ore, neanche se lo stipendio aumentasse. Sono già tante 18 ore. Né si può fare questo lavoro in classe fino a 67 anni o più. È assurdo, umiliante e, soprattutto, improduttivo.

Lei, Ministro Fornero, dice che “non ci sono fratelli maggiori e fratelli minori”: ha ragione. Noi fratelli minori stiamo aspettando che i fratelli maggiori smettano di avere dei privilegi.
Tutti – lei dice -  devono andare in pensione più tardi, perché “è aumentata la speranza di vita”: Ministro Fornero, mi scusi tanto, ma la speranza di vita di chi? Anche quella degli insegnanti, e di tutte le categorie sottoposte a stress, come chi lavora nella sanità, per esempio? Tutti i lavori che consistono nell'aiutare gli altri sono molto stressanti. Non lo sapete, lo capisco. Ma informatevi sulla salute di queste persone. Ce la garantite, la buona salute fino a 67 anni o più? Finché non potrete garantirci che vivremo bene non è giusto che allontaniate il traguardo della pensione. I lavoratori sfiniti piangono. E piangono i disoccupati che aspettano invano che si liberino i posti
Personalmente conosco un numero esagerato di insegnanti morti giovani o colpiti da ictus, da infarti, da depressione. Ministro Fornero, faccia fare uno studio sulla speranza di vita per categorie: l’autorizziamo noi cittadini a buttare via i soldi dei contribuenti per questo.
Intanto, tolga le pensioni d’oro a chi le ha, tolga i privilegi ai politici che siedono sulle comode poltrone rosse del Parlamento. Faccia pagare l’IMU in modo esponenziale a chi ha dieci, venti, cento case. Mandi in galera chi si arricchisce illecitamente.  E faccia pagare le tasse alla Chiesa, naturalmente, che ne ha presi anche troppi, di aiuti. I cattolici non faranno mancare le loro donazioni, vedrà.
Caro, carissimo Presidente Monti, lo so che l’Italia è stata ridotta a un bordello cadente. So che lei e i suoi collaboratori state cercando di evitare che il bordello crolli, e state cercando di riconvertirlo in Nazione rispettabile.
Ma non si possono fare le nozze con i fichi secchi. Soprattutto quando i fichi secchi siamo noi.
Lasciateci vivere una vita dignitosa.  Siamo noi quelli che possono risollevare l’Italia, non gli imbroglioni, i ladri, i corrotti e i corruttori che riempiono le pagine dei giornali in questo periodo.
Noi siamo la gente perbene. E noi insegnanti siamo quelli che devono educare i ragazzi a crescere “perbene”.
Restituiteci la nostra vita: tornate sui vostri passi e ascoltateci. Vi hanno scritto in tanti. Credeteci.
Se il prezzo che ci chiedete di pagare è la disperazione e l’infelicità, siete cari. Carissimi.
Professoressa di Scuola pubblica, Isabella Milani.

La spedirò ovunque. Fatelo anche voi, se la condividete.

mercoledì 17 ottobre 2012

Il burnout degli insegnanti. Seconda parte. 332°


Care Colleghe, cedere, in certe situazioni, è normale. Insegnare è molto faticoso, e se uno non ha la forza (tanta) che serve per affrontare questo lavoro, prima o poi, cede. Soprattutto se incontra classi difficili, il che accade molto spesso.
Ci sono ormai parecchi studi sulla “sindrome del burnout” degli insegnanti. “Burnout” significa “bruciato”, “esaurito”, scoppiato”. 
Chi viene colpito dalla sindrome del burnout si sente completamente sfinito dal punto di vista fisico ed emotivo, sente di essere inutile, incapace. Vede tutto nero, si sente fallito, cerca di cambiare lavoro o si rivolge a uno psichiatra per avere un aiuto farmacologico.

Se, secondo vari studi, il 30% degli insegnanti fa uso di psicofarmaci ansiolitici e antidepressivi, significa che il lavoro non è di tutto riposo come sembra dal di fuori. 
E questo blog permette di farsi un’idea precisa dei motivi.

Per insegnare non basta conoscere la materia che si insegna. Bisogna avere anche alcune caratteristiche che non tutti hanno.
1. Bisogna voler insegnare, prima di tutto. Considerare l’insegnamento come un desiderio interiore. L’insegnamento è un lavoro e non una missione, ma è un lavoro che non puoi fare se non lo desideri. Ma non basta neppure questo.
Solo chi insegna sa quanta fatica costa stare sul palcoscenico, giorno dopo giorno, e dover essere sempre all'altezza di ciò che si aspettano gli alunni, i genitori, i colleghi. Sa quanto può essere terribilmente umiliante trovarti ad avere una trentina di bambini o ragazzini o ragazzi che si prendono gioco di te, o ti ignorano o ti umiliano, mentre tu cerchi disperatamente e inutilmente di farli smettere. E non puoi fare nulla, in realtà, se non constatare la tua incapacità di gestirli. Ho visto colleghi vomitare prima di entrare in classe. Vomitare di paura.
2. Per insegnare devi conoscere la tua materia, e devi conoscerla bene, aggiornandoti sempre. Perché se non sei preparato non riuscirai a farti seguire e stimare.

3. Per insegnare devi saper tenere la disciplina. 
“Non è capace di tenere la disciplina” è una frase che viene pronunciata come una condanna. Perché è vero, se non sai tenere la disciplina puoi essere un’insegnante preparatissimo, ma non insegni nulla. Se i ragazzi si annoiano e non ti ascoltano non è colpa loro, in realtà. È colpa tua. Non si può pretendere che ascoltino qualcosa che non li interessa affatto. E non si può pretendere che abbiano la maturità di capire che devono ascoltare per imparare (non lo facciamo neppure noi adulti quando ci annoiamo). E allora? Qual è il problema?


Eccolo, il problema: la società, lo Stato, i governi ci sbattono dentro una classe piena zeppa  di ragazzini ai quali non è stato insegnato né il rispetto, né lo spirito di sacrificio, né la pazienza, né la correttezza, né l’onestà. E se le famiglie hanno dato loro un’educazione seria, tutto quello che li circonda li convince che sono sciocchezze e noi ci troviamo con un problema in più: quello di risolvere l'emarginazione nella quale questi bambini educati vengono relegati dai compagni. 
Lo Stato non ci dà le risorse necessarie per affrontare le difficoltà dei ragazzi. Né ci ha preparati, in realtà,  a tenere testa a una classe difficile, né a gestire davvero i problemi dei bambini e degli adolescenti. La prova di questo sta nel successo di un libro come quello che ho scritto, e dei commenti che vengono fatti, che mettono sempre in risalto il fatto che neppure chi ha fatto corsi specifici è stato preparato ad affrontare le classi.
Ci sbattono dentro una classe piena zeppa di alunni – una classe pollaio- e si aspettano che siamo tutti in grado di affrontare le loro difficoltà. Perché - l'ho già detto, ma lo voglio ripetere- chi si comporta male ha dei problemi. E là, "in alto", pretendono che siamo interessanti, affascinanti, coinvolgenti; forti e dolci nello stesso tempo. Esigono che non abbiamo problemi personali. Ma tutti abbiamo dei problemi, e quando entriamo in una classe difficile ci entriamo anche con i nostri problemi, e dobbiamo affrontare i nostri e quelli degli alunni, contemporaneamente. Gli insegnanti sono persone. Sembra scontato ma non lo è, evidentemente. A volte i maestri e i professori sono fragili, molto timidi, complessati, depressi. O non hanno autostima, o non sanno dire di no, o hanno avuto brutte esperienze, o - addirittura -  sono stati oggetto di violenza, o hanno assistito a violenze, o hanno sofferto gravi lutti o abbandoni che li hanno segnati. 
A volte non ce la fanno proprio, gli insegnanti, a resistere alle offese, alle prese in giro; a volte non sanno reagire alle minacce, alle urla, perché hanno paura. 
L’angoscia che precede l’entrata in una classe difficile non viene capita che da quelli che la provano.
Gli altri, la gente, tutti quelli che sono fuori dalla Scuola, i genitori, i ministri, i governi,esigono che gli insegnanti siano tutti  forti, sicuri di sé. Ma vogliono pagarli poco. E adesso farli stare nelle classi pollaio altre sei ore, come se sei ore fossero una cosa da nulla. E non credono alla loro stanchezza, e non perdonano le loro debolezze. E qualche volta queste cose le pensa anche chi insegna nei licei.
“Non sa tenere la disciplina. Eh, ma se ci fossi io, li metterei tutti a posto”. Dicono così.
Ma nessuno chiede di provare.
L’insegnamento è un lavoro che con puoi fare se non hai certe caratteristiche. Ci vuole un certo carattere: forte, deciso. O bisogna essere addestrati come per entrare in un ring, a volte. 
Per queste ragioni, insegnanti giovani, se siete timidissimi, se avete paura, se non sapete studiare per trovare strategie che possano rendervi interessanti; o se credete che la colpa sia dei ragazzi, cambiate lavoro, perché insegnare può essere davvero molto faticoso e frustrante.
E lei Ministro della Pubblica Istruzione, prima di dire che gli insegnanti devono lavorare di più, prima di pensare che possono stare in classe più di 18 ore, si informi bene. Lo chieda a noi, quali sono i problemi. Non ci chieda di fare il sacrificio di qualche ora in più. Ci suona ridicolo e terribile contemporaneamente. E faccia fare dei test attitudinali seri prima di "buttare" gli insegnanti nella fossa dei leoni.  E procuri quello che serve davvero, se vuole una Scuola di qualità.
O nessuno si lamenti più.
Prima parte: qui.

mercoledì 10 ottobre 2012

la famosa COPERTINA dei CONSIGLI PRATICI PER GIOVANI INSEGNANTI! 332°

Chi scarica l'eBook non vede la copertina disegnata da Paolo Moisello/Moise.
Ecco la copertina dunque!
ed ecco il retro della copertina!

martedì 9 ottobre 2012

Il burnout degli insegnanti. Prima parte. 331°

Federica mi scrive:

“Carissima Isabella, mi chiamo Federica. Ho 40 anni ed insegno da 15 anni. Non sono quindi una pivellina alle prime armi, ma sto affrontando un problema più grande di me. So bene che tu non sei né una psicologa, né il tuo blog è nato per correre in soccorso di chi sta nelle condizioni che tra poco ti racconterò, ma forse se pubblichi la mia email qualcuno che sta come me si sentirà meno solo e spaesato, come sono io in questo momento.
Quest'anno non ce la faccio ad affrontare questo lavoro. Un lavoro da me amato, voluto per il quale ho affrontato sacrifici che non mi pesavano perché era mio desiderio diventare un'insegnante. Studio, concorso, supplenze e, finalmente dopo 10 anni di incarichi, il ruolo arrivato 5 anni fa. Gioia e felicità: traguardo raggiunto! Toccavo il cielo con un dito, ma è durato relativamente poco. Dopo un anno difficile dal punto di vista personale (mio padre con un tumore), sono crollata, crollata letteralmente intendo. Mi spiego meglio: lo scorso anno ho dovuto tirar fuori tutta la forza possibile per affrontare il suo cancro. Di notte piangevo, mi addormentavo tardi, la mattina indossavo la maschera e andavo al lavoro. Mai un minuti di ritardo, mai un giorno di assenza (e per mai intendo proprio mai mai mai, ti dico solo che mio padre è stato operato nel mese di luglio e questa cosa per me è stata un sollievo perché così non mi sono dovuta assentare da lavoro, giusto per intenderci), addirittura la scuola era per me la mia isola felice. Arrivavo e fino a fine servizio riuscivo a fingere che il mio dramma non esisteva (tra l'altro lo sapeva solo una mia collega, era stato il mio modo di esorcizzare il problema: della serie: va tutto bene, sono la solita, non è cambiato nulla, è tutto sotto controllo etc etc).
Ora le cose per mio padre vanno molto meglio: l'intervento è andato bene, la malattia è stata asportata. Insomma, potrebbe essere il momento della ripresa ed invece, per me, è quello del crollo emotivo totale. Ho perso l'entusiasmo, entro in classe completamente demotivata, mi devo sforzare di fare le cose, non sopporto più gli alunni (ed io li amavo!!!!!).
Sicuramente sto pagando il prezzo di un periodo difficile in cui ho creduto di avercela fatta, ma che ora mi sta presentando il conto. Fatto sta che per me andare al lavoro è quasi un'impresa: non mi godo il weekend perché penso al lunedì, non riesco a distrarmi, non voglio andarci più. D'altro canto ho anche un forte senso del dovere per cui si ripropone il solito balletto: non ce la faccio non ce la faccio, poi mi devo mettere in metropolitana+ treno e devo farmi 2 ore di viaggio all'andata e due al ritorno (quelle due ore che prima facevo contenta perchè andavo dai miei ragazzi nella mia scuola che, anche se distante, non volevo lasciare!!!).
Scusa lo sfogo e grazie. Federica”.


E mi hanno già scritto, fra i molti altri:



Maria Chiara: 

"Buongiorno professoressa Milani,
esattamente un mese fa ho cominciato a insegnare a scuola, carica di ogni possibile entusiasmo.
Insegno matematica e scienze in una Scuola professionale, e quanto sono stata assunta ero entusiasta. Io adoro le scienze, e sono partita con l'idea di coinvolgerli il più possibile, di incuriosirli, di stimolarli, come probabilmente alle medie non era successo, in quanto di solito professionale vanno "gli ultimi della classe".
L'insegnamento era una scelta libera, non un'imposizione, avevo delle alternative.
In alcune classi va molto bene, si tratta di ragazzi vivaci ma educati, non particolarmente brillanti ma interessati. Alcuno fanno fatica a capire, altri a stare attenti, altri vanno spesso richiamati, ma va bene così, l'avevo preventivato, e per me è uno stimolo e una sfida.
In altre classi, per fortuna dove ho meno ore, mi ritrovo in un bronx. Situazioni impossibili, studenti che si picchiano in classe (per fortuna non nelle mie ore), gente che bestemmia, ragazzi espulsi da centri di recupero, delinquentelli non ancora affermati. Fare lezione è impossibile, ho subito minacce solo per aver richiamato dei ragazzi, vengo presa in giro (un ragazzo mi manda dei baci mentre lo sgrido - e le assicuro che non sono stata particolarmente dolce- e gli altri ridono), l'unico obbiettivo della giornata è mantenere l'ordine pubblico e evitare che si accoltellino (le minacce tra loro ci sono già state). Non ascoltano nulla, non gli interessa la sospensione, i brutti voti e le minacce.
Sono così con me e con i colleghi, ma io non ce faccio. Ho appena cominciato ma so di non farcela, perché il carabiniere non è il mio mestiere. Mi spiace gettare la spugna, anche perché mi sono affezionata alle altri classi, ma davvero non so cosa fare. Li vedo nei corridoi e li odio con tutta me stessa per come mi fanno sentire in classe. Non sono un'assistente sociale o una psicologa, sono laureata in biologia e non sono in grado di aiutarli. Tanto vale mollare subito.
So che l'insegnante non lo si fa solo per portare a casa lo stipendio e la disoccupazione non mi spaventa, pensare di entrare in classe lunedì si.
Grazie dell'attenzione. Maria Chiara."
Leda:
“Gentile professoressa,
sono disperata. Ho cominciato ad insegnare inglese nelle scuole primarie 6 anni fa perché ho sempre pensato che quello era il mio lavoro, me lo sentivo. Ma il giovedì pomeriggio é una catastrofe.
Da tre anni insegno in una classe a tempo pieno che mi rende la vita un inferno. ….Sono veramente stanca, non so se l'anno prossimo tornerò in questa scuola, ma non posso pensare di poter resistere un anno ancora…..”


Annarita:
“….non sono contenta, anzi sono disperata perché avrei preferito non superare il concorso e non svolgere questo lavoro che sta rendendo la mia vita un inferno."


Marcello:

"Certi giorni torno a casa con un gran mal di testa e grande frustrazione...
Spesso torno a casa e mi sembra di aver urlato come un ossesso anche se poi dei ragazzi l'altro giorno mi hanno confessato che non urlo come "quella che c'era prima" eppure a me sembra di urlare e sbattere troppo spesso le mani sulla cattedra per chiedere silenzio e attenzione. Torno a casa e penso a tutte le cavolate che ho fatto e detto...e mi sembra di aver sbagliato tanto."


Alessandra:

“…Sono veramente delusa e amareggiata, mi sento un fallimento completo e mi dispiace tantissimo. Ero andata lì piena di belle speranze, felice di stare con i bambini, desiderosa di aiutarli,di accompagnarli, animata da tanta buona volontà ed è veramente frustrante vedere che i bambini non mi ascoltano, non mi seguono, non hanno alcun rispetto di me. Torno a casa dopo quattro o sei ore in quella classe senza voce e più che mai avvilita, mi viene da piangere. Perché io credo davvero nella missione dell'insegnamento, amo questo lavoro e stare con i bambini, poterli aiutare ed essere una guida ed un punto di riferimento per loro, mi sto impegnando molto negli studi all'università ma ora sono davvero scoraggiata e demoralizzata per la situazione che si è creata, penso che tutte le altre maestre sono più brave di me e mi sento anche molto in imbarazzo nei confronti delle colleghe perché non so gestire i bambini e temo che sparlino alle mie spalle.per la situazione che si è creata in quella classe. … Non so davvero più cosa fare per cambiare la situazione. Le chiedo pertanto qualche consiglio perché sono veramente demoralizzata
e triste e mi sento un fallimento e mi dispiace tanto nei confronti dei bambini.



Gloria:

"Dopo 13 anni di ruolo mi sento avvilita, demotivata, ho avuto altri bambini difficili, ma così superficiali, incapaci di accettare e capire i compagni in difficoltà, c'è molta competizione in ogni attività e prepotenza. Aiutami."


 Lorella:
"…il mio livello di frustrazione cresce ogni giorno di più. Ci sono dei giorni in cui fare questo lavoro mi piace e mi dà soddisfazione, ma la maggior parte dei giorni torno a casa affranta e demoralizzata. Vorrei mollare tutto!!!!.....
Quando spiego faccio una fatica pazzesca, devo continuamente interrompermi e anche quelli che partecipano sono caotici, non mi lasciano terminare le frasi e intervengono con domande, non sempre coerenti con quanto stiamo facendo e curiosità. ….Sono davvero stanca, la mia pazienza ha dei limiti. … Anche oggi sono uscita di classe con la voglia di mandare tutti a quel paese. La tristezza più grande è che so che è colpa mia, non riesco ad interessarli. …..Mi sento inutile! Sono sull'orlo di una crisi di nervi. Non credo di riuscire ad arrivare fino a giugno in queste condizioni. Il fatto è che quando torno a casa sono così affranta che ultimamente mi passa anche la voglia di mettermi a preparare le lezioni … Vivo male la domenica, perché l’idea di riprendere a lavorare il lunedì mi crea ansia.”


Anna:

 "...Sono disperata ...alcuni si alzano in continuazione, uno è particolarmente arrogante e maleducato, ti ride persino in faccia quando lo sgridi e ti risponde ridendo quando minaccio di parlare con il papà che lo difende (è tunisino e il padre adora il maschio). Io mi sento disarmata e impotente e torno a casa affranta e pur mettendocela tutta nel mio lavoro a volte mi sento sconfitta e mi chiedo chi me lo fa fare di urlare come una matta e  prendermela tanto.
Mi chiedo dove sbaglio e perché faccio così fatica."

Sonia:
“…Ho bisogno di aiuto, mi sento un disastro come insegnante ( e non solo), quando mi trovo a gestire una classe ognuno fa quello che vuole e mi manca di rispetto. …Sono scoraggiata, cambiare la propria persona non è facile... Altro problema è che io impiego molto tempo per "prepararmi" per affrontare la lezione in classe e mi riempio di ansia e stress tale, da soffrire di mal di testa e di spossatezza da stress, e quando sono stanca non riesco neanche a parlare bene e si percepisce secondo me goffaggine.”


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Continua......


p.s.  Diffondete questo post e quello che seguirà sull'argomento. Ci tengo. La gente deve capire che cosa può significare questo lavoro di tutto riposo, con tre mesi di ferie e tanta libertà. Soprattutto adesso che il ministro afferma che gli insegnanti devono lavorare di più. 24 ore di lezione!


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