La professoressa Isabella Milani è online

La professoressa Isabella Milani è online
"ISABELLA MILANI" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy dei miei alunni, dei loro genitori e dei miei colleghi. In questo modo ciò che descrivo nel blog e nel libro non può essere ricondotto a nessuno.

visite al blog di Isabella Milani dal 1 giugno 2010. Grazie a chi si ferma a leggere!

SCRIVIMI

all'indirizzo

professoressamilani@alice.it

ed esponi il tuo problema. Scrivi tranquillamente, e metti sempre un nome perché il tuo nome vero non comparirà assolutamente. Comparirà un nome fittizio e, se occorre, modificherò tutti i dati che possono renderti riconoscibile. Per questo motivo, mandandomi una lettera, accetti che io la pubblichi. Se i particolari cambiano, la sostanza no e quello che ti sembra che si verifichi solo a te capita a molti e perciò mi sembra giusto condividere sul blog la risposta. IMPORTANTE: se scrivi un commento sul BLOG, NON FIRMARE CON IL TUO NOME E COGNOME VERI se non vuoi essere riconosciuto, perché io non posso modificare i commenti.

Non mi scrivere sulla chat di Facebook, perché non posso rispondere da lì.

Ricevo molte mail e perciò capirai che purtroppo non posso più assicurare a tutti una risposta. Comunque, cerco di rispondere a tutti, e se vedi che non lo faccio, dopo un po' scrivimi di nuovo, perché può capitare che mi sfugga qualche messaggio.

Proprio perché ricevo molte lettere, ti prego, prima di chiedermi un parere, di leggere i post arretrati (ce ne sono moltissimi sulla scuola), usando la stringa di ricerca; capisco che è più lungo, ma devi capire anche che se ho già spiegato più volte un concetto mi sembra inutile farlo di nuovo, per fare risparmiare tempo a te :-)).

INFORMAZIONI PERSONALI

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La professoressa Milani, toscana, è un’insegnante, una scrittrice e una blogger. Ha un’esperienza di insegnamento alle medie inferiori e superiori più che trentennale. Oggi si dedica a studiare, a scrivere e a dare consigli a insegnanti e genitori. "Isabella Milani" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy degli alunni, dei loro genitori e dei colleghi. È l'autrice di "L'ARTE DI INSEGNARE. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi", e di "Maleducati o educati male. Consigli pratici di un'insegnante per una nuova intesa fra scuola e famiglia", entrambi per Vallardi.

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sabato 31 dicembre 2011

Addio, 2011. 271°

Addio, 2011. A mai più rivederci.

Si chiude, spero per sempre, un’epoca e se ne apre un’altra.
Non voglio più neanche ricordare quello che abbiamo passato, politicamente parlando. E spero che si apra un’epoca in cui ci sia permesso di pensare liberamente senza essere plagiati e manipolati dai mezzi di comunicazione, dai sorrisi, dalle menzogne, dalle promesse. Un’epoca in cui si torni a considerare l’onestà come indispensabile per essere rispettati, e in cui l’educazione venga insegnata ai bambini dall’esempio degli adulti. E spero che la società impari a distinguere il necessario dal superfluo e a preferire la sostanza all’apparenza.

Addio al 2011 per chi ha perso una persona cara, perché l’anno ha portato loro molto dolore.
Per chi ha visto i colleghi o i familiari uccisi sul lavoro perché le regole della sicurezza non sono state rispettate.
Per chi ha perso il lavoro e non sa come trovarne un altro.
Per chi non ha ancora un lavoro e si sente dire da tutti che non riuscirà a trovarlo.
Addio al 2011 per chi credeva di andare in pensione e ha saputo che chissà quando ci andrà.
Addio al 2011 per gli insegnanti, che hanno visto lo sfacelo della Scuola pubblica dovuto a vergognosi tagli, e che sono stati chiamati “fannulloni”.
Per gli studenti di tutte le età, ai quali non è stato effettivamente garantito il diritto allo studio e che poi sono stati definiti “ignoranti”.
Per chi deve iscriversi all’università e non sa che strada prendere, perché tutte portano alla disoccupazione.
Per chi fa i conti e si accorge che non sa come farà a tirare avanti.
Per i commercianti che sono stati onesti, hanno investito tutto sulla loro attività, ma non ce l’hanno fatta a pagare i debiti e sono stati costretti a chiudere il negozio.
Per gli extracomunitari e gli stranieri onesti che vengono guardati ancora con sospetto e superiorità.
Per quelli ai quali hanno calpestato i diritti proprio quelli che dovevano garantire loro che venissero salvaguardati.

Quello che non ho scritto, aggiungetelo voi.

venerdì 30 dicembre 2011

“Mi sento una nullità e non so che cosa fare”. 270°

Marco mi scrive:

“Cara Isabella Milani, sono un ragazzo di 18 anni. Scrivo a lei perché non so a chi rivolgermi. Lei è la mia ultima speranza. Il punto è che le persone intorno a me non mi considerano quanto vorrei. Non l’ho mai detto a nessuno, ma ho sempre paura di sbagliare e di essere considerato scemo.
A scuola i miei voti sono molto più bassi che in passato, non riesco a studiare come facevo un tempo. I professori hanno delle pretese assurde e prendo voti scarsi. Eppure leggo tanto, suono la chitarra classica, mi interesso di tante cose e mi appassiono a tante cose. Ma tutto quello che so non serve per piacere ai miei amici e tantomeno alle ragazze. Vorrei fare ingegneria, ma forse non sono intelligente come credevo. Neanche la mia vita sociale è così florida: gli amici mi prendono in giro e mi trattano come uno sfigato e anche le ragazze mi considerano uno sfigato. Perché non riesco ad essere quello che vorrei? Perché non posso avere una vita più felice? Mi sento una nullità e non so che cosa fare. Spero che mi risponda presto. Grazie. Marco”

Caro Marco, certo che ti rispondo! Per aiutarti cercherò di farti capire qual è il tuo problema.
Prima di tutto devi chiederti “Devo stimarmi? Devo sentirmi sicuro di me? Devo sentirmi intelligente?”. Io ti dico “Senz’altro sì.”
Per sentirti sicuro di te devi sentirti intelligente indipendentemente dagli altri.
Non puoi basare la tua sicurezza sulla scuola, perché la scuola non è il luogo dove si possa misurare il tuo valore. La scuola non è fatta per far emergere le intelligenze particolari. Spesso, a scuola, finiscono per emergere solo i ragazzi capaci di eseguire perfettamente quello che viene richiesto. Ma quello che viene richiesto a scuola, nella scuola italiana, spesso non ha niente a che fare con la vera intelligenza.
Questo avviene per due motivi:
1. Gli insegnanti sono essi stessi stati educati a considerare come conveniente, giusto e opportuno adeguarsi il più possibile alle richieste degli insegnanti, e non hanno, conseguentemente, fatto un percorso di studio autonomo che li portasse a chiedersi che cosa è giusto insegnare e, soprattutto, in che cosa consiste la vera intelligenza.
2 Gli insegnanti sono, comunque, abituati e costretti a richiedere solo apparentemente l'originalità, la creatività, le opinioni personali, i pensieri autonomi, la dialettica, il confronto, perché può capitare di dover gestire un dissenso di fronte a tutta la classe, costituita di 25/ 30 alunni e, non è facile. L'insegnante non ha tempo e spesso non è preparato a questo. E non per colpa sua, ma per un sistema scuola che vede, di fatto, l'insegnamento come l’esposizione a un gruppo indistinto, oltretutto numeroso e spesso disomogeneo, di nozioni generali, che non tengono in nessun conto le predisposizioni individuali. Bisogna considerare, inoltre, che, dal punto di vista psicologico, l'insegnante si trova a parlare agli alunni come ad un pubblico dal palcoscenico: questo presuppone la capacità, che spesso l'insegnante non ha, di reagire con tranquillità alle provocazioni degli alunni, o di non farsi prendere dal panico, dalla paura di perdere la credibilità e la stima degli alunni, se un alunno esprime disaccordo con con le idee dell’ insegnante o contesta, anche se con educazione, una spiegazione dell'insegnante. Se l'insegnante potesse insegnare a piccoli gruppi non avrebbe la stessa difficoltà a riconoscere un suo errore o a seguire il percorso mentale di un singolo alunno. Questo di fronte a una classe solo raramente è possibile. È troppo importante non perdere la credibilità.
Non puoi basare la tua sicurezza sugli amici, perché gli amici, molto spesso, cercano negli altri quello che i media suggeriscono di cercare. Mi pare di capire che tu non sei come loro.
Ti chiedi se sei intelligente. Bisogna chiedersi che cos’è l’intelligenza.
L’intelligenza è la capacità di capire, di risolvere i problemi, di saper collegare informazioni e concetti anche non immediatamente vicini e collegati.
Si parla di nove tipi di intelligenza: Linguistica, Logico-Matematica, Spaziale, Corporeo-Cinestesica, Musicale, Interpersonale, Intrapersonale, Naturalistica
Esistenziale o Teoretica.
Quali di queste vengono considerate importanti a scuola? E tu quante ne hai? E, soprattutto, hai i tipi di intelligenza che che vengono valutati a scuola?
Forse hai quattro o cinque tipi di intelligenza e non lo sai (Musicale? Interpersonale? Esistenziale o Teoretica? Naturalistica? Intrapersonale?). Soprattutto non lo sanno a scuola. E magari non sono i tipi di intelligenza che interessano agli insegnanti. Non vuol dire che non sei intelligente; Marco. Perciò devi essere sicuro di te, stimarti, considerarti speciale. Non hai bisogno dell’approvazione degli altri. Non hai bisogno dell’approvazione di nessuno.
Devi solo saperti adeguare alle richieste perché ti conviene e perché anche questa capacità è tipica delle persone intelligenti. Saperti adeguare alle richieste dell’insegnante – di qualsiasi richiesta si tratti - deve essere per te una questione di intelligenza: più riesci a fare quello che chiedono e più sei intelligentemente capace di dissolvere il problema, la prova. Non devi studiare perché ti serve l'approvazione di qualcuno, ma perché ti serve per avere buoni voti - che è quello che vuoi - anche in vista dell'università, e comunque perché vuoi avere qualcosa che dimostri in modo tangibile che sei bravo a scuola.
Sai capire le persone? (hai la capacità di entrare nella psicologia degli altri.)
Sei sensibile? (sei interessato a capire gli altri)
Hai il senso dell'umorismo? (Sei simpatico: l’umorisco è prova di intelligenza)
Sai imitare bene le persone? (sai cogliere la loro psicologia)
Hai interesse per cose che di solito non interessano gli altri ragazzi della tua età (hai interessi più maturi e non convenzionali)
Sai suonare? È perché ti sei messo in mente di farlo e ci sei riuscito.
Forse, Marco, sei soltanto un ragazzo speciale. Chi è speciale solitamente non viene capito. Se è così, come credo, è ovvio che questo tuo essere speciale è stato per te impegnativo: un tempo, perché i bambini, in generale, che non capivano niente di quello che dicevi, ti guardavano come si guarda uno che dice cose incomprensibili. Ma era un problema loro che erano indietro, non tuo che eri avanti.
E anche oggi, forse tu sei troppo speciale per gli altri, che sono troppo convenzionali. Ma loro lo sanno, che sei speciale. Devi saperlo anche tu.
Vai avanti per la tua strada, che è speciale. Devi vedere ogni difficoltà solo come una sfida che ti si pone, per integrarti bene anche nel mondo di quelli normalissimi. Non sono più intelligenti di te. Sono solo inseriti più convenzionalmente in questa scuola e in questa società.
Farai grandi cose, vedrai. Perché quando ti appassionerai a qualcosa, a quello che sceglierai all’università, lo approfondirai in modo intelligente e speciale.
Buon anno e buona fortuna, Marco. Fammi sapere.

martedì 27 dicembre 2011

Cari lettori del blog...

Ci sono lettori del blog che mi chiedono se ho dei problemi perché i post sono meno frequenti: nessun problema! Ho solo il problema che avete tutti: troppo poco tempo!
Prestissimo mi darò da fare e farò il mio dovere di blogger!
Se mi avete scritto e non avete ricevuto risposta, mandatemi di nuovo il messaggio, per favore!
Buone feste a tutti!!!

domenica 25 dicembre 2011

Ho cambiato la descrizione del mio libro

Ho cambiato la descrizione del mio libro.

Cari colleghi, questo è un "manuale dell'insegnante", un libro di consigli pratici,che può esservi utile se siete giovani insegnanti, finché non avrete fatto esperienza sul campo. Ma credo che possa essere molto utile e offrire spunti di riflessione anche se insegnate già da anni, e perfino se siete genitori di ragazzi che frequentano la Scuola.
Se siete già lettori del mio blog, comperatelo se volete un vero e proprio corso di didattica pratica, perché troverete nel libro anche i post più seguiti, ma ampliati e organizzati, da leggere e da rileggere. Altrimenti leggete, gratis, il blog.

sabato 24 dicembre 2011

Ricambio tutti i vostri auguri con altri auguri! 269°

Cari lettori del blog e amici di facebook, grazie di cuore per tutti i vostri auguri.
Anch'io desidero per voi feste allegre in compagnia di familiari, amici e parenti.
Desidero che, se avete dei bambini piccoli, possiate preparare loro stupendi momenti da ricordare.
Desidero che il 2012 sia proprio l'anno fantastico che avete sempre sognato.
Se avete dei problemi, vi auguro di riuscire a dimenticarli per un po', e di trovare serenità e fiducia nel futuro.
Desidero che troviate sotto l'albero un bel regalo inaspettato, che sappiate godere di quello che avete, e che sappiate rendervi conto che siete fortunati ad avere la possibilità di condividere con altri queste feste.
Spero che troviate il modo di pensare anche a chi non sta festeggiando affatto, in questi giorni, perché so che poi vi sentirete bene.
Spero che facciate una telefonata di auguri a qualcuno che sapete essere solo, perché la solitudine è più brutta, durante le feste.
Vi auguro per tutto l'anno tanta tranquillità, tempo per voi, molta salute e allegria.
Se siete insegnanti giovani e precari vi auguro di passare di ruolo.
Se siete insegnanti non più giovani, e stanchi, vi auguro di andare in pensione quando volete.
Auguri a tutti!


Vi suggerisco di leggere il mio post 141°

mercoledì 21 dicembre 2011

“Quale può essere una giusta punizione per un bambino?”. 268°

Gabriella mi scrive:

“Gent.ma Prof. Milani, sono un’ insegnante di ruolo nella scuola primaria, insegno da sei anni. Mi piace il mio lavoro, mi preparo ogni giorno le lezioni per riuscire a gestire meglio il tempo e il lavoro.
La classe è una terza, bambini in gamba apprendono velocemente e fanno pochi errori.
Insomma una vera pacchia, verrebbe da dire. Non fosse per il fatto che ci sono giornate perfette e altre che torno a casa nello sconforto totale. Oggi, ad esempio, durante la lezione alcuni bambini hanno iniziato a litigare, hanno smesso di scrivere, quando poi ho cancellato la lavagna, si sono arrabbiati, dicendo che vado troppo veloce e non gli ho lasciato il tempo. Uno di loro, un tipo piuttosto turbolento, ha iniziato ad urlare, ha lanciato oggetti, l'ho sgridato poi lui piange e si scusa, ma nel farlo è sempre agitato. E non so proprio come comportarmi. Anche perche arriva un certo punto che la mia voce proprio non si sente più e questo mi deprime. Un bambino era stufo e ha detto “io non ci voglio più stare qua dentro”. Insomma una lezione da dimenticare. Non capisco perchè però altre volte tutto fila liscio. Altre invece mi vergogno di essere insegnante, e temo di ricevere critiche. Vorrei capire quale può essere una giusta punizione per un bambino che manca platealmente di rispetto all'insegnante. Vorrei capire come creare un clima positivo quando ricomincia la lezione, e il tipo che era in punizione è come se me la volesse far pagare. Ho dato dei compiti di punizione, cosa che odio, e questo ha generato ancora più rabbia. In queste giornate non so proprio cosa fare. La ringrazio in anticipo cordiali saluti
Gabriella”

Cara Gabriella,
il problema nasce dal fatto che dimentichi che sono dei bambini. Subisci le loro proteste come se fossero giudizi di valore nei tuoi confronti. Ti senti a disagio perché non sei sicura delle tue decisioni. E non sei sicura perché ti accorgi di provare anche un po’ di astio nei confronti dei bambini che ti rendono difficile la lezione. Mentre un impiegato può anche fingere di provare considerazione e rispetto per un utente, per un insegnante è impossibile fingere: i bambini e i ragazzi percepiscono quello che provi davvero. E, se non sono sentimenti positivi, se ne accorgono e te la fanno pagare. Sentono che li rifiuti (probabilmente lo fai senza accorgertene, per paura della situazione nella quale possono metterti) e loro, per paura di non essere accettati, si comportano male. Se li accetterai davvero e farai in modo che lo percepiscano, vedrai che le cose miglioreranno.
Non so quanto possa essere “giusta” una punizione. Non la chiamare “punizione”, neanche dentro di te. Chiamala “strategia di recupero”. La strategia di recupero deve essere finalizzata a far capire al bambino che ha fatto un errore e che deve impegnarsi per correggerlo. Deve essere chiaro il motivo del rimprovero, senza dare per scontato che lo sia. La punizione (strategia di recupero) non deve essere troppo frequente, altrimenti perde di efficacia. Non deve mai consistere nel togliere la possibilità di uscire, di far merenda o di andare in bagno, perché sarebbe contrario alla salute del corpo. Né deve escludere il bambino da attività che gli interessano molto, come il calcio o il nuoto, perché anche quelle attività fanno parte della sua crescita.
Quando il bambino riceve una punizione è importante che non la senta come una specie di vendetta, perché altrimenti risponderà allo stesso modo.
Spero di esserti stata utile.
Fammi sapere!

domenica 11 dicembre 2011

Ragazzi, che cosa aspettate a recensire il libro?

Carissimi lettori del libro e del blog, che cosa aspettate a recensire il libro "Consigli pratici per giovani insegnanti"?
Seguite l'esempio di questi bravi lettori che lo hanno recensito su LULU* e su AMAZON.

Bastano anche poche parole! Non siate timidi!
Voi lettori del blog siete la mia unica forma di pubblicità, ricordatelo! :-)
Grazie!



*E voi che lo avete così bene recensito su LULU, ricopiate la recensione su Amazon, se siete già clienti di Amazon :-)

venerdì 9 dicembre 2011

Voglio andare in pensione quando è ora. Seconda parte. 267°

Credevo di andare in pensione a sessant’anni, di riprendermi la mia vita e di andare da qualche parte. Al mare a settembre. A fare un viaggio a primavera. Niente di eccezionale. Ma volevo vivere la vita senza costrizioni. Volevo stare giornate intere con gli amici, con la mia famiglia, con mia sorella. Fare del volontariato. Cambiare abitudini. Scrivere quando volevo.
Quando avrò un nipotino vorre aiutare mio figlio a crescerlo. Ma non potrò. “La nonna non può venire perché è ancora al lavoro”. E pagheremo per i bambini una babysitter estranea e per i nostri vecchi una badante estranea. C’è qualcosa di più stupido?
Vorrei riprendermi il mio tempo. Perché anche se vogliono che ci adeguiamo alle aspettative di vita, non sono in grado di garantirci che vivremo davvero di più. E che, se vivremo di più, saremo in salute, e capaci di intendere e di volere. Bella fregatura!
Se non vivremo a lungo, secondo le aspettative, non avremo mai avuto la possibilità di vivere come volevamo, di stare con chi amavamo, se non nei ritagli di tempo.
Credevo che il lavoro del settore terziario avrebbe affrancato i lavoratori dalla fatica. Ma non è vero.
Credevo che le macchine avrebbero affrancato i lavoratori dalla fatica. Ma non è vero neanche quello.
Credevo che la cultura avrebbe migliorato le condizioni di vita. Non è vero.
Solo nel mondo della politica i lavoratori sono affrancati dalla fatica. Lì si lavora poco, ci si assenta liberamente, si fa la bella vita, si viene riveriti anche senza meriti e dopo pochissimo si va in pensione.
Perché io devo lavorare più di quarant’anni e loro due anni? O meno? Ma non è un’evidente ingiustizia? E se chiedi loro se lo ritengono giusto, balbettano qualcosa, perché sanno che qualunque cosa dicano è una bugia. E intanto nessuno li tocca.
Era meglio se nascevo contadina. Mi sarei svegliata al canto del gallo e sarei andata a letto con le galline, rispettosa dei ritmi della natura. Avrei lavorato duro, ma sarei vissuta all’aria aperta e, quando fossi diventata troppo vecchia per i lavori dei campi, nessuno mi avrebbe obbligato a fare quello che non potevo e avrei dedicato il mio tempo alla casa, a fare la polenta e a raccontare favole ai bambini.
Non lavoriamo per vivere, in realtà, ma per rendere i ricchi più ricchi. Per comprare cose inutili. Tutto il sistema ci rende schiavi di necessità che non sono vere necessità. Ci convincono che ci servono e ne diventiamo schiavi.
“Guarda come è bella questa automobile. Per esistere, per essere davvero importante devi assolutamente possederla. Grande, spaziosa. Veloce. Fa i 200 all’ora in un momento.”
“Ma siamo solo in due. A che cosa ci serve una macchina così grande? E non si può andare a 200 all’ora!”.
“Ma non importa! Tutti ti rispetteranno! Vedrai come sarà bella la tua vita!”
“Va bene. La voglio. È davvero stupenda! Come faccio ad averla tutta per me?”.
“Lavora! Lavora per me. Lavora tanto. E quando avrai lavorato tanto tanto, io te la darò. E sarà tutta tua e sarai importante agli occhi di tutti. E tutti diranno "Guarda che bella macchina ha Giovanni’. E tu sarai qualcuno. Vedrai come sarai rispettato! O forse ti comprerai la macchina più nuova che uscirà fra un po’ di tempo. Costa di più, ma ormai che ci sei, perché non prendere quella più esclusiva, nuovissima e superaccessoriata?”.
Quello che parla è il produttore dell’auto, che con i tuoi soldi fa la bella vita, vive in una bella casa, e ne ha altre di qui e di là, dove tu vorresti tanto andare un giorno, con tua moglie, almeno una volta nella vita, per farle vedere i bei posti che si vedono nei depliant turistici.
E quello che fa con te lo fa, ancora di più con i tuoi bambini, con i tuoi figli adolescenti. Li plasma e li trasforma in piccoli spendaccioni, che un giorno diventeranno spendaccioni adulti, schiavi del circolo vizioso lavora e guadagna - spendi e consumi il denaro- lavora per trovare il nuovo denaro per spendere - spendi e consumi il denaro- lavora per trovare il nuovo denaro per spendere - e così via.
Lui, il ricco per cui lavori, fa la sauna e i massaggi quando è stanco, e mangia in ristoranti di lusso, e frequenta feste e teatri, dove un biglietto costa 2500 euro. Glieli hai dati tu, quei 2500 euro, perché sei, fondamentalmente, un lavoratore di sua proprietà, un servo della gleba o della fabbrica o dell’ufficio. E se sei un negoziante lui, il riccone, schiaccia il tuo negozio con il suo megastore.
È una beffa. Tutto il sistema è assurdo: se nasciamo poveri siamo destinati a servire i ricchi. Anche se apparentemente ci danno la possibilità di studiare. Diventiamo laureati e non troviamo lavoro se non per pochi spiccioli. E per loro.
E ora ci dicono che dobbiamo fare i sacrifici, perché l’Italia va male e dobbiamo impedire che vada in bancarotta.
Noi dobbiamo fare i sacrifici? E finora che cosa abbiamo fatto?
Noi dobbiamo andare in pensione più tardi perché è necessario? Necessario per chi? Non per me.
No! Io voglio assolutamente andare in pensione quando è ora. E dico che “è ora” quando non sono ancora vecchia, e posso ancora vivere qualche anno da schiava libera, ancora capace di approfittare della bellezza della vita e del mondo. Ed “è ora” quando sono ancora capace di lavorare, perché ho lavorato tanto e sono stanca. Perché ho lavorato e studiato tutta la vita, e ad un certo punto è ora di smettere.
Non possiamo andare in pensione quando siamo da buttar via. Quando non possiamo più rifarci una vita.
Perché di questo, si tratta, di rifarci una vita. Liberi, finalmente.

Per gli insegnanti che mi scrivono

Cari colleghi, ricevo molte lettere, alcune delle quali chiedono consigli su problemi di cui ho già scritto nel libro. Vi prego di non scrivermi frasi generiche come "Vorrei sapere come interessare gli alunni" o "mi dia un consiglio su come diventare una brava insegnante". Quando mi scrivete, descrivete la situazione precisa, come nelle lettere che ho pubblicato sul blog. Ho scritto il libro "Consigli pratici per giovani insegnanti", per darvi un vero e proprio corso di didattica pratica, perché troverete nel libro anche i post più seguiti, ma ampliati e organizzati, da leggere e da rileggere. Altrimenti leggete, gratis, il blog.


Vi ricordo dove potete trovare il libro:
se avete urgenza di leggerlo c'è l'eBOOK qui.
Se volete il libro cartaceo, spendere meno (o nulla) per la spedizione, e riceverlo prima, cercatelo qui.
Se vi piace il mio blog, mi raccomando: pubblicizzate il libro! :-)
Grazie

Voglio andare in pensione quando è ora. Prima parte. 266°

Voglio assolutamente andare in pensione quando è ora.

Prima di diventare vecchia.

Prima di perdere la dignità.

Prima di fare danni.

Voglio andare in pensione. Ma questo non vuol dire che non mi piaccia il lavoro che faccio. O che non ho voglia di lavorare. No. E se osate anche solo pensarlo “vi si sfaccia la casa , la malattia v’impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi”, per dirla con Primo Levi.

Voglio andare in pensione quando è ora, perché sono stanca. Mi piace insegnare, ma sono stanca.

Sognavo di riprendermi la mia vita a sessant’anni. O prima.

Ho lavorato con il caldo e con il freddo. In mezzo al rumore assordante dell’adolescenza che sboccia. In mezzo a ragazzi bisognosi della mia attenzione costante. E l’ho fatto e lo faccio meglio che posso. Ma mi stanco. Nel fisico e nella mente. I ragazzi ti succhiano energie, se colgono che li vuoi aiutare. E tu li aiuti. Per anni e anni.

Ho dovuto cambiare ogni volta che a qualcuno è venuto in mente di cambiare: mi sono adeguata, anche se non ero d’accordo.

Ho dovuto affrontare le stupidaggini di tutti gli incompetenti che ho incontrato nella mia carriera, e sono stata costretta a eseguire ordini che non condividevo, contemporaneamente cercando di ovviare con grande fatica agli errori di chi li impartiva.

Sono stata tappata in casa, a una scrivania, per tutta la vita. Prima per studiare e poi per insegnare. E sono fortunata, perché c’è chi sta peggio di me. Il lavoratore che tutti i giorni entra alle otto ed esce alla sera, quando vive? E anche lui dovrà invecchiare al lavoro.

E quando saremo vecchi, spremuti, ci lascerannno andare, come rilasciano un carcerato che ha vissuto in prigione per quarantatré anni e che quasi quasi non vuole più uscire perché non sa più vivere libero.

Se avessimo ucciso, avremmo riavuto prima la nostra libertà. E non mi dite che esagero.

E poi: come si fa a lavorare fino a sessantasette anni? C’è qualche lavoro che si può fare a sessantasette anni. Il politico, per esempio.

Ma ci sono, oggi, tantissimi lavori che non si possono fare da vecchi. Non si può fare il calciatore fino a sessantasette anni. Ma neanche l’insegnante. Fare l’insegnante è difficile. È essenziale non perdere la dignità. Ma se ti fa cilecca la memoria la perdi. Se non hai la forza di rimproverarli quando serve, la perdi. Se ti scappa un bisognino e non riesci a trattenerlo perché i problemi alla prostata non vengono a trent’anni, perdi la dignità. Se sei tanto stanca da addormentarti in cattedra , la perdi, la dignità.

Se sei pieno di dolori e di acciacchi e non puoi scrivere, non puoi accompagnare i ragazzi in gita, ti ammali continuamente delle malattie degli anziani, non puoi più essere un bravo insegnante.

I ragazzi hanno diritto di avere insegnanti giovani e pieni di energie.

Non si può fare l'impiegato, e tenersi aggiornati con i programmi del computer; non si può fare l'infermiere e non sbagliare a distribuire le medicine, non si può fare il camionista e guidare dalla mattina alla sera , non si può fare il bidello e salire sulle scale. E non si possono più fare tantissimi lavori. O meglio, si possono fare se a più di sessant'anni sei ancora in efficienza. Ma gli altri?

Ma a loro – quelli che decidono – non interessa niente se non potremo più essere efficienti. Basta che ci sediamo sulle sedie a fingere di lavorare.

Ma se guidassi un aereo di linea (della loro compagnia e o di quella dei loro amici) non mi farebbero pilotare fino a sessantasette anni, perché se l’aereo cade i danni si vedono bene.

Se insegno e non sono più in grado di gestire la classe, di ricordare, di spiegare bene, gli alunni non precipitano da migliaia di metri per i miei errori, e perciò a chi importa? Sicuramente loro mandano in figli in una scuola privata piena di insegnanti giovani.
(continua nel post 267°)

martedì 6 dicembre 2011

In attesa di parlare di pensioni.....

In attesa di parlare di pensioni, vi invito a leggere (o a rileggere) questo post e questo ed anche questo. Ma soprattutto questo.

A presto!

lunedì 5 dicembre 2011

Lanciare sassi dal cavalcavia è normale. 265°

Ben dodici ragazzi fra i dodici e i quattordici anni avevano trovato un modo simpatico per ammazzare il tempo alla fine della giornata: andare a lanciare sassi dal cavalcavia.
Adolescenti di dodici e quattordici anni: l’età della scuola media.
L’idea sarà venuto a uno di loro. Certamente non uno di quelli seguiti e controllati dalla famiglia.
Non parlo dei figli dei genitori che delinquono (delinquenti) e che non hanno insegnato nulla ai figli. Parlo di famiglie come ce ne sono tante, oggi: i genitori lavorano- magari lontano- , i nonni lavorano ancora (ora lavoreranno anche più a lungo), i vicini lavorano, i parenti lavorano. A volte i genitori sono divisi e la mamma (alla quale vengono più spesso affidati) non può contare sulla quotidiana collaborazione del marito.
I ragazzi, molto spesso, non li può guardare nessuno.
Perché se la famiglia controlla, se è presente, se è a casa, sa che cosa fa il figlio durante il giorno. E sa dove va di sera: sta a casa o va a nuoto, o a casa di un amico, o a calcio.
Se la famiglia non può controllare, perché, per esempio i genitori lavorano fino a tardi e i ragazzi sono soli tutto il giorno, allora possono capitare tante cose, anche brutte.
I ragazzi sono ragazzi. È vero, ma alcuni sono più fortunati degli altri. E non sono tutti uguali. Oggi si chiama “ragazzo” anche un trentenne. Un tempo, nell’altro secolo, quello dei nostri genitori, nonni e bisnonni, un diciottenne era un uomo e un quattordicenne era “quasi un uomo”: lavorava e aveva delle responsabilità. Non aveva tempo per le sciocchezze.
Un tredicenne di oggi è un neonato, in confronto a un tredicenne di ieri. E non per colpa sua.
Non mi stanco di ripeterlo.
Per una volta non fermiamoci alla frase, al succo del discorso. Immaginiamo la situazione.
Mirko dice agli altri perdigiorno per necessità:
“Oh! Andiamo al cavalcavia. Facciamo a chi becca una macchina per primo?”
“Come?”, risponde Alessio.
“Eh! Come! Con i sassi, no? Scemo! Dai che ci divertiamo!”
“Non so..E se finiamo nei casini?”
“Ma che casini! Se c’hai paura dillo. Sei un frocio”
Alessio deve cedere.
“Macché, dicevo per dire. Andiamo a chiamare Domenico”.
Chiamano anche Toni, Alì, Matteo, Alessandro, Imad, Roberto, Edo, Adrian, Stefano.
Ci vanno. Lanciano. Ridono e saltano quando il sasso arriva giù insieme alla loro paura. Adrenalina gratis. Per vincere la noia. La noia esistenziale di chi non ha uno scopo preciso per affrontare la vita e la giornata. La noia di chi non ha sensi di colpa.
I più in gamba si guadagnano il rispetto degli altri beccando qualche auto.

“Oh!!!! L’hai beccata!! Mettiti giù!!! Ahahah!”
“Mitico!”
Tutte le sere. Senza nessun senso di colpa. Contenti. Fieri di aver fatto qualcosa di speciale. Si sentono qualcuno. In questa società è così ci si sente speciali. Non studiando o lavorando. Studiando o lavorando ci si sente sfigati. Lanciare sassi dal cavalcavia per loro è normale. E semplicemente divertente.
Ma io dico che c’è qualcosa che non va. Sarà per la quantità industriale di non insegnamenti e di insegnamenti sbagliati che ricevono fin da piccoli che si divertono così? Sarà perché assistono a programmi violenti che sono assuefatti alla violenza? Sarà che vedono intorno della gran gente maleducata, pezzi grossi che sono grandi maleducati, maleducati riveriti, disonesti impuniti? Sarà che assistono a programmi televisivi in cui si esortano i concorrenti alla delazione, al pettegolezzo, al “fatti gli affari altrui e poi raccontaceli” che trovano normalissima la scorrettezza? Sarà che viene loro presentato come divertente lo scherzo violento e cattivo e quindi cercano di provare la stessa ebbrezza? Sarà che li educhiamo a non avere sensi di colpa, il motivo per cui non li hanno?
Li educhiamo a non rispondere delle loro azioni e ad avere la pappa pronta e poi li vogliamo responsabili ed autonomi.

venerdì 2 dicembre 2011

“Insegno in due classi tremende. Aiutami a non mollare”. 264°.

Andrea mi scrive:

“Cara Prof. Milani, ho avuto una supplenza temporanea in un istituto tecnico, dove ho delle classi (3°, 4° e 5°) che non riesco a gestire in quanto gli alunni ignorano ogni richiamo (anche fatto ad alta voce con tono severo) all'ordine e impediscono il regolare svolgimento della lezione con versi di ogni genere e lanciandomi delle carte ogni volta che volto loro le spalle per poter scrivere sulla lavagna.

Ho provveduto da subito a sanzionare alcune classi con delle note disciplinari ed un alunno che sono riuscito a cogliere sul fatto mentre lanciava oggetti.. Quasi tutti gli alunni ignorano i miei richiami e non stanno al posto, ma vagano per la classe. Con molta fatica riesco ad evitare che escano dalla classe più persone contemporaneamente per andare in bagno. Dal momento che io cerco di spiegare comunque e quindi andare avanti con il programma (sono costretto a gridare per farmi sentire), alcuni alunni (gli stessi che disturbano) lamentano l'impossibilità di seguire la lezione dato il rumore di fondo che impedisce loro di concentrarsi. Considerati questi comportamenti subdoli messi in atto dagli alunni al fine di rendere impossibile lo svolgimento della lezione, è difficile sanzionare un singolo individuo dato che quasi tutta la classe è responsabile di questi atti vandalici, non avendo altri strumenti per insegnare in modo regolare, sto provvedendo alla valutazione didattica degli alunni (che ovviamente dimostrano di non aver appreso molto di quanto da me spiegato). Ho messo dei voti bassi agli interrogati (3), ma non sono riuscito ad ottenere alcun risultato apprezzabile. Peraltro non posso continuare ad interrogare perchè il programma svolto è esiguo e mi riesce difficile proporre esercizi tutti riguardanti lo stesso argomento.

Ho fatto presente la situazione al docente coordinatore di classe (che, ad oggi, non ha adottato provvedimenti finalizzati a risolvere il problema educativo coordinando gli sforzi educativi degli altri docenti). Alcuni docenti dicono di non aver difficoltà a gestire le classi e i collaboratori scolastici mi danno conferma che i comportamenti di cui sopra vengono messi in atto con i supplenti e con alcuni docenti di ruolo. Stando ad alcune indiscrezioni (voci di corridoio) il Dirigente Scolastico non è un interlocutore ideale cui far presenti questi problemi (e la cosa trova riscontro nel fatto che alcuni alunni, quelli che disturbano di più, mi chiedono di chiamare il Dirigente per ristabilire l'ordine).Vani sono stati i miei tentativi, numerosi ed energici, di motivare gli allievi, semplificare al massimo le discipline che insegno e cercare di instaurare un dialogo.Insegno in quest'istituto da 2 settimane e sto tenendo duro solo perchè ho voglia e bisogno di lavorare, ma in queste condizioni mi sembra ardua la sopravvivenza! Considerando che si tratta di un problema molto serio, chiedo suggerimenti per gestire questa incresciosa situazione nel migliore dei modi e per poter lavorare in condizioni più umane.”

Caro Andrea, mi dispiace dirti che non so quanto tu possa, dopo due settimane come quelle che descrivi, riprendere le redini della situazione. Se i ragazzi sono arrivati a lanciarti della carta quando ti giri, a prenderti per i fondelli ogni volta che possono, significa che hanno deciso che sei uno grazie al quale si può rendere meno noiosa la mattinata di scuola. Spesso, quando i ragazzi si comportano così, (e non con tutti i docenti) non c’è nulla di personale: non ti trattano male perché ti disprezzano. Non ti stimano, è evidente, ma forse sei loro simpatico, ti guardano bonariamente. Questo per dirti che non serve, ormai, fare il duro. Se hai constatato che non si impressionano quando alzi la voce, e, anzi, devi urlare per farti sentire, significa che quella strada deve essere abbandonata.

Se stai tirando un carretto carico e ti accorgi che per quanti sforzi tu faccia non si muove di un millimetro, significa che è troppo pesante per te: smetti di tirare. Il che non significa che devi rinunciare, che devi mollare. Non devi mollare, Andrea. Devi trovare un’altra strada. La prossima volta, la prossima supplenza, dopo aver studiato il mio libro, sono sicura che non farai più gli stessi errori.

Se vuoi fare l’insegnante devi imparare a farlo, anche superando momenti molto difficili, come questo. Solo chi insegna sa quanto può essere frustrante e terribilmente umiliante trovarsi nella situazione di non riuscire a gestire una classe. Rimboccati le maniche e pensa a che cosa puoi fare, abbandonando completamente tutto quello che hai seguito fino ad oggi. Non va bene, evidentemente. L'autorevolezza di acquisisce con il tempo.

Hai letto tutti i post del mio blog e il mio libro? Devi aver trovato degli spunti di riflessione che ti guidino. Individua i problemi e trova delle soluzioni. Sei un tipo mingherlino? Iscriviti ad un corso di body building. Impara a spezzare un mazzo di carte da ramino, poi entra in classe e spezzane uno senza parlare. Vedrai che smettono di parlare. Non per paura, ma per curiosità. Stupiscili. Fai qualcosa che li stupisca e che li spiazzi, qualcosa che da te non si aspetterebbero mai e che li spinga a riconsiderare la tua persona e il giudizio che hanno di te. Ho fatto l’esempio del mazzo di ramino, ma, se ci pensi, troverai qualcosa adatto a te.

Pensa, pensa, pensa, pensa. Leggi libri di comunicazione efficace. Studia, studia e poi agisci. Non fare niente di quello che si aspettano.

Prova. Poi fammi sapere.

venerdì 25 novembre 2011

Se regalate il libro per Natale

Cari lettori, se avete intenzione di regalare il libro "Consigli pratici per giovani insegnanti" ai vostri amici, o di regalarlo a voi stessi, comperatelo adesso, perché altrimenti non so se arriva in tempo! Sapete come sono le Poste italiane.
Lo trovate su LULU.
Per LULU valgono le seguenti date.
E, mi sembra più conveniente, su AMAZON. Ma per Amazon non conosco le date di spedizione garantite.

Vi ho avvertito, eh?





giovedì 24 novembre 2011

‎49.000 visite superate!

49.000 visite superate. Il prossimo traguardo è 50.000!

In realtà non vinco nulla, ma sapete ormai come sono, no? :-)

domenica 20 novembre 2011

"Amo insegnare ma forse non sono portata." 262°

Delia mi scrive:
“Gentile professoressa, leggo con interesse il suo blog da qualche tempo e mi sono decisa a scriverle dopo lunghe riflessioni.
Credo di aver scelto il lavoro sbagliato, non adatto a me. Insegno lettere (italiano e storia) nelle scuole superiori, e badi che non è stata una scelta di ripiego, anzi, ho abbandonato gli studi di giurisprudenza dopo il primo anno proprio per iscrivermi a Lettere con la precisa intenzione di insegnare alle superiori!!! Io amo le materie che insegno, sono il mio lavoro e la mia passione, mi rendo conto che non sarei stata disposta a sacrificarmi, come ho fatto, per studiare altro. E stupidamente pensavo che questa mia passione avrebbe fatto la differenza, che sarei riuscita a trasmetterla ai ragazzi, anche solo per far capire loro che credere in quello che si fa è una delle cose che ci fa stare vivi con la V maiuscola. Che ingenua! In realtà mi rendo conto che non riesco a fare nulla di tutto questo. Non riesco a suscitare interesse e a rompere il muro dell'indifferenza e del menefreghismo, della superficialità, non ho un metodo efficace e anche con la disciplina me la cavo maluccio. La pressione emotiva e psicologia legata al lavoro mi sta schiacciando e sento di non riuscire più a reggerla, ma non posso permettermi di rischiare l'esaurimento. Ho una famiglia che amo e che mi rende felice e non voglio che mio marito e miei figli risentano della situazione. Sono giunta alla conclusione che non mi resta che mollare questo lavoro, ma che fare? Il mercato, lo sappiamo bene, è quello che è; che vuole una laureata in lettere con solo l'insegnamento come esperienza lavorativa alle spalle? inoltre non posso permettermi economicamente di non portare a casa un stipendio. Dovrei quindi mandar giù, come si suol dire, e continuare a svolgere un lavoro per il quale non sono portata con il rischio di diventare una di quegli insegnanti demotivati che pensano solo allo stipendio a fine mese? Mi rendo conto che questa sarà la milionesima mail che riceve su questo problema, e, sì, ho letto con attenzione le sue risposte agli altri post, ma non sono riuscita a cambiare nulla. Mi sto davvero esaurendo e non so più che pesci prendere. Cordiali saluti . Delia”

Cara Delia, mi scrivi “amo le materie che insegno, sono il mio lavoro e la mia passione”, e poi scrivi “non mi resta che mollare questo lavoro”?
Quindi vuoi gettare la spugna perché incontri delle difficoltà? Come fai a comunicare entusiasmo, “a suscitare interesse e a rompere il muro dell'indifferenza e del menefreghismo, della superficialità”, se neanche tu credi in te stessa?
Hai scritto “stupidamente pensavo che questa mia passione avrebbe fatto la differenza”: non era un pensiero stupido. La passione si trasmette. Ma tu, in realtà, non credi nella tua passione.
Se hai letto tutte le lettere alle quali ho risposto (e ti assicuro che ce ne sono altre dello stesso tenore alle quali ho risposto privatamente) ti renderai conto del fatto che non sei la sola ad avere dei problemi. Dunque, se ti piace insegnare perché dovresti smettere?
Quello che devi fare è lavorare sulla tua autostima, e anche sulla tua preparazione. Puoi avere tutta la passione che vuoi, ma se scrivi “non ho un metodo efficace e anche con la disciplina me la cavo maluccio”, c’è qualcosa che non va. Tu devi studiare le strategie suggerite da chi le ha (cosa che stai facendo con quello che scrivo io, ma non sono la sola che può darti dei suggerimenti), devi riflettere, leggere, cercare soluzioni e idee e, soprattutto devi conoscere la tua materia alla perfezione. Finché te la caverai maluccio con la disciplina, ti sentirai insicura, avrai paura di sbagliare, e comunicherai insicurezza.
Spero di essere riuscita a chiarirti le idee.
Fammi sapere.

sabato 19 novembre 2011

L’insegnante deve essere anche attore. 261°

Sara mi scrive:

"Ciao Isabella, io con la mia classe le ho provate tutte... o quasi... dal rendere le lezioni più interessanti al cercare di parlare con loro, ma non è servito a nulla. Oggi dopo l'ennesimo richiamo ho detto"ora basta il primo che parla, anche per chiedere una gomma al compagno avrà una nota sul diario". Dopo un minuto ecco che un ragazzo dice qualcosa al compagno, allora chiedo il diario di entrambi visto che si deve essere in due per parlare... dopo un minuto una ragazza si alza per buttare un foglio; per essere coerente ho messo una nota anche a lei..

Allora hanno iniziato a protestare e a parlare tra di loro dicendo " anche io sto parlando"..e così via.
Io ho detto che con queste loro provocazioni non avrebbero ottenuto nulla, e anzi che se in futuro continueranno a disturbare la lezione farò subito una verifica (facendo scrivere un avviso sul diario, visto che le verifiche a sorpresa non si possono fare).
Così facendo ho paura di aver peggiorato le cose”

“Non credo che tu abbia peggiorato le cose, Sara. Credo che tu abbia fatto bene.

Ma se hanno cominciato a ribellarsi, significa che dal tuo tono non era abbastanza chiaro che non ammettevi comportamenti scorretti; il tuo sguardo non era abbastanza deciso (devi recitare la parte), non trasmetteva abbastanza il concetto "non vi conviene fare i furbi".

L'importante è essere rapidi nel trovare la soluzione ad un problema inaspettato. E bisogna imparare a comunicare con lo sguardo e con il sorriso. Il sorriso è importante. A volte, un sorriso senza parole, vi permette di prendere tempo per pensare al da farsi. Bisogna saper parlare sorridendo, ma con quel sorriso deciso, che non lascia mostrare i denti, e che non coinvolge gli occhi. Il sorriso forzato, finto, che contiene una punta di "ora vi faccio vedere che cosa succede a fare i furbi".

L’insegnante deve essere anche attore: recitare con i silenzi, gli sguardi e i toni della voce. Soprattutto con i ragazzi difficili. Deve saper usare il volume della voce per ottenere attenzione, silenzio, e per mantenere vivo l’interesse (se parlate a voce sempre uguale, sempre con lo stesso tono, il tono è “mono” e voi siete monotoni, e quindi non ).

Personalmente credo che li avrei guardati in silenzio da destra a sinistra, al rallentatore, e poi avrei sorriso e detto, ": "Oddio!! Stai a vedere che credete di essere nel film "Gli ammutinati del Bounty" (loro, facilmente, non lo conoscono e rimangono leggermente spiazzati). Bella interpretazione, bravi (annuendo con la testa e sorridendo). Invece state girando i provini per il film "Le avventure dei futuri bocciati". Spero che solo pochi verranno presi nel cast. Comunque, se nello spazio di tre secondi non c'è silenzio assoluto, io, che ho una memoria di ferro, fotografo le vostre facce e le vostre bocche aperte, e le note ve le metto con calma. Anche sul mio registro. Perché adesso non posso più perdere tempo. Allora, chi sta parlando?"

Supponiamo che uno dica, per far ridere gli altri, "Ma come fa a fotografare senza macchina fotografica?" Tu sorridi, gli punti un dito per indicarlo e, sorridendo rispondi soltanto "Fotografato!".

Vedrai che funziona. Bisogna imparare a reagire alle provocazioni senza abboccare, senza arrabbiarsi, rimanendo calmissimi.

Appena hai finito di leggere, però, esercitati a recitare la parte che ti ho suggerito. A voce alta, aggiustando il tono, il sorriso, le parole. Immaginando altre possibilità (conoscendo i ragazzi dovresti saper prevedere il loro comportamento in quella situazione.)

Ragazzi, dovete allenarvi a casa. Vedrete come sarete più sicuri a scuola.

Fammi sapere, Sara. Fatemi sapere tutti, quando avrete provato.

Poveri bambini, i bambini poveri. 260°

Noi insegnanti ce ne siamo già accorti: è tornata la povertà.

L’Istat ci dice che i bambini poveri sono sempre di più. Lo sapevamo. Lo vediamo a scuola, nella Scuola dell’obbligo, dove vengono, bene o male, ancora tutti. Poi, i poveri, smettono di andare a scuola e vanno a lavorare. In nero.

I bambini e i ragazzi che vivono in condizioni di povertà sono 1.756.000. Un milione e settecentocinquantaseimila minori che hanno vestiti rammendati, di puro acrilico puzzolente , che non hanno libri, perché quando arriva il buono del Comune spendono i soldi per mangiare, che se sbagliano troppe volte non hanno i soldi per comperare un altro quaderno, che non portano il buono della mensa.

Bambini e ragazzi con genitori disoccupati che vivono alla giornata e che non sempre hanno da mangiare quello che serve per stare in salute. Piccole fiammiferaie e piccoli Oliver Twist italiani, che vivono nel paese dei Balocchi degli altri. Bambini poveri che saranno sempre di più, se l’Italia non cambia rotta.

Lo scorso inverno un neonato di ventitré giorni è morto di stenti perché i genitori non avevano una casa dove tenerlo al caldo. Povero bambino, che è stato duecento settanta giorni, al calduccio nel grembo di sua mamma e poi, uscito nel mondo, nel nostro mondo italiano, è riuscito a sopravvivere soltanto ventitré giorni.

Bisognerà che ci decidiamo a prendere coscienza di questo fatto terribile: in Italia ci sono tanti poveri e tantissimi bambini e ragazzi poveri. La povertà, quella di cui ci parlavano i nostri nonni, e che sembrava sconfitta dal boom economico è tornata.

Il benessere, a lungo andare, produce anche malessere.

I ricchi diventano sempre più ricchi. I poveri diventano sempre più poveri. Anche i bambini e i ragazzi. I nostri alunni, quelli che abbiamo davanti ogni giorno, ai quali chiediamo di acquistare questo o quello. E ai quali si chiede di portare un contributo per un ben non specificato “funzionamento didattico”, come se non fosse lo Stato quello che deve far funzionare la scuola dell’obbligo. E lo chiamano “volontario”, ma ci constringono a rimproverarli se non lo portano, perché, evidentemente, lo Stato non lo ha ancora accettato, questo ritorno della povertà.

Smettiamo di dire che i ragazzi di oggi hanno tutto, perché in realtà molti non hanno nulla. Da un po’ i ragazzi non hanno i genitori a casa, costretti a lavorare tutti e due; non hanno nessuno con cui giocare perché sono sempre soli. Adesso i genitori, disoccupati, sono a casa e litigano, perché la povertà non fa bene alla coppia, e non hanno più neanche il necessario per vivere in modo spensierato. I bambini imparano il senso di precarietà, che chissà ancora per quanto farà loro compagnia. Imparano che non sempre quando si ha fame si può mangiare o quando si ha sete si può bere. E a volte il cappotto è diventato piccolo, ma è obbligatorio metterselo ancora perché i soldi non ci sono.

A scuola facciamo le ricerche sulla povertà nel mondo e la povertà ce l’abbiamo davanti, al primo banco, nel banco in fondo a destra, nel terzo banco vicino alla porta.

Continuiamo a dire che i ragazzi si comportano male. Ma vorrei vedere noi e i nostri figli, se, tornando a casa stanchi e affamati, spesso non ci fosse nulla sul tavolo e nulla nel frigo.

I ragazzi poveri non hanno voglia di studiare, perché sono infelici e hanno ben altro a cui pensare.

Tutti i poveri sono uguali, ma i bambini poveri sono più poveri.

mercoledì 16 novembre 2011

Una prof alle prime esperienze chiede aiuto. 259°

Serenella mi scrive:

“Buongiorno Isabella, sono una prof. alla prima esperienza. Insegno matematica e scienze in una scuola media privata paritaria.

Ho tre classi ben affollate ma, se con la prima e la seconda, nonostante qualche difficoltà si riesce a fare lezione, con la terza ho dei problemi. Ed ora mi spiego.

La mia difficoltà più grande è cercare di ottenere silenzio quando si fa lezione, sia quando spiego sia quando si fanno esercizi sia quando interrogo. Passo la maggior parte del tempo a richiamare e a controllare che stiano lavorando tutti e questo mi porta a spiegare logicamente poco e a fare tutto il resto malamente.... Da quello che so diversi alunni della classe dovevano essere bocciati lo scorso anno ma per una storia, secondo me assurda, sono arrivati in terza. Non sono stati bocciati perché la classe precedente era troppo numerosa per poterli accogliere. Inoltre diversi sono già stati bocciati in prima e sono presenti ragazzi con certificazioni dsa che richiedono maggiori attenzioni... Però adesso ci si trova in classe con ragazzi che nonostante un rendimento molto basso sono convinti che tutto gli venga concesso. Ho notato che questo comportamento di continua disattenzione non è solo con me ma anche altri insegnati. Come potrai ben immaginare ci sono libretti che dopo neanche due mesi di scuola sono pieni di note e come spesso succede si ricorre ai compiti di castigo. Ho provato anche io le due strade ma senza nessun risultato. Sono indifferenti a tutto quello che gli viene proposto (lezioni con la LIM e lavori di gruppo) e prendono tutto sempre con uno scherzo. Comprese le verifiche...su un'ora di verifica più di 20 minuti se ne vanno perchè non riescono a concentrarsi e continuano a parlare. Poi di conseguenza i voti per chi è bravo e si riesce comunque a concentrare sono buoni, per chi fa più fatica sono bassi. Ma come si può fare? perchè non riescono a riconoscere il limite? So che la prof dello scorso anno ricorreva spesso a castighi e mortificazioni per ottenere l'attenzione. Nella mia indole non c'è questa "cattiveria" ma ora la situazione mi sta sfuggendo.

A me piacerebbe avere un buon rapporto con loro, poter avere un dialogo ma la cosa risulta impossibile. Ci sono ragazzi con situazioni difficili che mi piacerebbe poter aiutare (oltre ai dsa, ci sono ragazzi con altre problematiche ), ma con la situazione che c'è è impossibile.

Ho letto con interesse i suggerimenti del post 251 su come suscitare l’interesse degli alunni, e mi piacerebbe avere qualche altro suggerimento.

So che non esiste la formula magica per risolvere i problemi ma io non mi do per vinta, vorrei veramente che si instaurasse in classe un clima sereno per lavorare bene...

Grazie dell'attenzione! Serenella”

Cara Serenella, tutti noi vorremmmo un clima sereno per lavorare bene.Diciamo che la devi considerare una conquista, non una premessa.

È ovvio che non può esserci silenzio costante in una classe, soprattutto se numerosa. E non sarebbe neanche giusto. L’importante è che ci sia silenzio quando spieghi, quando interroghi e, ovviamente, durante i compiti in classe. E capisco che non c’è.

Ti faccio notare qualche frase della tua lettera:

“Passo la maggior parte del tempo a richiamare e a controllare che stiano lavorando tutti e questo mi porta a spiegare logicamente poco e a fare tutto il resto malamente....”

Ti chiedo: e perché continui a spiegare se c’è disattenzione? Smetti subito. Parla a voce bassissima. Chiedi che ti ripetano quello che stai dicendo. Se non lo sanno, semplicemente, dai 3. Non ti arrabbiare davanti a loro, rimani calma, dimostra, così, di essere forte.

Non renderti patetica ai loro occhi parlando al vento.

(Sono sicura che quest’ultima frase ti avrà colpito, no?)

Esigi di mantenere la tua dignità. Convinciti del fatto che non devono farlo. “Su un'ora di verifica più di 20 minuti se ne vanno perchè non riescono a concentrarsi e continuano a parlare”? Concedi solo 25 minuti e poi ritira i fogli”.

Più fatti e meno parole. Non serve parlare tanto, a volte. Serve agire. Se i genitori vengono a protestare spiega bene che quello che vuoi è insegnare loro la matematica, soprattutto perché non ti sembra giusto perché sai che i genitori pagano la retta perché loro studino e non perché scherzino e rischino di ripetere l’anno. Anche i genitori ti devono rispetto. Non devi aver paura neanche di loro. E anche il dirigente. E, soprattutto, tu devi rispetto a te stessa: più ti stimi e più ti stimano gli altri. Non è una questione di “cattiveria”, ma di sicurezza in se stessi. Devi insegnare loro il rispetto per gli altri, oltre alla matematica. L’interesse degli alunni di ottiene dopo aver ottenuto il loro rispetto.

Fammi sapere, Serenella.

martedì 15 novembre 2011

Fatemi sapere come va con AMAZON!

Cari lettori dei "Consigli pratici per giovani insegnanti" che avete comperato il libro su Amazon, mi fate sapere come vi siete trovati con i tempi di spedizione? Mandatemi un messaggio su facebook o al mio indirizzo mail.
Grazie!

lunedì 14 novembre 2011

46.000 quarantaseimila visite!!

Il blog ha raggiunto le 46.000 (quarantaseimila) visite!!
Il fatto merita un post!
Grazie a chi legge!

domenica 13 novembre 2011

Intervista alla prof. Isabella Milani su "Famiglie felici". Seconda parte.

Ecco la seconda parte dell'intervista sul blog "Famiglie felici".
Fatemi sapere che cosa ne pensate!

Prima ribelliamoci e poi rimbocchiamoci le maniche. 258°

Adesso dobbiamo trovare la forza di ribellarci. E di andare avanti.
Ribelliamoci subito, al primo che continua a nominare il presidente del Consiglio dimissionario, del quale non ricordo più il nome, le escort, le feste, i bunga bunga, le corna, le gaffes, i trapianti di capelli, la bandana, le ville, le olgettine, le barzellette, le canzonette della piccola ape, le nipoti egiziane, le grandi opere.
Non usiamo più le parole “legittimo” e “impedimento”, separate o insieme, le parole “legge ad personam”, tutte le parole che iniziano con “berl-”, la parola “papi”, le parole “letto”, se abbinata a “Putin”, la parola “Fede”, se è riferita a – come si chiama quello? – ah sì, “Emilio”.
Ribelliamoci a chi ci ricorda le frasi “la suggerirò per il ruolo di kapò”, “è più bella che intelligente”, “i comunisti ai tempi di Mao facevano bollire i bambini per concimare i campi”, “ho rispolverato le mie doti di playboy con la presidente finlandese Tarja Halonen!”, “E' giovane, bello e abbronzato”, ” Ho troppa stima per l'intelligenza degli italiani per credere che ci possono essere in giro tanti coglioni che votano contro il loro interesse”, i giudici sono persone mentalmente disturbate, altrimenti non potrebbero fare quel lavoro"; “la magistratura è il cancro del Paese”, “mi sento moralmente autorizzato ad evadere le tasse”, “Eluana Englaro è una persona viva, che respira in modo autonomo, le cui cellule cerebrali sono vive e mandano anche segnali elettrici. Una persona che potrebbe anche avere un figlio“, “Da padre il consiglio che le do è quello di ricercarsi il figlio di Berlusconi o di qualcun altro che non abbia di questi problemi. Con il sorriso che ha potrebbe anche permetterselo”,
Ribelliamoci alla parola “gnocca” e al maschilismo che c’è dietro.
Ribelliamoci alla disoccupazione, alla sottoccupazione, e a tutti, - ma proprio tutti - i privilegi dei politici.
Ribelliamoci ai tagli alla Scuola e alla Sanità, prima di tutto.
Ribelliamoci agli sfruttatori, ai disonesti, agli inquisiti, ai mafiosi. Ribelliamoci ai soldi che ci hanno rubato con la scusa della crisi. Ribelliamoci a chi ci offende, a chi chiama “fannullone”chi lavora e “bamboccioni” i ragazzi, i nostri figli. E a chi vuole farci lavorare fino allo sfinimento perché "così vuole l'Europa".
Ribelliamoci, subito, al primo, di qualunque parte politica sia, che si mette a litigare, a fare della sterile polemica, a dare la colpa a qualcun altro, a dire che qualcuno ha fatto degli sbagli, che c’è la crisi, che non si sa come se ne uscirà, che è tutta colpa di quelli che c’erano prima. Non perché sono cose non vere, ma perché sono risapute. E perché siamo terribilmente stufi di sentirle, mentre noi qui stiamo andando a rotoli.
È come se fossimo finiti nelle sabbie mobili quasi fino al naso: parlare tanto non aiuta. Dobbiamo muoverci con calma e determinazione. Dovremo faticare parecchio e per molto tempo per uscire dalla melma, lo sappiamo, ma ce la faremo. Forse.
E una volta fuori ci puliremo bene e- solo allora – torneremo a vivere in un mondo pulito. Forse.
Dipende molto da ognuno di noi.

sabato 12 novembre 2011

L'Italia è a terra tramortita. Adesso deve rialzarsi. 257°

L'Italia è a terra, tramortita. Adesso deve rialzarsi. Possiamo farcela se non permettiamo più a nessuno di calpestarci e di perdere tempo in sciocchezze mentre noi stiamo affondando. Non so come sarà chi verrà dopo. Ma facciamo in modo di non ripetere gli errori del passato. Non dimentichiamo quello che è accaduto. La Storia può sempre ripetersi. Per questo la studiamo: per evitare gli errori.


venerdì 11 novembre 2011

Cari giovani, che cosa aspettate a ribellarvi? 256°

Cari giovani, vi vedo già quasi rassegnati prima di cominciare a lavorare davvero.
Dite “noi non avremo mai la pensione” senza rendervi davvero conto di ciò che questa frase significa.
Giovani, ma che cosa aspettate a ribellarvi?
Non sapete come si fa? Non possiamo dirvelo noi. Ogni generazione si ribella a modo suo e secondo le opportunità che offre la vita in quel periodo.
"Ribellarsi" significa prima di tutto non accettare passivamente, non tacere.
Usate tutte le possibilità lecite che vi vengono in mente. Avete il poderoso strumento di internet, avete giornali, anche quelli di provincia: scrivete,informate, protestate, urlate, cantate, fate chiasso, piangete, ridete, riunitevi pacificamente per condividere la vostra rabbia.
Avete diritto di studiare, di lavorare, di imparare a pensare e a capire. Avete diritto ad una vita onesta e tranquilla. E non ci può essere serenità se non c’è lavoro, se verrete sfruttati, dopo essere stati imbrogliati.
Non voglio più sentirvi dire, quasi scherzando e con rassegnazione “eh, il lavoro non c’è…Siamo in troppi e non c’è lavoro per tutti…A noi, la pensione, non la daranno mai!”.
Il lavoro si deve trovare! La soluzione si deve trovare! In pensione, quando sarete stanchi e anziani, dovrete andarci anche voi. Basta con le bugie! Basta con i privilegi dei potenti!
Che cosa aspettate a ribellarvi, cari ragazzi? Svegliatevi!
Scoprite che il mondo è anche vostro; anzi, soprattutto vostro. E non dei grossi ricconi e politici che pensano solo a loro stessi.
Non rimanete più ai margini, dove vengono relegati quelli che non lavorano. Non tollerate la situazione come se fosse ineluttabile. Non lo è.
Non siete fannulloni e bamboccioni. Siete ragazzi e ragazze che prenderanno in mano il mondo.
Ricordatelo sempre. Non permettete che vi trattino come pezze da piedi. Altrimenti ci ritroveremo un mondo uguale a quello del passato, dove voi sarete costretti a lucidare le scarpe dei figli dei potenti di oggi. Un mondo soltanto nelle loro mani.
Riprendetevi la vostra dignità.

giovedì 10 novembre 2011

Ho bisogno di credere che tutto si aggiusterà. 255°

Essere circondati da tutto questo sfacelo senza essere in guerra è terribile. Guardiamoci intorno: non c’è nulla che si salva.

La furia degli elementi distrugge oggetti, case, vite e ricordi, e ci rammenta che l’Uomo può essere spazzato via da quella Natura che giorno dopo giorno lui violenta e uccide per i suoi interessi. Ogni tanto, sotto forma di alluvione, di terremoto, di epidemia, spazza via tutto e costringe l’Uomo ad interrogarsi.

E mentre questo accade, i politici si accusano a vicenda e si mostrano addolorati e coinvolti. Ma per loro, in realtà, non cambia assolutamente nulla. Mai.

Diluvia. E intorno a noi un amico è disoccupato, un fratello è sottoccupato, una zia è stata licenziata, le tasse aumentano e le pensioni calano, le tasche sono vuote. I figli non vogliono più studiare e forse abbiamo una figlia, laureata, che ha dovuto fare la cassiera al supermercato.

Il futuro fa paura. Quello dei nostri figli. Il nostro. Non sappiamo nulla di quello che ci aspetta. Non sappiamo se andremo in pensione prima che la nostra vita sia finita. Sappiamo che i nostri figli ci andranno chissà quando. Sappiamo che dovremo mantenerli noi perché non troveranno lavoro.

Questa è l’Italia in cui i nonni lavoreranno e i giovani staranno a casa.

Togliere i sogni a una persona è togliergli tutto. E questa è l’Italia in cui i ragazzi non potranno più sognare.

L’Italia dei privilegi, degli ammanicati, dei disonesti, degli sfruttatori e l’Italia delle ingiustizie, dei soprusi e degli sfruttati.

L’Italia delle fregature colossali.

E la fregatura più grossa è quella che ricevono questi nostri sfortunati figli, che avrebbero dovuto vivere in un mondo migliore di quello della guerra e che si trovano ad essere specchio del mondo sporco che abbiamo loro lasciato in eredità. Li hanno resi incapaci di affrontare le difficoltà e adesso li fanno vivere in un mondo pieno zeppo di problemi. Hanno instillato in loro il demone del consumismo, togliendo subito dopo la possibilità di acquistare.

E l’altra grossa fregatura è per noi, che abbiamo lottato tanto – molto tempo fa – per un mondo migliore. E abbiamo ottenuto solo di diventare schiavi, legati al posto di lavoro come cinesi negli scantinati.

In nome di una ipotetica speranza di vita ci tolgono la speranza di vivere la nostra vita.

E mentre i politici gozzovigliano, fingono di litigare, o litigano per le poltrone, godono di privilegi assurdi e, senza vergogna, chiedono a noi i sacrifici per porre rimedio ai danni che proprio loro hanno procurato all’Italia, noi vediamo sfumare tutti i nostri progetti per il futuro: prima di tutto vedere i nostri figli lavorare, costruire la loro vita onestamente, migliorando la loro condizione, e subito dopo poterci permettere un po’ di riposo, un luogo dove vivere in modo confortevole, dopo aver lavorato tutta la vita.

Se avevamo rinunciato a tante piccole soddisfazioni per mettere da parte un gruzzoletto per le necessità e per la vecchiaia, ora ci dicono che forse andrà in fumo e non varrà più nulla, o forse dovranno metterci mano, o forse dovremo usarlo per mantenere noi e i nostri figli perché non ci sono più soldi per le nostre pensioni. Per le loro, invece, ci sono.

Ho bisogno di credere che dopo i temporali e le alluvioni tornerà il bel tempo. Che la gente tornerà ad essere onesta. Che i privilegi verranno cancellati e l’Italia diventerà finalmente un Paese più giusto, più bello.

Ho bisogno di credere che il peggio è passato, che sta per cominciare una nuova era, che la gente tornerà a fare progetti e a sorridere, e che tutto si aggiusterà.

Incrociamo le dita. Ma facciamo qualcosa per ribellarci a questa situazione.

lunedì 7 novembre 2011

FINALMENTE IL LIBRO è ANCHE SU AMAZON!!!

Finalmente potrete acquistare il libro cartaceo su AMAZON! Ed è scontato, per giunta!
Le spese di spedizione sono inferiori (e, oltre i 19 euro non ci sono spese) e i tempi di consegna decisamente più rapidi.
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Sono proprio contenta. Se non sapete fare acquisti su internet (Amazon è un sito sicuro), mettetevi in gruppo, fatevi aiutare. Una volta provato vedrete che è una cosa facilissima.
DIFFONDETE LA LIETA NOVELLA, mi raccomando. Perché, come ho già detto, per la pubblicità conto su di voi!
Fatemi sapere!

sabato 5 novembre 2011

“Ogni anno cambio scuola e devo ricominciare da capo". 254°

Monica mi scrive:

“Gentile Professoressa Milani, sono un' insegnante di scuola media di matematica e scienze..Sono giovane alle prime armi, e devo dire che ogni anno penso di avere fatto esperienza nella classe peggiore, mi sento forte quando inizio un nuovo anno, perché mi dico " non sarà peggio dell'anno scorso..", ma poi mi accorgo che al peggio non c'è limite...o perlomeno mi sembra che l'esperienza fatta non sia tanto utile come vorrei. Ogni anno cambio scuola e all'inizio non conosco gli alunni e i colleghi, è sempre una fatica che dura mesi: farsi conoscere e apprezzare, conquistare la loro stima e il rispetto, una fatica che appena dà i suoi frutti viene vanificata dal trasferimento in un’ altra sede. In queste condizioni come si può essere un buon insegnante? E' davvero possibile conquistare gli alunni e la loro attenzione in tempi brevi o addirittura dal primo ingresso in classe? Ogni classe ha una storia a sé e quello che impariamo l'anno precedente non necessariamente è utile l'anno dopo... Quest'anno mi è capitata una classe una seconda molto chiassosa, dai colleghi so che l'anno scorso gli alunni in matematica non hanno combinato niente in quanto avevano una docente che non era in grado di tenere la classe, alla sua ora c'era il marasma e la stessa dirigente scolastica mi ha detto che in quella classe si "sopravviveva" . Tutto ciò era dovuto alla presenza di un alunno che disturbava molto, che quest'anno non c'è perché è stato bocciato, quindi si aspettano che quest'anno vada un po' meglio. La classe è molto chiassosa, e soprattutto alle ultime ore di lezione mi è quasi impossibile fare lezione. In due ore sono riuscita solo a correggere un'espressione alla lavagna, interrogare 2 persone e fare un cruciverba scientifico, tutto questo intervallato da chiasso, urla e paternali da parte mia e alla fine una nota a quelli che secondo me sono stati più responsabili degli altri...A volte penso che forse i miei ritmi e le mie aspettative sono troppo alte per una classe del genere, per dei 12enni, forse per questo spesso rimango delusa e torno a casa frustrata..ma io voglio insegnare loro la matematica, solo che è davvero difficile ottenere la loro attenzione e concentrazione. Dovrei interessarli? Ma come? La matematica è matematica e devono imparare le frazioni, non posso dare loro cruciverba o giochi tutto il tempo, (con i quali peraltro ho visto che si calmano molto e si interessano). Non posso certo tagliare quella parte dal programma. Ho la sensazione che da parte degli alunni ci sia un muro, come se, abituati all'anno scorso, in cui in matematica non si faceva niente, diano per scontato che anche quest'anno andrà cosi. Ripetono spesso che vogliono di nuovo la prof dell'anno scorso, io appaio antipatica e troppo rigida e severa, e questo mi spiace perché sono anche convinta che a quell'età i ragazzi abbiano bisogno di regole, ma anche affetto. Ho convocato i genitori per fare sapere che l'atteggiamento dei ragazzi non è positivo, le cose sono migliorate per poco, ma poi sono tornate come prima. Forse loro si aspettavano che la classe quest'anno migliorasse e recuperasse l'anno perso, ma non credo che sarà cosi. Ci sarà molto lavoro da fare e a giorni torno a casa davvero disperata. Cosa mi consigli? Attendo con ansia il tuo libro. Grazie. Monica.”

Cara Monica, hai ragione: è molto stressante cambiare scuola ogni anno come accade quando si è supplenti. Ma consolati pensando che la gavetta aiuta a migliorare: tutte le esperienze che fai ti costringono ad adottare qualche strategia, magari assolutamente sbagliata, che, efficace o no, è esperienza che ti fai. Anche l’esperienza che ti porta a dire “ho sbagliato tutto” ti serve per non commettere più gli stessi errori. E le buone idee, anche se per qualche motivo non si possono usare l’anno successivo, prima o poi ti serviranno di nuovo, stanne certa.

Sì, credo che sia possibile “conquistare gli alunni e la loro attenzione in tempi brevi o addirittura dal primo ingresso in classe”. Devi scoprire come fare, e serve tempo e molta pazienza.

Non mi ripeterò nel sottolineare l’importanza di imparare ad avere un atteggiamento che porti gli alunni a comportarsi correttamente: puoi leggere i miei consigli sul blog e sul libro.

Faccio soltanto qualche osservazione: credo che con una classe come quella che descrivi forse i tuoi ritmi e le tue aspettative sono davvero troppo alte. Non devi insegnare “LA matematica”, uguale per tutti. Se la classe è molto difficile (attenzione: per tutti i docenti, non soltanto per te), credo che si possa (e si debba) davvero ridurre il programma e fare le lezioni importanti, quelle che sono impossibili da eliminare, con un approccio diverso. Ma non intendo che tu debba trasformarti in un saltimbanco che li diverte. Devi studiare (anche leggendo libri) come rendere interessanti gli argomenti. Interessanti per un alunno di quell’età, non per un docente universitario. Come? Dipende dal tuo background culturale, dalla tua formazione, dai tuoi interessi e dalle tue conoscenze personali. Sai tutto sulle rane? Trova una rana viva da portare a scuola. Porta a scuola qualcosa che li stupisca davvero, qualcosa di apparentemente assurdo, che non si aspetterebbero mai. Sai tutto sulle biciclette? Porta una bicicletta a scuola. Entra con la bicicletta, prevedi che rideranno e perciò ridi con loro della presenza della bicicletta in classe, chiamala per nome, previeni quello che diranno e poi, quando, al di là delle cose che dicono (e che dici tu, prima di loro) ti accorgi del fatto che ci sono sguardi incuriositi, pronuncia con sicurezza e calma la frase “Adesso basta. Sapete perché vi ho portato la bicicletta? Guardate che questa è una interrogazione: chi trova la risposta avrà un buon voto”.

Prevedi il fatto che diranno, per esempio: “Per fare un giro”. Fingi di considerarla una risposta seria e rispondi, senza battere ciglio “No, ho la macchina.” . “Per fare un giro nei corridoi della scuola” “No, i piedi mi funzionano ancora bene”. Ecc. Al primo che dà una risposta anche lontanamente accettabile (cioè, magari sbagliata, ma davvero con intenzioni serie) fai un sorriso e rispondi “Bene. Non è la risposta giusta, ma è un’idea interessante”. Comincia a dare qualche aiutino. “Vi do un aiuto: che cosa potrei calcolare di una bicicletta? Facciamo così: scrivete un elenco di tutti i calcoli che potrei fare osservando una bicicletta. Faccio il primo esempio: “potrei calcolare la circonferenza della ruota. Non dovete scrivere le risposte, ma soltanto le domande. È un’interrogazione scritta e darò il voto: 3 a chi non scrive niente; 4 a chi scrive solo una riga; 5 a chi scrive qualche riga; 6 a chi scrive 5 esempio di calcolo, e così via. Darò 8 a chi trova qualcosa di giusto a cui nessuno ha pensato. Prendete il quaderno e scrivete “Tutti i calcoli che posso fare su una bicicletta”. Scrivete in alto il vostro nome e la classe e cominciate: avete venti minuti di tempo.”

Al primo alunno che dice qualcosa di inutile dici “Senti Tizio, se tu non hai voglia di impegnarti, fai pure. Ti darò 2 invece di 3. Ma non trascinare giù a fondo anche i tuoi compagni che non vogliono ripetere l’anno. Perché, è ovvio, Tizio, che avrei tanto piacere che tu venissi promosso, ma non potrò scrivere il falso. Se avrai 3 te lo dovrò mettere alla fine dell’anno”.

Non so se mi sono spiegata. È facile? No: è difficile. Bisogna essere preparati davvero, e non soltanto nella materia che insegniamo. Bisogna avere nel nostro kit di emergenza tantissime strategie e conoscenze. Personalmente, per prepararmi, faccio così: guardo qualche volta i programmi che guardano, per poter fare riferimenti “Senti, Tizio, smettila, per favore. Ma chi credi di essere, Walker il Texas ranger?”; “Senti, Caia, stai attenta. A chi stai pensando a Luca di Tolla del Grande Fratello?”. “Sempronio, ma non potevi studiare, fra una chat e l’altra?”. “Non sai rispondere alla domanda? Guarda che dovevi studiarla sul libro a pag. 166, non su messenger”. “Va bene, ho capito che sei spiritoso. Metti la battuta sul tuo profilo facebook. Io metto il voto sul registro, invece, perché la battuta che hai fatto era carina, a purtroppo non era il momento giusto per farla”. Gli altri della classe rideranno, ma questa volta con te, e non con il compagno disturbatore. Ma non permettere che gli manchino di rispetto. Sii inaspettatamente (per loro e per lui) protettiva nei suoi confronti. perché tu, comunque, sei l'insegnante e hai il dovere di essere giusta. Fallo parecchie volte e vedrai che le battute sciocche diminuiranno drasticamente.

Renditi conto del fatto che è molto difficile, ma non impossibile, se capisci come fare.

Se i ragazzi si sono abituati l’anno scorso a non fare nulla, se i genitori si aspettano miracoli, parla chiaramente e spiega la situazione. Non ti sentire in colpa, perché devi essere consapevole del fatto che le loro pretese sono assurde, e sono quelle di chi non si rende conto di quello che significa insegnare.

Un’ultima osservazione: dici che i ragazzi hanno bisogno di regole, ma anche affetto. È vero, Monica. Ma non devi dare tu l’affetto di cui hanno bisogno. Quello è compito dei genitori. Tu devi dare loro regole, preparazione, comprensione nelle difficoltà, aiuto e rispetto. Il che non ti impedisce, dentro di te, di provare anche affetto.

Sarebbe come se il medico dicesse che il malato ha bisogno di cure e affetto, e che il medico ha il dovere di darglieli. Non ti suona assurdo?

Spero di averti aiutato. Fammi sapere.

mercoledì 2 novembre 2011

Che tenerezza i giovanissimi supplenti. 253°

Li riconosci subito non tanto perché li vedi giovani, ma perché non sanno tenere il registro. Noi lo teniamo con la disinvoltura di chi ormai lo sente quasi come parte del corpo: non ci accorgiamo più neanche di averlo. Loro lo portano come si porta un bambino da mostrare al mondo.
Si incontrano nei corridoi più signorine che giovanotti (non voglio chiamarli “ragazzi” perché sono troppo grandi, e sono “professori”, e neppure mi sento di chiamarli “uomini” e donne”, perché sono troppo giovani). Li guardo: sono contenti e preoccupati nello stesso tempo. Si aggirano per la Scuola dandosi un contegno, ma sono un po’ smarriti e solo di rado si azzardano a chiedere spiegazioni a noi vecchi*. Ci danno del “lei”, perché ancora non si sentono da questa parte della barricata e ci dicono “buongiorno”, come se fossero ancora studenti.
Mi fanno tanta tenerezza. Hanno tanti sogni: sono insegnanti, finalmente. Vogliono insegnare. Vogliono lavorare, rendersi utili, avere il loro posto nella società. Non vedono l’ora di spargere fra gli alunni tutto quello che hanno imparato. So che hanno tanta paura, molti di loro. Si chiedono se saranno all’altezza del grande compito che hanno loro affidato. Si fingono disinvolti, perché non vogliono che la loro emozione si veda. Camminano sorridenti e soddisfatti della supplenza. Sentono che forse adesso, finalmente, il vento girerà a loro favore e sarà sempre in poppa. Parlottano fra di loro, i supplenti giovanissimi. Chissà che cosa si dicono?
Vorrei che non dovessero mai vedere quello che abbiamo visto noi a scuola. Vorrei, come vogliamo per i nostri figli, che il loro ottimismo e il loro entusiasmo, non si scontrassero mai con la dura realtà della Scuola che a poco a poco rende gli insegnanti disincantati, frustrati e delusi. Vorrei che non vedessero mai come verranno trattati dalla società: come fannulloni e incapaci. Sono troppo pessimista?
Chiedo a una di loro:
“Chi sostituisci?”.
“Sostituisco l’insegnante di inglese della sezione B”.
“E per quanto tempo?”
“Per ora per due giorni. Poi mi diranno qualcosa”.
“Speriamo”, dico io anche rendendomi conto che è come sperare che la mia collega si ammali più a lungo.
Lei si rattrista per un momento, mi guarda come si guarda un confidente:
“L’anno scorso ho insegnato solo una settimana in tutto un anno”, dice alzando l’indice per sottolineare quanto era poca una settimana.
Scuoto la testa e dico “Ma perché non vi ribellate?”.
Cari giovanissimi supplenti, mi fate molta tenerezza, ma anche un po’ di tristezza.

* "vecchi", perché ad un certo punto siamo vecchi per questo lavoro. Non ci può essere tanta distanza fra un alunno e un professore. Dovrebbe essere messo un limite. Altro che pensione a 67 anni!

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