La professoressa Isabella Milani è online

La professoressa Isabella Milani è online
"ISABELLA MILANI" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy dei miei alunni, dei loro genitori e dei miei colleghi. In questo modo ciò che descrivo nel blog e nel libro non può essere ricondotto a nessuno.

visite al blog di Isabella Milani dal 1 giugno 2010. Grazie a chi si ferma a leggere!

SCRIVIMI

all'indirizzo

professoressamilani@alice.it

ed esponi il tuo problema. Scrivi tranquillamente, e metti sempre un nome perché il tuo nome vero non comparirà assolutamente. Comparirà un nome fittizio e, se occorre, modificherò tutti i dati che possono renderti riconoscibile. Per questo motivo, mandandomi una lettera, accetti che io la pubblichi. Se i particolari cambiano, la sostanza no e quello che ti sembra che si verifichi solo a te capita a molti e perciò mi sembra giusto condividere sul blog la risposta. IMPORTANTE: se scrivi un commento sul BLOG, NON FIRMARE CON IL TUO NOME E COGNOME VERI se non vuoi essere riconosciuto, perché io non posso modificare i commenti.

Non mi scrivere sulla chat di Facebook, perché non posso rispondere da lì.

Ricevo molte mail e perciò capirai che purtroppo non posso più assicurare a tutti una risposta. Comunque, cerco di rispondere a tutti, e se vedi che non lo faccio, dopo un po' scrivimi di nuovo, perché può capitare che mi sfugga qualche messaggio.

Proprio perché ricevo molte lettere, ti prego, prima di chiedermi un parere, di leggere i post arretrati (ce ne sono moltissimi sulla scuola), usando la stringa di ricerca; capisco che è più lungo, ma devi capire anche che se ho già spiegato più volte un concetto mi sembra inutile farlo di nuovo, per fare risparmiare tempo a te :-)).

INFORMAZIONI PERSONALI

La mia foto
La professoressa Milani, toscana, è un’insegnante, una scrittrice e una blogger. Ha un’esperienza di insegnamento alle medie inferiori e superiori più che trentennale. Oggi si dedica a studiare, a scrivere e a dare consigli a insegnanti e genitori. "Isabella Milani" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy degli alunni, dei loro genitori e dei colleghi. È l'autrice di "L'ARTE DI INSEGNARE. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi", e di "Maleducati o educati male. Consigli pratici di un'insegnante per una nuova intesa fra scuola e famiglia", entrambi per Vallardi.

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giovedì 25 dicembre 2014

BUON NATALE E BUON 2015!!!!!!!!!!!!!


Carissimi lettori,

vi auguro un bellissimo Natale con le persone che amate:
Vi auguro bei giorni di festa pieni di abbracci, baci, risate, sorrisi, regali, addobbi, sorprese, brindisi, incontri, noccioline americane, torroni, cioccolato, panettone, vino buono, musica, un po’ di riposo e tanta serenità.

Grazie per l’entusiasmo con cui mi seguite nel blog; grazie per le lettere che mi scrivete, per i complimenti che mi fate, per la pubblicità che fate al mio libro.
Grazie per le soddisfazione che mi date quando mi raccontate di come il mio libro vi ha aiutato.




E vi auguro uno straordinario 2015: che sia proprio l’anno che aspettate, quello in cui si avvererà il vostro sogno, l'anno in cui vi accadrà qualcosa di veramente bello e speciale.

martedì 23 dicembre 2014

"Un aiuto, un parere, una parola di conforto..." Seconda Parte. 497° post

Sabrina mi scrive:

"Gentile professoressa Milani, 
le scrivo per raccontarle la mia storia in una grigia giornata decembrina e avere un suo parere, se vorrà dedicarmi una risposta.
[…]
Cosa dovrei fare secondo lei e come valutarmi oggettivamente come insegnante, per capire se sono un'insegnante degna di questo nome? Se vale la pena continuare o è meglio che inizi a cercare qualcos'altro?”

Cara Sabrina, ognuno di noi porta con sé, anche in classe, la sua vita. E a volte la nostra vita è carica di dolore. Vivere con una persona con problemi psichiatrici – soprattutto se si tratta della madre – è un carico di dolore come ce ne sono pochi. La madre dovrebbe essere la tua guida, il tuo faro, e invece in quel caso non lo è più. Tu non sei più figlia. Diventi tu la madre di tua madre e deve fare tu per lei quello che sarebbe naturale che lei facesse per te. È molto doloroso, e facilmente può far nascere un senso di rabbia, di frustrazione, di astio, verso la vita stessa che ti ha riservato una condizione così difficile, e spesso anche verso tua madre, che ti costringe con la sua malattia a impostare la vita in una direzione che non vorresti. Ma sai che non è colpa sua, e, quando ti rendi conto di quello che provi, senti anche un senso di colpa. Ma non è nemmeno colpa tua, Sabrina. E di questo devi renderti conto, e puoi farlo solo con l’aiuto di uno psicologo o di uno psichiatra. Solo quando riuscirai a perdonare te stessa, tua madre e la vita stessa potrai diventare forte e serena.
Come molte volte ho scritto – nel blog e nel libro – insegnare è davvero difficile. Ma lo è di più quando lo affronti senza le forze necessarie. Dici “fisicamente e psicologicamente non lo reggo più...”. Per forza! L’insegnamento è usurante perché è un lavoro che consiste nell'aiutare gli altri. I bambini e i ragazzi hanno bisogno di noi, soprattutto quando sono bambini e ragazzi difficili, problematici, che ci rovesciano addosso il loro disagio e si aspettano che li aiutiamo. Ci risucchiano le energie, e ci fanno star male quando stanno male. È normale, Sabrina, che tu fatichi tanto, che ti senta svuotata! Non possiamo aiutare qualcuno se abbiamo noi per primi bisogno di aiuto.
E ti senti inadeguata. Ma non devi chiedere troppo a te stessa. Scrivi “mi è arduo ricordare le cose, fare lezioni interessanti, ma come si fa? per farmi venire un'idea in una materia e metterla in pratica, ci metto un pomeriggio, e poi le altre materie?”
Nel mio libro trovi parecchie pagine su come si insegna. Rileggilo lentamente, durante le vacanze di Natale. Adotta il metodo che suggerisco e imparerai a trovare molte idee. Dormi! Non ti sentire in colpa se non hai abbastanza competenze informatiche, o se non hai viaggiato. Ripromettiti di farlo quando starai meglio. E renditi conto del fatto che nemmeno gli altri sono perfetti: molti insegnanti non hanno buone competenze informatiche e hanno viaggiato pochissimo. E allora? Imparerai! Pensa a quello che sai fare e non a quello che non sai fare.
Sì, direi che sei depressa. E ne hai motivo: non hai avuto il tempo di divertirti, di ridere con le amiche, di essere spensierata, di diventare ottimista, di imparare ad affrontare le cose senza lasciarti travolgere. Chi deve affrontare prove molto dure poi si abitua a sentirsi bastonato e ad aspettarsi altri colpi dalla vita. Devi farti seguire e curare, Sabrina. Poi vedrai tutto in un altro modo, compresa la Scuola.
Dici: “Mi piacerebbe realizzare laboratori, fare qualcosa di costruttivo, di interessante, ma quest'anno sono davvero a corto...”. Pazienza, lo farai. Adesso segui un metodo diverso, più semplice. Decidi adesso tutto quello che farai e riduci al minimo il programma: fai solo quello che serve davvero. Riduci al minimo le verifiche scritte: servono a poco. La Scuola non è questione di quantità, ma di qualità. Non devi cambiare lavoro. Traspare dalle tue parole che sei una brava insegnante. Hai soltanto bisogno di ritrovare te stessa.
Se per te “è frustrante leggere gli occhi annoiati dei tuoi alunni” sappi che lo è per tutti. Ma nel mio libro devi aver trovato molti suggerimenti: mettili in pratica!
Hai scritto: “Ho letto il suo libro velocemente e ricordo che in un passaggio diceva che è importante per un insegnante essere curiosi di tutto, leggere e interessarsi a tutto; ma quante ore dovrebbe durare una giornata?” Semplicemente le ore che hai a disposizione!  E ti sei già risposta: “ma lì fuori c'è un mondo che a mala pena riesco a scorgere per tutto il brillìo delle sue luci diverse e stimolanti...”
Ecco dove devi trovare il materiale interessante per le tue lezioni.
“Mentre le scrivevo, ho pianto anche un po'. E' stato uno sfogo in tutti i sensi.”: hai fatto bene, Sabrina. A volte, nella vita, serve piangere un po'.
Ti auguro un anno meraviglioso, completamente nuovo. Fammi sapere.


giovedì 18 dicembre 2014

"I professori non dovrebbero comprendere il disagio di mio figlio?". 496° post



Flavia mi scrive:
“Gentilissima professoressa avrei bisogno di un suo consiglio... sono mamma di un ragazzino di 12 anni che a breve si dovrà operare alla colonna vertebrale per via di una brutta scoliosi degenerativa. Mio figlio porta il busto da 2 anni ma senza alcun miglioramento anzi... per motivi di salute e familiari ci siamo trasferiti di regione. L'anno scolastico è iniziato male, alcuni compagni con cui voleva legare sono stati ostili, non ha più voluto mettere il busto a scuola, è diventato scontroso e poco collaborativo, insomma non è per niente felice di questo trasferimento. I professori hanno reagito al suo comportamento (non portava il materiale, indisponente, spesso impreparato) con continue note e segnalazioni nel diario che indicano il suo comportamento. Tutto questo accadeva il primo mese di scuola... io sono stata convocata e in seguito andavo quasi giornalmente a parlare con gli insegnanti, ho preso un aiuto per far studiare mio figlio (3 volte a settimana) e la situazione sembrerebbe migliorata ma ogni tanto mio figlio fa qualche passo indietro e si comporta in modo indisponente prendendo altre note... arrivo al punto: con il passare dei giorni ho capito che mio figlio vorrebbe sentirsi accolto dai compagni e dai professori, ha bisogno di calore e di sentirsi capito e accettato. In passato non ha mai avuto né note né altro, è sempre stato un bravo ragazzino ma al momento sta attraversando un grosso disagio per i motivi già elencati... mi chiedo se i professori non dovrebbero comprendere questo suo stato e comportarsi di conseguenza per evitare di esasperare la situazione già parecchio delicata. Sono preoccupata, quando torna da scuola dopo qualche nota che lui vive malissimo non mangia e mi dice che vuole andare via da questa città che sente ostile nei suoi confronti. Ho parlato di questa situazione alla pediatra e con la psicologa ed entrambi mi hanno detto che è normale e che ci vuole tanta pazienza e tolleranza. Domani avrò i colloqui generali con i prof che sono al corrente di tutto, come posso fare a fargli comprendere che questo loro metodo sta peggiorando la situazione? Le ho provate tutte e adesso vorrei documentare il tutto e presentarlo in presidenza. Avrei bisogno di un suo suggerimento. Grazie, buona giornata. Flavia."

Gentile Flavia, lei attribuisce alla Scuola un disagio che forse con la Scuola non c’entra, se non di riflesso. Avete cambiato regione: evidentemente non ha gradito il cambiamento e non si sa adattare alla nuova situazione. Credo che in qualsiasi classe e con qualsiasi professore sarebbe stato lo stesso. Se “in passato non ha mai avuto né note né altro, è sempre stato un bravo ragazzino” probabilmente stava bene nella sua città, nella sua regione.
“Quando torna da scuola dopo qualche nota che lui vive malissimo non mangia e mi dice che vuole andare via da questa città che sente ostile nei suoi confronti.” Le chiedo: come può una città essere ostile nei suoi confronti? Lei lo ascolta perché forse si sente un po’ in colpa per averlo dovuto portare via dalla sua città. E forse – aggiungo - lui lo ha colto e tenta di farvi andare via da lì. Non ci caschi. Non è colpa sua, se vi siete trasferiti.
Lui vive malissimo le note. Perché? Vorrebbe continuare a essere indisponente, a non portare il materiale, a non studiare, pretendendo che i compagni e i professori siano comprensivi e tolleranti? Quando un alunno è indisponente, non porta il materiale e non studia bisogna rimproverarlo, prestargli il materiale, spiegargli che lo deve portare, che non deve interrompere la lezione e che non deve essere indisponente; bisogna scrivere la nota, dirgli che deve studiare, ecc.  Questo, Flavia, porta via tempo a tutti. È giusto? Sì, gli insegnanti devono comprendere il disagio di suo figlio, ma devono anche insegnargli come ci si comporta nella vita. In classe gli insegnanti hanno anche dei doveri verso gli altri, non solo verso suo figlio. E non solo lui ha dei problemi, mi creda. Noi, nelle scuole, abbiamo molti bambini e ragazzi che hanno problemi, anche gravi. Abbiamo bambini con tumori, o che vivono con un genitore che sta morendo. Dobbiamo tenere conto di tutti.
Suo figlio deve capire che non è giusto che faccia pagare agli altri il suo disagio. E questo concetto vale per tutti e per tutta la vita. In altre parole: lui ha dei problemi causati dalla sua scoliosi e si aspetta che tutti perdonino i suoi comportamenti scorretti. Voi, a casa, vi aspettate la stessa cosa. I professori possono comprendere ma non possono tollerare. La tolleranza si può avere quando siamo a casa o nello studio del pediatra e dello psicologo. Ma a scuola ci sono tanti altri bambini e ragazzi e, come ho già detto, sono pochi quelli non hanno problemi.
Lei mi scrive: “Le ho provate tutte e adesso vorrei documentare il tutto e presentarlo in presidenza.”
Le chiedo: che cosa vuole documentare? Non lo faccia. È meglio, prima di tutto per suo figlio. E soprattutto, rimproveri suo figlio e gli insegni a non piangersi addosso, a non fare ricatti morali a lei, che infatti sta già male, e al resto della sua famiglia. Gli spieghi che la vita è difficile, con o senza scoliosi , e che le difficoltà vanno affrontate, senza creare disagio negli altri. Gli insegni che se i compagni non lo hanno accettato forse è colpa sua, che, arrivando da fuori, aveva il dovere di entrare in punta di piedi e non a gamba tesa. Gli insegni, infine, che se una persona è indisponente riceve atteggiamenti indisponenti. Ed è giusto che sia così. “Si balla come si sente suonare, insomma”. Vale per tutti.
Gentile Flavia, probabilmente non è quello che avrebbe voluto sentirsi rispondere, ma è quello che può aiutarla davvero.
Mi faccia sapere.

mercoledì 17 dicembre 2014

"Un aiuto, un parere, una parola di conforto..." Prima Parte. 495° post


Sabrina mi scrive:

"Gentile professoressa Milani, 
le scrivo per raccontarle la mia storia in una grigia giornata decembrina e avere un suo parere, se vorrà dedicarmi una risposta.

Ho 37  anni, due anni fa sono entrata di ruolo e insegno da sette anni alle medie. Questo in corso è l'ottavo. Ho studiato Lettere, con molta difficoltà. Non per la materia, ma per una situazione familiare che mi ha sempre condizionato, ovvero la malattia di mia madre (affetta da gravi problemi psichiatrici), e per l'essere, io, la sola che potesse occuparsi di lei. Sono cresciuta e ho quindi iniziato il mio percorso di studi finalizzato al mondo del lavoro con questo clima e questo forte condizionamento, che non mi ha lasciato mai abbastanza tempo e serenità per pensare a quello che volevo io, a ciò che mi sentivo  di fare. Scelsi Lettere, perché mi sembrava la facoltà più fattibile in una situazione così precaria e quando mi laureai (a luglio), non ebbi il tempo  nemmeno di guardarmi intorno, perché uscì il bando per la SSIS...Pensavo, anche lasciandomi consigliare da parenti nel settore, che poteva essere una scelta naturale, normale, ma non credevo che l'insegnamento sarebbe stato così, come l'ho vissuto appena entrata nel mondo della scuola e ora da docente di ruolo...

Fisicamente e psicologicamente non lo reggo più...
Ora mia madre, da quasi un anno, è ricoverata in una struttura specializzata, ed io ne ho sentito il contraccolpo emotivo...
Soprattutto, non riesco a sostenere i ritmi fisici di dover preparare le lezioni o correggere le verifiche o le esercitazioni...eccetera. Dormo, se va bene, cinque ore per notte e il giorno dopo sono uno straccio. Preparo lezioni (anche su power point), ma non sarò mai abbastanza, perché mi mancano molte competenze (digitali ad esempio o di altro tipo...Che senso ha insegnare la geografia se non si è mai stati all'estero?Purtroppo non ne ho avuto la facoltà con una madre malata o forse sono io semplicemente inetta?)...Ho difficoltà a studiare, ci metto molto tempo per concentrarmi, mi è arduo ricordare le cose, fare lezioni interessanti, ma come si fa?per farmi venire un'idea in una materia e metterla in pratica, ci metto un pomeriggio, e poi le altre materie? E per fortuna che quest'anno ho chiesto 12 ore! Sapevo di essere in difficoltà, in una sorta di esaurimento...ma oramai, gentile professoressa, sono in ballo e il guaio è che non riesco a prendere il ritmo...Vorrei cambiare lavoro!Ma dove vado? In ogni caso dovrei fare studi per specializzami: il mio sogno sarebbe quello di aprire una libreria per ragazzi...
Mi chiedo se è normale sentirsi così, se è accettabile buttare, come è successo negli ultimi dieci giorni, tre ore di geografia (che sono 'oro'!) perché non sono riuscita a preparare la lezione (per storia, letteratura, grammatica, eccetera), perché arrivo all'una e ho troppo sonno. Odio improvvisare e quando spiego devo sapere esattamente dove voglio andare...quindi ho faticato a esprimere concetti e non sono riuscita ad andare avanti con i successivi paragrafi...Non si può essere perfetti, ma io non sono adeguata. Mi piacerebbe realizzare laboratori, fare qualcosa di costruttivo, di interessante, ma quest'anno sono davvero a corto...Mi sto anche chiedendo se non valga la pena chiedere un'aspettativa, ma sarebbe un danno per gli alunni, che devono affrontare l'esame, si ritroverebbero con un supplente. Già hanno avuto la docente di tedesco in malattia per molti mesi...In più quest'anno hanno cambiato due professori, di matematica e di Lettere. Inoltre l'insegnante di Lettere è coordinatore ed è una figura importante...
Non vorrei tediarla a lungo. Ho già approfittato della sua pazienza, se ha letto fin qui. Desidererei un consiglio da chi ha molta esperienza, lavorativa e umana. Cosa dovrei fare secondo lei e come valutarmi oggettivamente come insegnante, per capire se sono un'insegnante degna di questo nome? Se vale la pena continuare o è meglio che inizi a cercare qualcos'altro?
Gentile professoressa, è frustrante leggere gli occhi annoiati dei miei alunni, quando spiego. Sì, è vero questo succede di rado con storia o italiano, meno con geografia, ma purtroppo non ho tempo (e in questo periodo nemmeno lo spirito e le energie) per leggere altro dal libro di testo e farmi venire idee nuove sulla didattica...
Ho letto il suo libro velocemente e ricordo che in un passaggio diceva che è importante per un insegnante essere curiosi di tutto, leggere e interessarsi a tutto, ma quante ore dovrebbe durare una giornata? Mi piace leggere, quest'anno mi sono iscritta ad un corso di teatro, mi incuriosisce la scrittura creativa, ma lì fuori c'è un mondo che a mala pena riesco a scorgere per tutto il brillìo delle sue luci diverse e stimolanti...
Mentre le scrivevo, ho pianto anche un po'. E' stato uno sfogo in tutti i sensi. Grazie in ogni caso. Cordialmente. Sabrina"

Continua...

martedì 16 dicembre 2014

ULTIME RECENSIONI A "L'ARTE DI INSEGNARE". 494° post


5.0 su 5 stelle ULTIME RECENSIONI A L'ARTE DI INSEGNARE. CONSIGLI PRATICI PER GLI INSEGNANTI DI OGGI


5 su 5 stelle Ottimo libro guida per gli insegnanti, 16 dicembre 2014
Di Marco Voi (Verona, Italy) - su L'arte di insegnare. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi (Copertina flessibile)

Ottimo libro guida con indicazioni pratiche. Utile per genitori e studenti per capire la scuola è il difficile lavoro degli insegnanti e un libro immancabile dalle librerie dei professori che spesso si trovano impreparati davanti a situazioni difficili.


5 su 5 stelle Un libro davvero utile per gli insegnanti (e non solo), 13 ottobre 2014
Di Marco Cerase - su  L'arte di insegnare. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi (Copertina flessibile)


Un libro molto utile per gli insegnanti nuovi e vecchi (e che forse farebbe bene anche a qualche genitore).
E' scritto in linguaggio semplice e chiaro, tenendosi lontano dall'orrido "didattichese", e affronta in maniera pratica le problematiche relative alla gestione e alla motivazione del gruppo classe, con un taglio che rivela una lunga esperienza sul campo.
E' un libro che fornisce ottimi spunti di riflessione da tradurre nella pratica quotidiana dell'insegnamento, ma che non disdegna il suggerimento o il trucchetto pratico.
E' un libro che fornisce ottimi spunti di riflessione da tradurre nella pratica quotidiana dell'insegnamento, ma che non disdegna il suggerimento o il trucchetto pratico.

GRAZIE AI DUE MARCO per il tempo che mi hanno dedicato !!!

domenica 14 dicembre 2014

BUON NATALE E BUON 2015!!!!!!!!!!!!!


Carissimi lettori,

vi auguro un bellissimo Natale con le persone che amate:
Vi auguro bei giorni di festa pieni di abbracci, baci, risate, sorrisi, regali, addobbi, sorprese, brindisi, incontri, noccioline americane, torroni, cioccolato, panettone, vino buono, musica, un po’ di riposo e tanta serenità.

Grazie per l’entusiasmo con cui mi seguite nel blog; grazie per le lettere che mi scrivete, per i complimenti che mi fate, per la pubblicità che fate al mio libro.
Grazie per le soddisfazione che mi date quando mi raccontate di come il mio libro vi ha aiutato.


E vi auguro uno straordinario 2015: che sia proprio l’anno che aspettate, quello in cui si avvererà il vostro sogno, l'anno in cui vi accadrà qualcosa di veramente bello e speciale.

venerdì 12 dicembre 2014

"Per me fare l'insegnante è un orrendo ripiego" 493° post


Una lettrice anonima ha scritto questo commento:

"Ciao, ho 45 anni suonati, avevo già insegnato 12 anni fa alle elementari poi avevo smesso per fare tutt'altro lavoro; poi altro round ad una scuola professionale dal 2005 al 2008, anche lì fuggita non appena ho trovato un posto come impiegata... quest'estate, dato che ero ferma ormai da 3 anni, mi sono messa nelle graduatorie di istituto, ma per me è sempre lo stesso orrendo RIPIEGO, per me fare l'insegnante non è una sconfitta, ma LA SCONFITTA, ovviamente il lavoro che ti fa schifo lo trovi subito, è chiaro!!!
Odio la loro maleducazione e l'arroganza di molti dei loro genitori che, spesso, completa il delirio che già creano loro... meno male tra poco è Natale e non li vedrò per circa 3 settimane... un abbraccio a tutti quelli/quelle che sono messi come me... non mi capacito come possa piacere una simile professione..”

Ecco, dedico un post  a questo commento (che non ho pubblicato), perché credo che sia molto significativo. 
Ma come è possibile che possa fare l'insegnante chi ha questa idea dell'insegnamento? Come  può essere brava un'insegnante che odia gli alunni? 
La Scuola va male anche per questo. Una persona che considera l'insegnamento un "lavoro che fa schifo", "un orrendo ripiego",  " una sconfitta" non dovrebbe poter accedere all'insegnamento. 
"Non mi capacito come possa piacere una simile professione..", dice.  
Io non mi capacito di come si possa fare l'insegnante solo perché è un lavoro, anche se fa schifo, perché non si trova altro.
Per fare l'insegnante - o meglio - per essere bravi insegnanti è indispensabile avere un grande interesse per gli alunni; bisogna volerli aiutare; essere fieri di loro. Non sono sacchi di patate.


mercoledì 10 dicembre 2014

“Mio figlio è stato umiliato dalla professoressa”. 492° post

Corrado mi scrive:

“Gentile Professoressa, leggendo le sue risposte, sempre molto dense di umanità, mi sono deciso a sottoporle il mio, anzi nostro, problema con una insegnante di mio figlio che frequenta la prima superiore di un istituto tecnico. Detto questo andrei al punto che è questo: la premessa è che non corra simpatia, presumo reciproca, fra la prof. di matematica e alcuni studenti, ma ritengo eccessivo, umiliante ed atto ad abbassare notevolmente l'autostima di mio figlio, come ad altri, facendo fare esercizi più "facili" come compito e esprimendo il concetto ad alta voce e scandendo il nome dei "fortunati" a tutta la classe.
Lo stesso giorno, mio figlio è tornato a casa abbattuto ed umiliato e non aveva il coraggio o la vergogna di dircelo. Ci siamo sentiti umiliati anche noi come genitori e a caldo volevo scrivere una lettera di fuoco al preside, ma ho lasciato sbollire la rabbia, credo giustamente, ed ora mi rivolgo a Lei per un consiglio sperando ritenga interessante il tutto. Grazie anticipatamente”


Caro Corrado, credo che lei, come spessissimo accade ai genitori, tenda a sentirsi in dovere di difendere suo figlio dagli “attacchi” dei professori. Spesso i genitori scambiano per antipatia il tentativo di far capire ai loro figli che bisogna impegnarsi, che bisogna studiare. In tutte le scuole gli insegnanti possono decidere di dare agli alunni che hanno delle difficoltà degli esercizi più facili per farli recuperare; è l’”insegnamento individualizzato” che tutti dovrebbero applicare. Lo fanno per aiutarli, non per umiliarli.
I genitori dovrebbero imparare a dare per scontato il fatto che l’insegnante non ha antipatie e simpatie; che le scelte didattiche non si devono discutere, che l’insegnante sta facendo il suo lavoro e che non si devono né esprimere giudizi affrettati né dare consigli su come insegnare, perché lo specialista è l’insegnante, non il genitore. Il fatto che possano esserci (e ci sono) cattivi insegnanti, insegnanti frustrati o incapaci non significa che siano tutti così e che si debba dare che scontato che è meglio essere sospettosi. È sbagliato e controproducente. Se i figli percepiscono che i genitori diffidano degli insegnanti (e lo percepiscono di sicuro) finiscono per perdere anche loro la fiducia negli insegnanti.  
Lasci che suo figlio affronti le sue difficoltà. Non si preoccupi se vive un po’ di frustrazione. È capitato a tutti.





martedì 2 dicembre 2014

È il momento di pubblicizzare il mio libro! Grazie!


Cari lettori,
se siete lettori del blog,
se vi piace quello che scrivo,
se avete letto il mio libro
nella prima edizione
o nella seconda,
siete invitati a consigliarlo a tutti!
Sotto le Feste le librerie si riempiono di libri:
non vorrete che il mio piccolo “L’arte di insegnare”
rimanga nascosto, o sia addirittura assente!?

Non può competere con i libri pubblicizzati su TV e giornali! 

Voi che lo conoscete e apprezzate dedicatemi un po’ di tempo per consigliarlo a tutti (e regalarlo ai vostri colleghi!) . Consigliatelo soprattutto al vostro libraio! Condividetelo sulla vostra bacheca di facebook o su Twitter! So che molti di voi lo fanno già: grazie a tutti!

Ohhhhh! Un po’ di pubblicità anche per me! 

P.S. Mi raccomando: quando lo comperate, ricordate che dovete assicurarvi che sia la seconda edizione!



martedì 25 novembre 2014

25 novembre: la donna, l'uomo padrone e la violenza. Seconda Parte. 491° post

Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Si pensa soprattutto alle donne uccise e a quelle picchiate. Ma ci sono anche tutte quelle donne che non vengono picchiate e non vengono uccise, ma che vivono nella paura che “lui” si arrabbi e che le aggredisca con gli insulti e con le minacce. “Lui”, se si arrabbia, le annienta psicologicamente, facendole sentire inadeguate, “sbagliate”, incapaci. Le donne vittime di un uomo padrone sono condannate a una vita infelice. A meno che non imparino a ribellarsi. Ma per ribellarsi hanno bisogno di due cose: 1. Diventare consapevoli del fatto che non è vero che hanno loro la colpa delle urla e delle minacce del marito; 2. Essere aiutate.
Però è molto difficile che queste due cose si realizzino perché anni di “non sei capace di fare nulla!”, “sei una cretina!”, “non sai neanche educare i figli”, “ormai sei diventata grassa”, “e vestiti bene! guarda come sono le altre donne!”, “sei solo una spendacciona!”, “io mi sacrifico e guarda tu come mi ripaghi!” sviluppano nella donna forti sensi di colpa e rendono impossibile ribellarsi alla situazione. Bisogna che qualcuno la aiuti, anche se la donna di un uomo padrone di solito non frequenta amiche, perché lui non glielo permette.
Ma che cosa si può fare, allora?
Possiamo fare qualcosa tutte noi: aiutiamo le nostre amiche a rendersi conto del fatto che valgono, che non devono pensare che “meritano” le urla. Facciamo sentire che non sono sole. Convinciamole ad andare da uno psicologo. O da un avvocato.

Ma quello che possiamo fare davvero è prevenire queste situazioni.
La lotta alla violenza sulla donna comincia nelle case e nelle scuole, quando i bambini sono piccoli.
Voi, genitori di bambini piccoli, e noi, insegnanti di bambini e ragazzi, dobbiamo cogliere ogni occasione per spiegare che non si deve picchiare nessuno e che quelli che lo fanno verranno disapprovati da tutti. Mettiamolo noi, questo senso di colpa, perché non è vero che i sensi di colpa non devono esistere. Esiste un senso di colpa “giusto”, che è quello che ci dice che stiamo sbagliando e che il nostro comportamento non è accettato dalla società. Un tempo i bambini venivano educati a forza di sensi di colpa ed erano condannati a una vita di ansia. Ci si è ribellati a questo e la conseguenza è, oggi, la quasi assenza di sensi di colpa dei bambini e dei ragazzi. Tutti noi – genitori e insegnanti- abbiamo esperienza di bambini e ragazzi che trovano “normali” comportamenti per i quali dovrebbero provare vergogna (“che cosa ho fatto? Stavamo scherzando...”)
Ecco: rendiamoci conto del fatto che ci sono comportamenti che sono sbagliati, inaccettabili per un vivere civile. Bisogna insegnare ai bambini che ci sono delle regole di comportamento, nella società, e che la violazione di queste regole li deve fare sentire in colpa. Non si prende in giro, non si umilia, non offende, non si picchia, non si odia, non ci approfitta di chi è più debole, non si ride delle disgrazie altrui, non si lascia solo chi ha bisogno di aiuto, non si evitano le responsabilità, non si mente, non si imbroglia, e via dicendo.
Contemporaneamente, quando educhiamo, dobbiamo essere consapevoli del fatto che non possiamo educare (come facevano un tempo le madri e le nonne) a forza di sensi di colpa, perché ci sono dei sensi di colpa “cattivi”, che possono essere creati da errori educativi e che vanno assolutamente combattuti: se non ubbidisci la mamma piange, se ti comporti male non ti voglio più bene, se ti lasci picchiare sei un buono a nulla, se continui a comportarti male a scuola mi farai morire di crepacuore, se non hai la ragazza non sei un vero uomo, se hai delle esperienze sessuali sei immorale, se sei omosessuale sei un pervertito, sei malato, fai schifo.
Alla mia generazione sono stati instillati molti sensi di colpa cattivi, soprattutto per quanto riguarda la sfera sessuale. Ma ci ripetevano anche “La donna non si picchia neanche con un fiore”, “guai a picchiare uno con gli occhiali!”, “se picchi una donna sei un violento e un vigliacco”, “se porti via anche solo una penna che non è tua sei un ladro!”. E ci ripetevano anche moltissimi “Devi!”.

Direi che è il momento di darci da fare davvero a educare i figli e gli alunni alla non violenza. Perché, anche se si può credere che nelle case e nelle cose questo venga già fatto, se analizzate bene non lo facciamo con impegno, perché consideriamo ovvi certi concetti. Il rispetto e la non violenza non sono innati: bisogna insegnarli. Credo che sia più vicino allo stato di natura prendere quello che si vuole con la forza e con la furbizia.
I comportamenti antisociali si modificano solo con l’educazione. La violenza contro le donne si combatte a casa e a scuola.

Prima Parte

sabato 22 novembre 2014

25 novembre: la donna, l'uomo padrone e la violenza. Prima Parte. 490° post

Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Bene! Fa piacere che se ne parli. Che se ne scriva. Che se ne discuta e che si producano documentari, film, servizi giornalistici, studi, ricerche, tavole rotonde. E anch'io ne sto scrivendo. Ma sono scettica riguardo al fatto che le cose cambieranno. Le cose non cambieranno finché non cambierà la mentalità, sia degli uomini che delle donne.
Da che mondo è mondo, l’uomo ha fatto violenza sulla donna. La donna, oggi come sempre, viene picchiata, mutilata, violentata psicologicamente, terrorizzata, stuprata, uccisa. E questo capita alle donne deboli, ma anche a quelle forti. Può capitare a tutte: alla fruttivendola e alla dirigente d’azienda. Perché se una donna incontra un uomo violento, che la considera inferiore, la donna non ha armi per opporsi alle sue urla, alla stretta delle sue mani sui polsi, ai suoi schiaffi, ai suoi pugni. E il terrore la blocca anche quando lui non c’è, perché l’attesa dell’uragano è terribile quanto l’uragano stesso. Una donna vittima di violenza fisica è sempre vittima anche di violenza psicologica. E quando l’uomo non c’è, la donna aspetta il suo ritorno e ha paura, perché non sa se quello sarà il giorno fortunato, in cui tutto filerà liscio, o se sarà quello in cui lui rientrerà ubriaco, o arrabbiato e ricomincerà a picchiarla. E anche se non sempre nella realtà accade, per lei accade sempre nella sua immaginazione. È la paura anticipatoria che sfinisce e porta a rinunciare a qualsiasi tentativo di reagire e alla sottomissione totale.
Non voglio parlare delle donne picchiate, però, e neanche di quelle uccise. Voglio parlare delle donne sottomesse, quelle che vivono magari vicinissime a noi. Perché è solo una donna sottomessa quella che permetterà a un uomo di spingersi fino alla violenza fisica e all'omicidio.
Ci sono moltissime donne, intorno a noi, che conducono una vita apparentemente normale, che ridono e scherzano, ma che in realtà sono infelici, intrappolate in rapporti con uomini che non le picchiano, ma ci vanno sempre vicino. Per ogni donna uccisa, picchiata, stuprata, ce ne sono moltissime che sono vittime di uomini padroni che le fanno vivere nella violenza psicologica.
L’uomo padrone si sente proprietario assoluto della sua donna. L’uomo padrone è possessivo. La comanda a bacchetta, pretende da lei obbedienza cieca, la umilia se cerca di “alzare la testa” e la usa come punching ball per sfogare le sue frustrazioni. Vuole che la donna sia sempre a sua disposizione; la isola, per poterla dominare meglio. Le impedisce di avere una vita sociale, di parlare con le amiche, di uscire, di frequentare i parenti, per non rischiare che qualcuno le apra gli occhi, che la renda consapevole di quello che le accade e del fatto che esiste la possibilità di ribellarsi.
L’uomo padrone riempie la donna di sensi di colpa, accusandola per ogni sua debolezza e rimproverandole aspramente ogni suo errore, facendole credere che se lui si arrabbia è perché lei se lo merita, perché non è una brava moglie, non è una brava madre, non è capace di fare nulla. L’uomo padrone tradisce la donna e la convince che è giusto, perché lei non è neanche una brava amante. E piano piano questo lavaggio del cervello unito alla paura la convince di non valere nulla, e annienta la sua autostima e ogni sua possibilità di reagire.
Un tempo il marito padrone non voleva che la moglie andasse a lavorare, e pretendeva che si dedicasse completamente ai figli e che gli facesse trovare sempre il pranzo pronto in tavola quando tornava dal lavoro.
Adesso il marito padrone pretende che la donna vada a lavorare, e anche che si dedichi completamente ai figli, che lavi, che stiri, e che gli faccia trovare sempre il pranzo pronto in tavola quando torna dal lavoro. Altrimenti? Altrimenti non la picchia, ma le fa capire chiaramente che si sta trattenendo per non metterle le mani addosso, ma che potrebbe farlo, in futuro.  Urla, la guarda con rabbia, spacca gli oggetti, dà un pugno contro il muro, alza minacciosamente le braccia, stringe i pugni, gesticola avvicinando le mani al viso della donna, la insulta, la minaccia. E questo annienta qualunque donna. La fruttivendola come la dirigente d’azienda. E le condanna a una vita infelice. 
A meno che...




mercoledì 19 novembre 2014

“Ho una classe difficile e non so come fare”. Seconda Parte. 489° post



Rispondo alla lettera del post 488°  **


Cara Mariangela, mi sembra che tu abbia capito come devi fare. Quello che ti manca è capire che ci vuole tempo e pazienza. Molto tempo e molta pazienza. Con gli alunni veramente difficili di solito ci vogliono anni e, soprattutto, spesso non si riesce a gestirli perché non è soltanto una questione di educazione: hanno atteggiamenti che derivano da problemi psicologici, quando non psichiatrici, e se un alunno è psicotico, per esempio, (certificato o, più spesso, non certificato) non puoi farcela. A volte ti riesce e a volte no, dipende dalla giornata e dal momento. Magari a casa, al mattino, ha avuto uno scontro con la mamma e arriva a scuola già destabilizzato.  Devi imparare a distinguere fra un maleducato e uno che ha problemi di autocontrollo, di gestione della rabbia, e di disturbi patologici, che lui stesso non riesce a gestire e per i quali occorrerebbe un supporto psicologico o psichiatrico.
Con un ragazzo semplicemente maleducato, cioè male educato, esigi che impari presto a comportarsi civilmente. Gli spieghi quello che è giusto fare, qual è il comportamento corretto e perché (se è stato male educato non lo sa) e poi esigi che si adegui.
Ma se sai che un ragazzo ha alle spalle una vita difficile, non è questo il modo giusto per ottenere qualcosa.
Se un ragazzo che ha un passato di abusi, di violenza e di abbandono, comincia a urlare in classe o nel corridoio della scuola; se scappa dalla classe; se picchia senza motivo; se ostenta menefreghismo e aggressività – per esempio urlandoti frasi come “mettimi la nota, chissenefrega!” non è certo guardandolo male o mettendogli una nota sul registro che potrai fargli cambiare atteggiamento.  Se reagisce con rabbia e aggressività per qualsiasi parola che a lui sembra – a torto – offensiva, è perché probabilmente viene trattato così a casa o per la strada. Se un ragazzo ha un comportamento assurdo e reazioni sproporzionate è perché qualcuno – fuori dalla scuola- tiene con lui un comportamento assurdo e ha reazioni sproporzionate. Se un ragazzo, quando perde le staffe, urla frasi che ti ricordano le frasi di una adulto violento, pensa che ci sono buone probabilità che stia ripetendo le frasi che urlano a lui, e che stia restituendo il male che gli viene fatto.
La difficoltà consiste nel saper distinguere un comportamento per il quale occorre rimproverare, comunicare disapprovazione con lo sguardo, o anche lanciare un urlo come quello che fai tu quando dici “Ma la pianti?!!”, da un comportamento che esprime grande sofferenza, dolore, ribellione verso la vita. In quel caso, l’unica speranza è quella di dare al ragazzo molta dolcezza, disponibilità, pazienza. Bisogna fargli capire, con l’esempio, che esistono adulti equilibrati, affettuosi, gentili, calmi, disponibili. È molto difficile conquistare la fiducia di chi è stato scottato. Ma ci si può riuscire.
Questo significa – come qualcuno starà semplicisticamente pensando mentre legge – che sono una sostenitrice del “buonismo”? (tra l’altro, che parola antipatica!). Assolutamente no. Bisogna essere fermissimi. Ma parlargli fuori dalla classe, spiegargli che cosa vogliamo da lui, comunicargli – anche dicendoglielo esplicitamente – che ci interessa, che teniamo a lui e vogliamo che sia felice. Dobbiamo spiegargli molto bene che il suo comportamento non lo renderà felice, e, anzi, gli procurerà un sacco di guai, nella Scuola e nella vita. Per capirci, bisogna parlargli con il tono pacato e dolce che si usa con un mastino che temiamo possa aggredirci e al quale ripetiamo “Buono…”, perché intuiamo che un atteggiamento aggressivo avrà una risposta ancora più aggressiva. Quando quell’alunno non sta alle regole bisogna rimproverarlo, ma senza mai fargli perdere la faccia, altrimenti bisognerà ricominciare tutto da capo.
I ragazzi difficili richiedono il massimo da noi, specialmente perché assorbono molte delle nostre energie dal punto di vista emotivo e perché ci rendono difficilissima la lezione. E perché con loro, più che con gli altri, non possiamo permetterci di sbagliare.
Un consiglio che ti do senz’altro, perché è determinante, è quello di parlare ai suoi compagni di classe quando lui non c’è. Devono capire che se non gli metti una nota sul registro o sul diario, se decidi di mandarlo a fare le fotocopie o se gli permetti di andare ai servizi più spesso di quanto fai con loro, è perché è un ragazzo che ha difficoltà a comportarsi correttamente e tu lo stai aiutando. Spiega bene che anche loro devono avere pazienza. Chiedi se secondo loro è giusto aiutare chi ha più difficoltà o chi si comporta già bene. Chiedi se trovano giusto aiutarlo o se invece pensano che – semplicemente - si debba lasciarlo perdere, sospendendolo o bocciandolo. È molto importate che si convincano della necessità di aiutarlo. E comunque spiega loro che tu non permetterai che loro rovinino il lavoro che stai facendo per aiutarlo. Non permetterai che loro ridano e neanche che sorridano quando lui fa delle battute fuori luogo, o maleducate, perché ogni volta che lo fanno, lo incoraggiano a continuare a comportarsi male. E precisa bene che se lo faranno tu li giudicherai, per questo, come persone poco mature. Perché la maturità non significa fumare o bere, ma anche rendersi conto dei problemi e cercare di risolverli. Infine fai capire che il comportamento del loro compagno influisce anche sulla loro vita, perché se loro ridono, tutta la classe perde tempo e nessuno impara. Se non si impara, poi non si va avanti con il programma, non si riceve una buona preparazione e in futuro sarà più difficile trovare lavoro. Quindi si tratta di un problema di tutti, e tutti – insegnanti e alunni – devono aiutarlo.

Un’altra riflessione da fare: molto spesso capita che ci siano colleghi che pensano solo a zittire, e a punire i ragazzi difficili, convinti che “anche gli altri alunni hanno diritto di seguire correttamente la lezione!” e pensano che l’unica soluzione sia quella di sospenderlo per farlo stare a casa il più possibile, “fuori dalle scatole”. O trovano come soluzione quella di mandarlo fuori dalla classe, come ha fatto la tua collega. “Nel primo mese e mezzo di lezione è andato abbastanza bene, abbiamo cominciato a lavorare, collaboravano tutti, anche quelli più difficili”, dici. Il motivo per cui i tuoi ragazzi difficili, dopo il primo periodo “hanno buttato la maschera” consiste nel fatto che all’inizio noi insegnanti stiamo tutti attenti a studiare i ragazzi. Poi la rabbia ha il sopravvento e qualcuno comincia ad aggredire il “disturbatore di turno”, provocando le sue reazioni e buttandogli giù la maschera. E un alunno già molte volte ferito reagisce subito, difendendosi con le unghie e con i denti a quella che considera un’aggressione. E, come ho molte volte già detto, una volta che viene fatta perdere la faccia a un alunno difficile, tutto diventa enormemente più difficile. Per tutti, anche per te che sei stata attenta, perché non si fida più di nessuno.
È indispensabile, quindi, convincere i colleghi, oltre che i compagni di classe che l’idea che sia giusto “sacrificarne uno per salvare gli altri” non deve valere. I ragazzi difficili sono persone, zavorra da sganciare per viaggiare più snelli.

Detto questo, manca l’ultima importantissima cosa da fare. Se abbiamo uno o più alunni veramente difficili dobbiamo fare di tutto perché vengano aiutati, perché, se sospettiamo che siano vittime di violenza, vengano presi in carico dagli assistenti sociali; perché il Comune, l’Asl e la scuola riservino per loro delle risorse per fornire un supporto agli insegnanti e a lui.



Non rispondo a commenti anonimi.

Messaggio per chi legge il blog e scrive dei commenti: come ho scritto tante volte, anche nella pagina iniziale, non pubblico e non rispondo a chi scrive un commento senza preoccuparsi di mettere una firma, che, come sappiamo, può essere anche un nome inventato. 
Non rispondo neanche a chi usa parolacce per spiegarsi meglio, a chi fa della polemica o a chi muove delle critiche senza rendersi conto che questo blog non è un forum di discussione.
Prego tutti di leggere quello che ho scritto nella prima pagina. Grazie.

“Ho una classe difficile e non so come fare”. Prima Parte. 488° post


Mariangela mi scrive:

“Buonasera Isabella, mi chiamo Mariangela e sono una docente di matematica in una scuola secondaria di primo grado. Quest'anno ho, tra le altre classi, una seconda che mi sta cominciando ad impensierire. Li ho conosciuti quest'anno.

È una classe difficile, con quattro alunni certificati, di cui tre per problematiche comportamentali. Su tre ore di insegnamento posso beneficiare solo di un'ora di compresenza con docente di sostegno che non può portare fuori in piccolo gruppo tutti e quattro gli alunni perché tra loro litigano. Nel primo mese e mezzo di lezione è andato abbastanza bene, abbiamo cominciato a lavorare, collaboravano tutti, anche quelli più difficili ai quali davo del lavoro da fare e cercavo di seguire come potevo. Da un paio di settimane le cose sono peggiorate...i due difficili, ma seriamente difficili con storie di abbandono e violenza alle spalle, cominciano a non seguire e a non volerne sapere. Uno si alza e butta la carta, spegne le luci. L’altro fa versi e lancia fazzolettini. Gli altri, invece di scoraggiarli li incoraggiano e si crea confusione. Con i due, uno in particolare, ho parlato approfittando un giorno che era fuori dalla porta, messo lì da una collega. Gli ho chiesto come mai fosse lì. È stato collaborativo, si è scusato per come si comporta a volte, ma non sembra aver recepito il messaggio. Io, d'altra parte, odio irrigidirmi, punire tutto quello che non va con note e punizioni, anche perché così mi faccio odiare. Quando c'è confusione mi fermo. Se uno si alza, dopo avergli detto che non può. Gli dico: ti aspetto...senza la tua attenzione non vado avanti. Vai a sederti. A volte lancio l'urlo: ma la pianti? Quando quello faceva i versi, dopo essermi interrotta nella lezione, il brusio è via via scomparso e ho detto: vai, adesso fai pure i versi, che così ti ascoltiamo tutti. Vai è il tuo momento di gloria. Lui li ha fatti...gli altri hanno riso. Poi l'ha smessa. Mi ha detto: prof, posso uscire un attimo, mi devo calmare. Insomma, non so se va bene così...La lezione si interrompe e si impoverisce per gli altri, che comunque ne approfittano. Vorrei irrigidirmi e punirli a volte, con delle note, parlo di questi due, ma sono ragazzi che possono anche diventare aggressivi tra loro e verbalmente con i docenti. E' già successo con altri colleghi in passato. Quindi, vorrei, piuttosto, portarli dalla mia parte. Farmi fare da assistente, dargli importanza ma non so come fare. Spero mi possa in qualche modo illuminare ed aiutare. Grazie per il suo blog ed i suoi consigli nel libro che ho letto durante l'estate su consiglio di una mia cara amica e collega. A presto, Mariangela” 

Leggete e pensateci un po' su. 

Continua...

mercoledì 12 novembre 2014

L'alluvione di Carrara non è destino. 487° post

Ma che cosa sta succedendo in Italia? Parlo delle alluvioni. Quella di Carrara, per esempio. Un'alluvione è un fatto ineluttabile? Che cos'è? Sfortuna? Destino? La Natura che si ribella? È il clima che è cambiato? È un’alluvione assassina?
Se un’alluvione è un fatto ineluttabile allora non ci resta che pregare se siamo credenti in un Dio, o fare gli scongiuri se non lo siamo.
Ma non credo che sia un fatto ineluttabile. A Carrara ci sono state quattro alluvioni in undici anni. Significa che c’è stata gente che ha perso tutto e ha ricostruito. Ma, dopo nove anni, ha perso di nuovo tutto, e ha ricostruito; dopo due settimane ha perso di nuovo tutto, e ha di nuovo ricostruito. E ora, dopo due anni, ha perso di nuovo tutto. C’è di che fiaccare anche un leone. Invece questo popolo di gente forte, fiera, irriducibile, resiliente è partito subito all’attacco del disastro e sta ripulendo tutto, buttando via, salvando il salvabile. Come hanno fatto i genovesi, i chiavaresi, i modenesi, gli aquilani e tutti gli altri. È i momenti come questi che si vede di che pasta sono fatte le persone. Chi non è stato colpito dall’alluvione si è precipitato ad Avenza e a Marina di Carrara ad aiutare gli amici, i parenti, ma anche gli sconosciuti. Ragazzi meravigliosi sono accorsi in aiuto hanno spalato, spostato, lavato per dieci ore al giorno senza perdere il sorriso. Tutti si stanno aiutando fra loro. E si riprenderanno, anche se Carrara è una città già sofferente, perché la sua economia è basata sul marmo e il marmo, a Carrara, non è di tutti, come sarebbe giusto perché le montagne dovrebbero essere di tutti. Il marmo è di pochi, ricchissimi, che non lo mollano per nessun motivo. Perché hanno il potere dei soldi, che vince tutti i poteri, e nessuno può farcela contro il potere dei soldi. E se è vero che una parte della colpa dell’alluvione è dei detriti, dei massi e degli scarti di lavorazione del marmo che vengono lasciati ai lati delle cave, rotolano a valle e finiscono nel letto del Carrione, allora la colpa non è solo della natura e del clima, ma è anche di quei ricchissimi proprietari di cave, e del Comune di Carrara che per decenni ha permesso che le cose continuassero così.
Il Carrione, che è un torrente, per qualche motivo ogni tanto esce dal suo letto e provoca disastri. Un torrente è un torrente si sa. Ma arrivare ad allagare la città! È colpa sua? Se quando piove tanto si rompe un argine perché è stato costruito male, la colpa è del Carrione o sarà di qualcun altro?  E se sì, di chi? Di chi ha costruito l’argine? Di chi ha scelto la ditta? Di chi non ha fatto i dovuti controlli? Di chi non ha dato retta alle segnalazioni di infiltrazioni e di allagamenti della strada formalmente inviate a tutti quelli che sono preposti a occuparsi della sicurezza dei cittadini? La gente di Carrara vuole, questa volta, trovare i colpevoli e fare in modo che non ci sia più fango da spalare. Forse questa volta ce la farà. E forse il suo esempio sarà seguito da altre città, da altri italiani.
Un’alluvione, un terremoto, significano dolore, paura, rovina. La tua casa, tutte le tue cose, le foto di quando eri piccola, la tua poltrona così comoda, i libri e i quaderni di tuo figlio, che ora ti tocca comprare di nuovo, con quello che costano, il divano appena comperato, i dentini del tuo bambino, che avevi conservato perché volevi farli vedere ai tuoi nipotini, la tua automobile ancora da pagare, i giocattoli del tuo bambino, il vaso che ti aveva regalato la zia Luisa per il matrimonio, il tuo cellulare, il tuo cane che non è riuscito a salvarsi non ci sono più. E non c’è più il tuo negozio, che ora forse si stava riprendendo, che ora c’era il Natale e la gente poteva comperare di più e forse ce la facevi anche quest’anno a non chiudere. E non c’è più il tuo lavoro, perché non c’è più il negozio, non c’è più l’ufficio, le strade sono chiuse, la gente non ha più un soldo.
Gli Italiani non ne possono più di rimboccarsi le maniche per ricostruire dopo alluvioni, frane e terremoti. I carraresi, i genovesi, i chiavaresi, i modenesi, gli aquilani e tutti gli altri. Perché tutte le volte si parla di responsabilità e si spera che qualcuno paghi per aver sbagliato, perché non accada più. Ma non succede mai. Perché in questo Paese chi ha il potere si unisce a chi ha i soldi e aggiusta tutto con gli insabbiamenti e gli avvocati. E per quanto noi – la gente comune – possiamo mettere uno, due, tre, cinque avvocati, loro ne metteranno cinquanta, cento, duecento. E per un giornalista che difenderà i deboli, ce ne saranno tanti altri che difenderanno i ricchi, i potenti, i politici. E vinceranno.

Ma questa volta Carrara sembra intenzionata a non mollare. E ai carraresi forse si uniranno i genovesi, i chiavaresi, i modenesi, gli aquilani e tutti gli altri. Speriamo. Quando la gente capirà che l'unione fa la forza, forse le cose cambieranno.

giovedì 6 novembre 2014

Articolo : " L’Italia in fuga dai banchi di scuola" di Manuela Messina per La Stampa. 486° post

Sono stata intervistata da Manuela Messina per La Stampa. 





“NON SOLO L’OMOSESSUALITÀ, ANCHE IL DIVORZIO PUÒ ESSERE TABÙ”
Isabella Milani, questo è lo pseudonimo che ha scelto per rimanere anonima, è una professoressa italiana, che ha aperto un blog sulla scuola e ha scritto un libro dal nome “L’arte di insegnare, consigli pratici”. In assenza di dibattito sul modo di trattare nelle scuole temi considerati “tabu”, ha deciso di informarsi, di studiare, per combattere, dall’interno, la paura e il senso di smarrimento dei ragazzi provocati dall’intolleranza e dall’indifferenza. Gli insegnanti che non parlano di certi argomenti, «per evitare le reazioni dei genitori», sono la maggioranza. La paura di subire attacchi e di essere accusati di deviare la morale di giovani menti è troppo forte, nonostante dall’altra parte ci siano ragazzini chiusi nel disagio, soli di fronte al mondo, le cui storie a volte finiscono nelle cronache nazionali quando arrivano, disperati, a compiere gesti estremi. Un silenzio ingiustificabile, perché i ragazzi, spiega Milani, «ci sono tutti nelle scuole», anche quelli che provengono da famiglie in cui certi gesti sono considerati immorali, per motivi religiosi o culturali. «Anche il divorzio e l’aborto possono essere argomenti scomodi».  
Gli insegnanti parlano di sessualità e omosessualità?  
La maggior parte no. Chi lo fa, ne parla in modo esclusivamente scientifico, senza sbilanciarsi troppo. Molti docenti hanno paura delle conseguenze, e perciò rinunciano sapendo che se i genitori reagissero lo Stato non li proteggerebbe. Pensiamo al caso della lettura di “Sei come sei” di Melania Mazzucco. Il fatto che gli insegnanti siano stati denunciati per divulgazione di materiale osceno deve fare riflettere.  
Sono messi in condizione di parlarne?
Uno dei motivi per i quali gli insegnanti non parlano di omosessualità è il fatto che non sono preparati per farlo. Lo fanno gli insegnanti di scienze, che però non toccano tutti gli aspetti legati alla sfera sessuale, come le paure e i problemi. Gli insegnati che fanno lezioni sulla sessualità sono quelli che hanno studiato da soli l'argomento.
Crede che sia giusto contrastare le idee che vengono da culture o da convinzioni diverse?  
Le famiglie rivendicano il diritto di educare i figli come credono. E per questo che protestano, a volte in modo acceso. Anche io mi chiedo sempre: abbiamo il diritto noi insegnanti di fare cambiare le idee ai ragazzi? Dobbiamo tenere conto dell’impatto che ha in certe famiglie straniere l’occidentalizzazione dei loro figli. Bisognerebbe che si aprisse un dibattito.  
Da cosa deriva il disagio di insegnanti e ragazzi?  
La scuola è un’istituzione che deve istruire, ma anche educare. Ci troviamo continuamente a dovere correggere comportamenti razzisti, omofobici, violenti. I ragazzi hanno grandi potenzialità, ma non riusciamo a farle emergere. E non possiamo aiutare chi vive dei disagi o ha delle difficoltà.  
Quali potrebbero essere delle soluzioni al problema?  
Semplice: più risorse e più personale. Per aiutare gli alunni in difficoltà bisognerebbe che ogni scuola avesse a disposizione, regolarmente e non saltuariamente, la consulenza di specialisti, soprattutto psicologi e logopedisti. L’omofobia si combatte nella società, non solo nelle scuole. Per cambiare la mentalità omofobica non bastano delle lezioni sulla diversità, ammesso che gli insegnanti abbiano il coraggio di proporle.  

Il resto qui: 




venerdì 31 ottobre 2014

"Il coraggio di cambiare (per insegnanti).“485° post.

Se la Scuola va male (perché, da molti punti di vista, va indubbiamente male), di chi è la colpa?
Il problema è molto complesso e ci sono colpe un po' per tutti.
Dobbiamo metterci in discussione, come genitori e come insegnanti. Dobbiamo provare a cambiare le cose. Ho scritto dei genitori. Adesso tocca agli insegnanti. Degli insegnanti scrivo di meno, perché tutto il blog è pieno di consigli e riflessioni su come gli insegnanti devono cambiare. Anche in questo caso non posso offrire la soluzione di tutti i problemi. È ovvio.
Ma faccio qualche riflessione e do qualche consiglio.

Veniamo buttati tra i flutti di un mare che a volte è forza 7 e andiamo sott'acqua e risaliamo in superficie continuamente. Secondo me alla fine ci lasciamo sopraffare. Siamo demoralizzati. Cerchiamo di sopravvivere a un lavoro faticoso e frustrante. E molti di noi perdono la voglia di nuotare e si lasciano affondare, diventando noiosi, noiosissimi. Facciamo il minimo indispensabile per evitare le grane che nel nostro lavoro sono all’ordine del giorno. E alla fine vince il “chi me lo fa fare?”.
Mi rivolgo ai bravi insegnanti, perché la (molto piccola) percentuale di fannulloni o di impreparati è irrilevante ai fini del cambiamento della Scuola. Noi siamo molti di più.
Mi rivolgo a quelli che vedono benissimo le cose che non vanno, ma non fanno nulla perché hanno paura delle grane che potrebbero avere. A quelli che pensano che i problemi siano troppi e che non si possa più porci rimedio; a quelli che hanno gettato la spugna, a quelli che si sono lasciati sopraffare dal mare in tempesta.  A loro dico: dovete reagire! dovete resistere! dovete avere il coraggio di cambiare! L’insegnamento non è un lavoro che si può fare a metà. O siete insegnanti o siete impiegati della Scuola.
Osservate anche voi la realtà, come devono fare i genitori. Guardatevi intorno e constatate quanta maleducazione, quanta volgarità, quanta mancanza di sensibilità e di solidarietà ci circondano. E parlo prima di tutto degli adulti. Lo dite anche voi, vero, quando siete a casa o fra gli amici più stretti? E allora perché non decidete di parlare, una buona volta! E diciamolo, che i ragazzi devono imparare l’educazione! Facciamolo capire ai genitori. Anche se questo ci potrà costare la lettera di protesta che il genitore scriverà al dirigente contro di voi. E diciamolo, che i genitori abdicano al loro ruolo, E se i bambini e i ragazzi mangiano scorrettamente, ditelo, anche se la mamma si offenderà. Se è assurdo che un bambino di dieci anni stia alzato a guardare la televisione fino alle undici di sera, ditelo. Mi raccomando, ditelo perbenino, con tatto, ma ditelo!
Combattete! Se buttano via i soldi per cose inutili, ditelo! Se è sbagliato dare a un ragazzino di 12 anni un iPhone da sei o settecento euro, ditelo. E ditelo anche ai ragazzi. Ma senza colpevolizzare loro, che sono i meno colpevoli. Spiegate come la società li vuole: spendaccioni e svogliati. E spiegate che cosa fa per ottenere che loro desiderino quel certo cellulare più di ogni altra cosa. Ma per saperlo fare, per essere convincenti, dovete prepararvi, studiare l’argomento.
Dedicate del tempo a far capire ai vostri alunni che devono rendersi conto che se desiderano un oggetto è perché ci sono fior di specialisti che studiano per indirizzare i loro desideri, per farli spendere. E convinceteli del fatto che sono loro che devono prendere le redini della loro vita e costruire il loro futuro, pensando con la loro testa. Spiegate che senza fatica non si ottiene niente di prezioso, che se non saranno preparati, se non avranno studiato rimarranno fermi al palo, dietro a quelli che studiavano, mentre loro pensavano a divertirsi.

Insegnate loro ad accettare la fatica e ad avere fiducia nella vita. Non vi stancate di parlare loro dell’importanza della lettura e dello studio. Non date per scontato che è una causa persa. Non è vero. Se sarete convinti sarete convincenti e riuscirete a cambiare qualcosa. Un po’ per uno, insieme ai genitori, possiamo farcela. La colpa di quello che non va non è nostra. E non è neanche dei genitori, che sono – anche loro come i figli- vittime di una società consumistica di cui ho già molte volte parlato.
Ma non possiamo più permettere che le cose continuino così.
E quando a scuola c’è qualcosa che non va, protestate. Se un collega non fa nulla, diteglielo. Se una collega dice “deficienti” ai bambini, ditele che deve smetterla. Quei bambini sono anche vostri alunni e avete il dovere di aiutarli.
Se i bidelli maltrattano gli alunni, non tacete. Parlate, invece! Se il dirigente è interessato solo a cautelarsi, a discapito di insegnanti e alunni, parlate. Abbiate in coraggio di cambiare le cose. Scrivete, convincete gli altri a parlare, a scrivere, a denunciare. Se i Governo vara leggi per la Scuola che vi sembrano sbagliate, protestate!
Quello che fanno di male i vostri colleghi o dirigenti non sono affari loro. Sono affari di tutti, anche vostri. E dei vostri alunni.
“Se qualcuno ti impedisce di lavorare bene, rovina anche il tuo lavoro. Digli di smettere!”, per parafrasare la frase sul problema del fumo passivo.
E se i ragazzi non vi ascoltano, se vi trovano noiosi, se sono distratti da altri interessi, da futili cose, reagite! Voi siete gli insegnanti! Dovete insegnare. Dovete trovare il modo di insegnare! Aggiornatevi sempre! Studiate! Cercate. Non potete continuare a insegnare ogni anno la stessa cosa. È noioso, per voi e per loro. Se avete studiato all’università, da molti anni, ricordatevi che il mondo va avanti – oggi in modo velocissimo – e che le cose cambiano continuamente. Se avevate studiato che in Etiopia le bambine non andavano a scuola, per esempio, sappiate che già “nel 2000 le studentesse erano il 41% delle bambine in età scolare e nel 2013 sono addirittura salite all’83%.”* Non si può continuare per anni con lo stesso discorso. Vale per tutte le materie.
Studiate nuove strategie. C’è sicuramente un modo per fare breccia nel loro disinteresse, anche se sono i ragazzi più difficili, più menefreghisti, più annoiati d’Italia. Consideratela una sfida. Non dovete ascoltare chi vi dice “io me ne frego e se non vogliono imparare che si arrangino!”. Questo significa non essere bravi insegnanti. O, meglio, non essere insegnanti, ma impiegati nella Scuola.

*Edoardo Vigna su “Sette” del Corriere della Sera




domenica 26 ottobre 2014

"Il coraggio di cambiare (per genitori). Quarta parte.“484° post.

Continuazione del post n° 483 “Il coraggio di cambiare (per genitori). Terza parte. “
 

6. Non parlate mai male degli insegnanti davanti ai vostri figli. Per nessun motivo. Neanche se vi sembrano i peggiori insegnanti del mondo. “Ma veramente ti ha dato 10 esercizi? Ma è matto?”, “Ma cosa vuole quella lì da te?”, “La nota non te la firmo perché non è giusta”, “Che cosa gliene frega a lei di quello che tu mangi a casa?”, “Ce l’ha con te?” “Digli che sono affari tuoi!”, “Vieni qui che te la spiego io, perché quella non sa neanche spiegare”, “Ma che cosa sono tutte queste note? Quella lì ora mi sta proprio rompendo le palle” “Lascia perdere. Domani ci vado io a sentire e la metto a posto una volta per tutte.” “Ti ha dato 5? Ma se te l’ho sentita io e la sai benissimo!”. Frasi come queste sono assolutamente controproducenti, dannosissime, per il rapporto fra alunno e insegnante. E anche per quello fra genitore e insegnante.
7. Abituate i vostri figli (bambini o ragazzi che siano) ad andare a letto presto. Se dormono poco, a scuola dormicchiano o si comportano male. Dire “io glielo dico, ma loro non mi ascoltano” non è una giustificazione. Se non riuscite voi a farvi ascoltare, perché dovrebbero riuscirci gli insegnanti?
8. Abituateli a preparare i libri la sera prima. Se non hanno tutti i libri e i quaderni non possono lavorare e non hanno il compito svolto.
9. Abituateli a fare colazione a casa. La colazione deve essere sana: venti centimetri di pizza comperata all’alimentari all’ultimo momento non sono una buona colazione. Li abitua a spendere di più e spesso li fa entrare a scuola in ritardo.
10. Se dimenticano un libro a casa, non glielo portate. Devono imparare a pensare da soli al materiale da portare. E devono subire l conseguenze dei loro errori.
11. Collaborate con gli insegnanti: se rimproverano vostro figlio, rimproveratelo anche voi. Non cercate di giustificarlo per giustificare voi stessi. A volte, per esempio quando non firmate una comunicazione, il rimprovero è per voi, prima che per lui. Siate sinceri con voi stessi: è giusto, e per questo dovete accettarlo.
Altre volte il rimprovero è per lui. Non tentate di risparmiarglielo. Non lo aiutate. E, soprattutto, non lo consolate con frasi come “Ma non ti preoccupare. Non importa se il maestro ti ha rimproverato. Sei bravissimo!” I bambini e i ragazzi non sono fragili come credete. Ma lo diventeranno, se eviterete loro ogni problema.
12. Non fate mai i compiti a vostro figlio, neanche se è piccolo. I compiti sono suoi e li deve fare lui, da solo. Se glieli fate voi non lo aiutate a crescere.
13. La lezione la deve spiegare l’insegnante. Voi non siete insegnanti e non dovete sostituirvi a lui.
14. Se l’insegnante dà tre esercizi e a voi sembrano pochi, non aggiungetene altri due. Non siete voi gli insegnanti.
15. Se l’insegnante dà otto esercizi e a voi sembrano tanti, non fate commenti. Se vostro figlio, pur impegnandosi, non riesce a finirli, lasciatelo andare a scuola con il compito incompleto. Se il bambino è piccolo dite alla maestra “ha provato a farlo, ma non ci è riuscito”. Se il bambino non impara, l’insegnante se ne deve accorgere, per programmare le sue lezioni.
16. Se vostro figlio non ha capito come si fa un esercizio, non lo aiutate spiegandogli voi come si fa. L’insegnante deve accorgersi del fatto che non ha capito, altrimenti va avanti. E’ tollerato solo un aiutino, da parte vostra.
17. Se vostra figlia litiga con una compagna non vi intromettete e, soprattutto, non cercate di manovrare le cose a favore di vostra figlia. Niente “E lei che cosa ha detto? E tu che cosa hai risposto? E perché non ti ha invitato?”, ecc. Devono imparare a gestire i problemi da sole.
18. Se un bambino prende le matite di vostro figlio non piombate subito dalla maestra per protestare. La maestra ha ben altro da fare che tenere il conto delle matite di ciascuno. Siete voi che dovete insegnare a vostro figlio che può prestare le sue cose, ma che deve controllare che non gliele prendano. E dovete insegnargli che se qualcuno gli fa del male deve dirlo subito all’insegnante. E se vostro figlio dice alla maestra che un compagno gli ha rubato una penna non vi aspettate che chiami i carabinieri o si improvvisi detective o giudice. Lasciate fare a lei.
19. Se vostro figlio si stanca presto di fare i compiti e di studiare, controllate che non abbia problemi di salute o di vista. Se tutto va bene, non vi impietosite. Faticare gli insegna ad affrontare le fatiche della vita.
20. Non portate voi il suo zaino, se non ha problemi fisici particolari. Un po’ di fatica fisica gli fa bene.
21. Insegnategli che deve rispettare le regole e deve tenere sempre un comportamento corretto. Fategli notare spesso che anche voi rispettate le regole. Bisogna dare il buon esempio.
22. Non mandate a scuola vostro figlio come se andasse a una sfilata di moda. E non gli date l’ultimo modello di iPhone. Così facendo gli insegnate a considerare importanti gli oggetti costosi. E gli insegnate che l’apparenza è più importante della sostanza.
23. Cari genitori, dovete avere la voglia e il coraggio di cambiare. Se la società consumistica vuole educare i nostri figli a diventare persone incapaci di affrontare le difficoltà della vita, noi possiamo opporci. Prima di tutto come genitori. I genitori sono quelli che possono fare di più.
Subito dopo vengono gli insegnanti. E non viceversa.


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