La professoressa Isabella Milani è online

La professoressa Isabella Milani è online
"ISABELLA MILANI" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy dei miei alunni, dei loro genitori e dei miei colleghi. In questo modo ciò che descrivo nel blog e nel libro non può essere ricondotto a nessuno.

visite al blog di Isabella Milani dal 1 giugno 2010. Grazie a chi si ferma a leggere!

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professoressamilani@alice.it

ed esponi il tuo problema. Scrivi tranquillamente, e metti sempre un nome perché il tuo nome vero non comparirà assolutamente. Comparirà un nome fittizio e, se occorre, modificherò tutti i dati che possono renderti riconoscibile. Per questo motivo, mandandomi una lettera, accetti che io la pubblichi. Se i particolari cambiano, la sostanza no e quello che ti sembra che si verifichi solo a te capita a molti e perciò mi sembra giusto condividere sul blog la risposta. IMPORTANTE: se scrivi un commento sul BLOG, NON FIRMARE CON IL TUO NOME E COGNOME VERI se non vuoi essere riconosciuto, perché io non posso modificare i commenti.

Non mi scrivere sulla chat di Facebook, perché non posso rispondere da lì.

Ricevo molte mail e perciò capirai che purtroppo non posso più assicurare a tutti una risposta. Comunque, cerco di rispondere a tutti, e se vedi che non lo faccio, dopo un po' scrivimi di nuovo, perché può capitare che mi sfugga qualche messaggio.

Proprio perché ricevo molte lettere, ti prego, prima di chiedermi un parere, di leggere i post arretrati (ce ne sono moltissimi sulla scuola), usando la stringa di ricerca; capisco che è più lungo, ma devi capire anche che se ho già spiegato più volte un concetto mi sembra inutile farlo di nuovo, per fare risparmiare tempo a te :-)).

INFORMAZIONI PERSONALI

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La professoressa Milani, toscana, è un’insegnante, una scrittrice e una blogger. Ha un’esperienza di insegnamento alle medie inferiori e superiori più che trentennale. Oggi si dedica a studiare, a scrivere e a dare consigli a insegnanti e genitori. "Isabella Milani" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy degli alunni, dei loro genitori e dei colleghi. È l'autrice di "L'ARTE DI INSEGNARE. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi", e di "Maleducati o educati male. Consigli pratici di un'insegnante per una nuova intesa fra scuola e famiglia", entrambi per Vallardi.

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mercoledì 19 novembre 2014

“Ho una classe difficile e non so come fare”. Seconda Parte. 489° post



Rispondo alla lettera del post 488°  **


Cara Mariangela, mi sembra che tu abbia capito come devi fare. Quello che ti manca è capire che ci vuole tempo e pazienza. Molto tempo e molta pazienza. Con gli alunni veramente difficili di solito ci vogliono anni e, soprattutto, spesso non si riesce a gestirli perché non è soltanto una questione di educazione: hanno atteggiamenti che derivano da problemi psicologici, quando non psichiatrici, e se un alunno è psicotico, per esempio, (certificato o, più spesso, non certificato) non puoi farcela. A volte ti riesce e a volte no, dipende dalla giornata e dal momento. Magari a casa, al mattino, ha avuto uno scontro con la mamma e arriva a scuola già destabilizzato.  Devi imparare a distinguere fra un maleducato e uno che ha problemi di autocontrollo, di gestione della rabbia, e di disturbi patologici, che lui stesso non riesce a gestire e per i quali occorrerebbe un supporto psicologico o psichiatrico.
Con un ragazzo semplicemente maleducato, cioè male educato, esigi che impari presto a comportarsi civilmente. Gli spieghi quello che è giusto fare, qual è il comportamento corretto e perché (se è stato male educato non lo sa) e poi esigi che si adegui.
Ma se sai che un ragazzo ha alle spalle una vita difficile, non è questo il modo giusto per ottenere qualcosa.
Se un ragazzo che ha un passato di abusi, di violenza e di abbandono, comincia a urlare in classe o nel corridoio della scuola; se scappa dalla classe; se picchia senza motivo; se ostenta menefreghismo e aggressività – per esempio urlandoti frasi come “mettimi la nota, chissenefrega!” non è certo guardandolo male o mettendogli una nota sul registro che potrai fargli cambiare atteggiamento.  Se reagisce con rabbia e aggressività per qualsiasi parola che a lui sembra – a torto – offensiva, è perché probabilmente viene trattato così a casa o per la strada. Se un ragazzo ha un comportamento assurdo e reazioni sproporzionate è perché qualcuno – fuori dalla scuola- tiene con lui un comportamento assurdo e ha reazioni sproporzionate. Se un ragazzo, quando perde le staffe, urla frasi che ti ricordano le frasi di una adulto violento, pensa che ci sono buone probabilità che stia ripetendo le frasi che urlano a lui, e che stia restituendo il male che gli viene fatto.
La difficoltà consiste nel saper distinguere un comportamento per il quale occorre rimproverare, comunicare disapprovazione con lo sguardo, o anche lanciare un urlo come quello che fai tu quando dici “Ma la pianti?!!”, da un comportamento che esprime grande sofferenza, dolore, ribellione verso la vita. In quel caso, l’unica speranza è quella di dare al ragazzo molta dolcezza, disponibilità, pazienza. Bisogna fargli capire, con l’esempio, che esistono adulti equilibrati, affettuosi, gentili, calmi, disponibili. È molto difficile conquistare la fiducia di chi è stato scottato. Ma ci si può riuscire.
Questo significa – come qualcuno starà semplicisticamente pensando mentre legge – che sono una sostenitrice del “buonismo”? (tra l’altro, che parola antipatica!). Assolutamente no. Bisogna essere fermissimi. Ma parlargli fuori dalla classe, spiegargli che cosa vogliamo da lui, comunicargli – anche dicendoglielo esplicitamente – che ci interessa, che teniamo a lui e vogliamo che sia felice. Dobbiamo spiegargli molto bene che il suo comportamento non lo renderà felice, e, anzi, gli procurerà un sacco di guai, nella Scuola e nella vita. Per capirci, bisogna parlargli con il tono pacato e dolce che si usa con un mastino che temiamo possa aggredirci e al quale ripetiamo “Buono…”, perché intuiamo che un atteggiamento aggressivo avrà una risposta ancora più aggressiva. Quando quell’alunno non sta alle regole bisogna rimproverarlo, ma senza mai fargli perdere la faccia, altrimenti bisognerà ricominciare tutto da capo.
I ragazzi difficili richiedono il massimo da noi, specialmente perché assorbono molte delle nostre energie dal punto di vista emotivo e perché ci rendono difficilissima la lezione. E perché con loro, più che con gli altri, non possiamo permetterci di sbagliare.
Un consiglio che ti do senz’altro, perché è determinante, è quello di parlare ai suoi compagni di classe quando lui non c’è. Devono capire che se non gli metti una nota sul registro o sul diario, se decidi di mandarlo a fare le fotocopie o se gli permetti di andare ai servizi più spesso di quanto fai con loro, è perché è un ragazzo che ha difficoltà a comportarsi correttamente e tu lo stai aiutando. Spiega bene che anche loro devono avere pazienza. Chiedi se secondo loro è giusto aiutare chi ha più difficoltà o chi si comporta già bene. Chiedi se trovano giusto aiutarlo o se invece pensano che – semplicemente - si debba lasciarlo perdere, sospendendolo o bocciandolo. È molto importate che si convincano della necessità di aiutarlo. E comunque spiega loro che tu non permetterai che loro rovinino il lavoro che stai facendo per aiutarlo. Non permetterai che loro ridano e neanche che sorridano quando lui fa delle battute fuori luogo, o maleducate, perché ogni volta che lo fanno, lo incoraggiano a continuare a comportarsi male. E precisa bene che se lo faranno tu li giudicherai, per questo, come persone poco mature. Perché la maturità non significa fumare o bere, ma anche rendersi conto dei problemi e cercare di risolverli. Infine fai capire che il comportamento del loro compagno influisce anche sulla loro vita, perché se loro ridono, tutta la classe perde tempo e nessuno impara. Se non si impara, poi non si va avanti con il programma, non si riceve una buona preparazione e in futuro sarà più difficile trovare lavoro. Quindi si tratta di un problema di tutti, e tutti – insegnanti e alunni – devono aiutarlo.

Un’altra riflessione da fare: molto spesso capita che ci siano colleghi che pensano solo a zittire, e a punire i ragazzi difficili, convinti che “anche gli altri alunni hanno diritto di seguire correttamente la lezione!” e pensano che l’unica soluzione sia quella di sospenderlo per farlo stare a casa il più possibile, “fuori dalle scatole”. O trovano come soluzione quella di mandarlo fuori dalla classe, come ha fatto la tua collega. “Nel primo mese e mezzo di lezione è andato abbastanza bene, abbiamo cominciato a lavorare, collaboravano tutti, anche quelli più difficili”, dici. Il motivo per cui i tuoi ragazzi difficili, dopo il primo periodo “hanno buttato la maschera” consiste nel fatto che all’inizio noi insegnanti stiamo tutti attenti a studiare i ragazzi. Poi la rabbia ha il sopravvento e qualcuno comincia ad aggredire il “disturbatore di turno”, provocando le sue reazioni e buttandogli giù la maschera. E un alunno già molte volte ferito reagisce subito, difendendosi con le unghie e con i denti a quella che considera un’aggressione. E, come ho molte volte già detto, una volta che viene fatta perdere la faccia a un alunno difficile, tutto diventa enormemente più difficile. Per tutti, anche per te che sei stata attenta, perché non si fida più di nessuno.
È indispensabile, quindi, convincere i colleghi, oltre che i compagni di classe che l’idea che sia giusto “sacrificarne uno per salvare gli altri” non deve valere. I ragazzi difficili sono persone, zavorra da sganciare per viaggiare più snelli.

Detto questo, manca l’ultima importantissima cosa da fare. Se abbiamo uno o più alunni veramente difficili dobbiamo fare di tutto perché vengano aiutati, perché, se sospettiamo che siano vittime di violenza, vengano presi in carico dagli assistenti sociali; perché il Comune, l’Asl e la scuola riservino per loro delle risorse per fornire un supporto agli insegnanti e a lui.



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