Care Colleghe, cedere, in certe situazioni, è
normale. Insegnare è molto faticoso, e se uno non ha la forza (tanta) che serve
per affrontare questo lavoro, prima o poi, cede. Soprattutto se incontra classi
difficili, il che accade molto spesso.
Ci sono ormai parecchi studi sulla “sindrome del
burnout” degli insegnanti. “Burnout” significa “bruciato”, “esaurito”,
scoppiato”.
Chi viene colpito dalla
sindrome del burnout si sente completamente sfinito
dal punto di vista fisico ed emotivo, sente di essere inutile, incapace. Vede
tutto nero, si sente fallito, cerca di cambiare lavoro o si rivolge a uno
psichiatra per avere un aiuto farmacologico.
Se, secondo
vari studi, il 30% degli insegnanti fa uso di psicofarmaci ansiolitici e
antidepressivi, significa che il lavoro non è di tutto riposo come sembra dal
di fuori.
E questo blog permette di farsi un’idea precisa dei motivi.
Per
insegnare non basta conoscere la materia che si insegna. Bisogna avere anche alcune
caratteristiche che non tutti hanno.
1. Bisogna
voler insegnare, prima di tutto. Considerare l’insegnamento come un desiderio
interiore. L’insegnamento è un lavoro e non una missione, ma è un lavoro che non
puoi fare se non lo desideri. Ma non basta neppure questo.
Solo chi
insegna sa quanta fatica costa stare sul palcoscenico, giorno dopo giorno, e
dover essere sempre all'altezza di ciò che si aspettano gli alunni, i genitori,
i colleghi. Sa quanto può essere terribilmente umiliante trovarti ad avere una
trentina di bambini o ragazzini o ragazzi che si prendono gioco di te, o ti
ignorano o ti umiliano, mentre tu cerchi disperatamente e inutilmente di farli
smettere. E non puoi fare nulla, in realtà, se non constatare la tua incapacità di
gestirli. Ho visto colleghi vomitare prima di entrare in classe. Vomitare di paura.
2. Per insegnare devi conoscere la tua materia, e devi conoscerla bene, aggiornandoti sempre. Perché se non sei preparato non riuscirai a farti seguire e stimare.
3. Per insegnare devi saper tenere la disciplina.
“Non è
capace di tenere la disciplina” è una frase che viene pronunciata come una
condanna. Perché è vero, se non sai tenere la disciplina puoi essere
un’insegnante preparatissimo, ma non insegni nulla. Se i ragazzi si annoiano e
non ti ascoltano non è colpa loro, in realtà. È colpa tua. Non si può
pretendere che ascoltino qualcosa che non li interessa affatto. E non si può
pretendere che abbiano la maturità di capire che devono ascoltare per imparare (non
lo facciamo neppure noi adulti quando ci annoiamo). E allora? Qual è il
problema?
Eccolo, il
problema: la società, lo Stato, i governi ci sbattono dentro una classe piena
zeppa di ragazzini ai quali non è stato
insegnato né il rispetto, né lo spirito di sacrificio, né la pazienza, né la
correttezza, né l’onestà. E se le famiglie hanno dato loro un’educazione seria, tutto
quello che li circonda li convince che sono sciocchezze e noi ci troviamo con un problema in più: quello di risolvere l'emarginazione nella quale questi bambini educati vengono relegati dai compagni.
Lo Stato non ci dà le risorse
necessarie per affrontare le difficoltà dei ragazzi. Né ci ha preparati, in realtà, a
tenere testa a una classe difficile, né a gestire davvero i problemi dei bambini e degli
adolescenti. La prova di questo sta nel successo di un libro come quello che ho scritto, e dei commenti che vengono fatti, che mettono sempre in risalto il fatto che neppure chi ha fatto corsi specifici è stato preparato ad affrontare le classi.
Ci sbattono
dentro una classe piena zeppa di alunni – una classe pollaio- e si aspettano
che siamo tutti in grado di affrontare le loro difficoltà. Perché - l'ho già detto, ma lo voglio ripetere- chi si comporta male ha dei problemi. E là, "in alto", pretendono che siamo
interessanti, affascinanti, coinvolgenti; forti e dolci nello stesso tempo. Esigono che non abbiamo problemi personali. Ma tutti abbiamo dei problemi, e quando entriamo
in una classe difficile ci entriamo anche con i nostri problemi, e dobbiamo affrontare i nostri e quelli degli alunni,
contemporaneamente. Gli insegnanti sono persone. Sembra scontato ma non lo è, evidentemente. A volte i maestri e i professori sono fragili, molto timidi,
complessati, depressi. O non hanno autostima, o non sanno dire di no, o hanno avuto
brutte esperienze, o - addirittura - sono stati oggetto di violenza, o hanno assistito a violenze, o hanno sofferto gravi
lutti o abbandoni che li hanno segnati.
A volte non ce la fanno proprio, gli insegnanti, a resistere alle
offese, alle prese in giro; a volte non sanno reagire alle minacce, alle urla,
perché hanno paura.
L’angoscia che precede l’entrata in una classe difficile non viene capita
che da quelli che la provano.
Gli altri,
la gente, tutti quelli che sono fuori dalla Scuola, i genitori, i ministri, i
governi,esigono che gli insegnanti siano tutti forti, sicuri di sé. Ma vogliono pagarli poco.
E adesso farli stare nelle classi pollaio altre sei ore, come se sei ore
fossero una cosa da nulla. E non credono alla loro stanchezza, e non perdonano
le loro debolezze. E qualche volta queste cose le pensa anche chi insegna nei licei.
“Non sa
tenere la disciplina. Eh, ma se ci fossi io, li metterei tutti a posto”. Dicono
così.
Ma nessuno
chiede di provare.
L’insegnamento
è un lavoro che con puoi fare se non hai certe caratteristiche. Ci vuole un
certo carattere: forte, deciso. O bisogna essere addestrati come per entrare in un ring, a volte.
Per queste
ragioni, insegnanti giovani, se siete timidissimi, se avete paura, se non
sapete studiare per trovare strategie che possano rendervi interessanti; o se
credete che la colpa sia dei ragazzi, cambiate lavoro, perché insegnare può
essere davvero molto faticoso e frustrante.
E lei Ministro della Pubblica Istruzione, prima di dire che gli insegnanti devono lavorare di più, prima di pensare che possono stare in classe più di 18 ore, si informi bene. Lo chieda a noi, quali sono i problemi. Non ci chieda di fare il sacrificio di qualche ora in più. Ci suona ridicolo e terribile contemporaneamente. E faccia fare dei test attitudinali seri prima di "buttare" gli insegnanti nella fossa dei leoni. E procuri quello che serve davvero, se vuole una Scuola di qualità.