Gli alunni che prendono ottimi voti a scuola
possono avere dei problemi. Se non ammettessimo questo significherebbe una cosa
gravissima, e cioè che per noi i voti sono espressione del valore di una
persona. E questo è proprio quello che non deve accadere. I voti non contano
nulla, nella vita, perché i voti li darà la vita stessa.
Il discorso è molto lungo e complesso, ma
provo a sintetizzarlo.
Lascio da parte per ora i problemi che gli
alunni “bravi” possono avere e ai quali ho fatto cenno nel mio precedente post
(problemi familiari, di salute, ansie, timidezza, ecc.), perché rappresentano
un altro discorso.
Forse l’espressione “bravo” dovrebbe smettere
di essere usata in tutte le aule e in tutti gli ordini di scuola. Almeno finché
la mentalità non sarà cambiata. O, ancora meglio, finché non si troverà un modo
diverso di valutare gli alunni. Dovrebbe essere sostituita da qualcosa come “prende
buoni voti”. Giovanni, che studia, che sta attento in classe, “che prende buoni
voti”, potrebbe anche essere un pessimo amico, un egoista, uno “che fa la spia”,
uno “che suggerisce le risposte sbagliate”, o “che fa discriminazioni”. Andrea,
che non studia, che non sta attento, “che prende brutti voti”, potrebbe essere
un buon amico, uno che aiuta i compagni in difficoltà, uno che è amico di
tutti.
Come persona, preferisco senz’altro Andrea. Giovanni prende buoni voti, ma non sono contenta di lui neanche come alunno, perché per me il voto non
rappresenta null’altro che un obbligo burocratico, e giudico gli alunni prima
di tutto come le persone che diventeranno: sapranno aiutare chi è in difficoltà?
sapranno vivere correttamente in società? saranno onesti? sapranno rinunciare a
qualcosa per non schiacciare gli altri? sapranno provare empatia? sapranno essere
buoni amici, buoni compagni, buoni genitori? sapranno distinguere quello che
vale da quello che non vale? saranno “brave persone”?
Tutto il problema sta qui: i nostri figli e i
nostri alunni non devono diventare solo bravi medici, bravi avvocati, bravi
architetti, bravi ingegneri, per essere stimati. Possono essere anche “soltanto”
bravi insegnanti, bravi infermieri, bravi commercianti, bravi vigili urbani. E –
soprattutto- devono diventare “brave persone”.
Un alunno bravissimo a scuola che diventa un “ottimo
medico”, perché sa curarti, ma per esempio senza la minima capacità di mettersi
nei panni del malato, di provare empatia, insomma; un medico che pretende
parcelle esagerate anche da chi non può pagare, altrimenti non ti visita e non
ti cura, può essere definito “una brava persona”? Secondo me, no.
Ricordo che un bidello di una scuola dove ho
insegnato mi raccontò che aveva detto allo specialista che lo aveva operato e
che lo curava (privatamente), che non poteva pagare ogni quindici giorni la
parcella (che era un terzo del suo stipendio). Lo specialista rispose “ma per
la salute si deve fare ogni sacrificio!”. Era un bravo medico? Per me, no.
Vorrei raccontare qualcosa di me.
Ho due sorelle e questo, già all’inizio, mi
ha portato a capire che non ero sola, che non erano importanti solo le mie
esigenze, che quello che c’era in casa dovevo dividerlo, che dovevamo aiutarci,
che non dovevamo litigare e che – se capitava- dovevamo saper “fare la pace”.
Sono stata educata a cercare di raggiungere
gli obiettivi che mi ponevo, ma tenendo conto della sensibilità degli altri, e –
soprattutto- stando sempre attenta a non calpestare nessuno percorrendo la
strada che mi portava dove volevo.
Sono stata abituata a pensare che i soldi non
sono tutto, che ci sono dei valori che fanno di noi delle “brave persone” e che
certi comportamenti fanno di noi delle “persone cattive”, che una persona ricca
o importante o famosa non vale di più di una persona qualunque, magari anche povera.
I miei genitori mi hanno trasmesso il
concetto che studiare è importantissimo, che la scuola è essenziale e che era
ed è mio dovere fare sempre del mio meglio. Ma quando prendevo un bel voto mi
veniva detto “Benissimo! Ma ricordati sempre che lo fai per te”. Mi hanno
insegnato che è meglio un 6 guadagnato onestamente e con le mie forze che un 9
“regalato” o attenuto con l’inganno; e che non dovevo vantarmi dei miei bei
voti con chi non riusciva a ottenerli, perché se io ci riuscivo era perché
avevo più capacità di capire quello che leggevo e studiare, perché avevo più
libri a casa e perché vivevo in una famiglia che mi aveva insegnato il valore
della cultura.
Sono stata educata a pensare che chi è più
fortunato e chi ha più possibilità - da tutti i punti di vista- ha il dovere di
aiutare chi ha bisogno di aiuto, sia che si tratti di comperare qualcosa che di
dire una parola buona, che di spiegare una lezione o un esercizio; che le cose
non si fanno “per denaro”, ma perché è giusto farle, che non si deve dare aiuto
in cambio di qualcosa. Mi hanno insegnato a essere generosa. Sono stata aiutata dai miei compagni di scuola quando non capivo qualcosa di matematica, e io ho aiutato loro se riuscivo meglio di loro in italiano, in latino. Ci siamo passati gli appunti, ci siamo interrogati a vicenda per prepararci.
Sono stata educata a considerare essenziale l’onestà
e i miei genitori me lo hanno insegnato
con l’esempio, oltre che con le parole. Non mi sarebbe mai venuto in mente di
chiedere una giustificazione falsa, perché non solo non me l’avrebbero fatta,
ma avrei ricevuto un severo rimprovero anche solo per averlo pensato.
Se state leggendo il mio blog, i miei
articoli, i miei libri è perché sono stata educata così, con l’esempio: a
condividere quello che ho, anche senza avere un tornaconto economico. Perché –
l’ho già detto- tenere un blog, rispondere a moltissime lettere e scrivere dei
libri come i miei è molto molto più faticoso di quello che possiate immaginare,
e credo che la maggioranza non accetterebbe di lavorare così tanto per così
poco. Ma sono stata abituata a pensare che si possono fare le cose anche per il
piacere di farle e perché è giusto. E quando vi chiedo di scrivere una
recensione, di condividere i miei post o di pubblicizzare i miei libri non lo
faccio perché devo guadagnarci qualcosa, ma perché spero che quello che scrivo possa
essere di aiuto al maggior numero di persone possibile.
Educate i vostri figli e i vostri alunni all’onestà
e al rispetto degli altri; a essere brave persone prima che bravi studenti; a
pensare che i voti non valutano la persona. E vedrete dei buoni risultati nel
futuro.
Per tutto il resto, rimando al mio nuovo
libro, “Maleducati o educati male?”, al quale ho lavorato per undici anni. E
anche al mio primo libro “L’arte di insegnare”, che ha già aiutato molte
persone. E vi chiedo di pubblicizzare sia il post, che gli articoli, che i
libri, soprattutto il nuovo nato J. Così, solo per farmi contenta.