La professoressa Isabella Milani è online

La professoressa Isabella Milani è online
"ISABELLA MILANI" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy dei miei alunni, dei loro genitori e dei miei colleghi. In questo modo ciò che descrivo nel blog e nel libro non può essere ricondotto a nessuno.

visite al blog di Isabella Milani dal 1 giugno 2010. Grazie a chi si ferma a leggere!

SCRIVIMI

all'indirizzo

professoressamilani@alice.it

ed esponi il tuo problema. Scrivi tranquillamente, e metti sempre un nome perché il tuo nome vero non comparirà assolutamente. Comparirà un nome fittizio e, se occorre, modificherò tutti i dati che possono renderti riconoscibile. Per questo motivo, mandandomi una lettera, accetti che io la pubblichi. Se i particolari cambiano, la sostanza no e quello che ti sembra che si verifichi solo a te capita a molti e perciò mi sembra giusto condividere sul blog la risposta. IMPORTANTE: se scrivi un commento sul BLOG, NON FIRMARE CON IL TUO NOME E COGNOME VERI se non vuoi essere riconosciuto, perché io non posso modificare i commenti.

Non mi scrivere sulla chat di Facebook, perché non posso rispondere da lì.

Ricevo molte mail e perciò capirai che purtroppo non posso più assicurare a tutti una risposta. Comunque, cerco di rispondere a tutti, e se vedi che non lo faccio, dopo un po' scrivimi di nuovo, perché può capitare che mi sfugga qualche messaggio.

Proprio perché ricevo molte lettere, ti prego, prima di chiedermi un parere, di leggere i post arretrati (ce ne sono moltissimi sulla scuola), usando la stringa di ricerca; capisco che è più lungo, ma devi capire anche che se ho già spiegato più volte un concetto mi sembra inutile farlo di nuovo, per fare risparmiare tempo a te :-)).

INFORMAZIONI PERSONALI

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La professoressa Milani, toscana, è un’insegnante, una scrittrice e una blogger. Ha un’esperienza di insegnamento alle medie inferiori e superiori più che trentennale. Oggi si dedica a studiare, a scrivere e a dare consigli a insegnanti e genitori. "Isabella Milani" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy degli alunni, dei loro genitori e dei colleghi. È l'autrice di "L'ARTE DI INSEGNARE. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi", e di "Maleducati o educati male. Consigli pratici di un'insegnante per una nuova intesa fra scuola e famiglia", entrambi per Vallardi.

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martedì 30 aprile 2013

Un altro Primo Maggio triste per l'Italia. 372° post

Per il terzo anno vorrei scrivere qualcosa sul Primo Maggio, ma mi passa subito la voglia. 
Se il Primo Maggio 2012 era più triste di quello del 2011, non parliamo di questo: niente lavoro, gente che perde il lavoro che aveva, negozi e aziende che chiudono o che rischiano il fallimento, persone disperate che si suicidano, situazione politica penosa. E ora, un disperato che per pareggiare i conti con i politici spara e colpisce due carabinieri. Due lavoratori, prima di tutto. 
Politici che si considerano importanti si accusano a vicenda cercando di scaricare le responsabilità gli uni sugli altri. Persone che studiano a tavolino come fregarsi a vicenda e poi, tutti insieme, come fregare noi.  E noi - carabinieri, disoccupati, commercianti in rovina, giovani disoccupati, madri e padri che non sanno come tireranno avanti- qui, come sempre, che assistiamo schifati a tutti i loro balletti, senza poterci fare nulla. E se abbiamo un lavoro, sentendoci anche un po' in colpa, e perciò senza alcuna voglia di festeggiare.
Per il resto, credo di aver già scritto tutto quello che mi premeva qui:
e qui

Tutto può diventare una lezione coinvolgente. 371° post



Ho spesso affermato il concetto – nel blog e nel libro -  che tutto può diventare una lezione coinvolgente. Cerco di spiegarmi meglio con qualche esempio. Ecco il primo.


Trovo questa vignetta – su facebook o altrove – e mi sembra interessante. Non mi limito a rifletterci sopra, per me stessa, ma mi chiedo: “Posso usare questa vignetta per spiegare qualcosa ai miei alunni?”. Mi rispondo: “Sì, posso usarla come punto di partenza per spiegare l’ingiustizia sociale, per esempio”. 
Prima di tutto, preciso come NON faccio. Non vado in classe e parlo dell’ingiustizia, facendo vedere poi questa vignetta. Questo sarebbe un imporre il concetto già bello e fatto, e impedire agli alunni di arrivare da soli a quell'idea (e cioè di imparare davvero).
Ecco come si può fare.  Immagino l’inizio della lezione. Naturalmente, ciascuno di voi immagini il dialogo adeguando domande e risposte all'età degli alunni.
Entro e dico:
“Ragazzi, ho trovato questa vignetta. Mi è piaciuta e ve l'ho portata. Ci tengo a mostrarvela perché la trovo interessante.”
(La proietto nell'aula LIM, visto che ce l’ho.)
“Che cosa ci vedete? Descrivetela. ”
Alunni:
“Si vede un uomo sotto la pioggia, senza ombrello che si bagna e uno con cinque ombrelli, che non si bagna”.
“ L’uomo senza ombrello è magro e triste. Quello con gli ombrelli è grasso.”
Io: “e che cos'altro notate?”
Alunno: “ Quello senza ombrello guarda l’altro”
Io. “Giusto: e quello grasso con gli ombrelli?”
Alunni “Lui non lo guarda”.
Io. “Bene. Allora? Che cosa rappresenta questa vignetta?”
Alunni: “i poveri e i ricchi”.
Io: “E perché il ricco ha cinque ombrelli? Non bastava uno, per non bagnarsi?”
Alunni: “Sì, ma vogliono far vedere che il ricco ha molto di più di quello che gli serve”
Io: “E l’altro?”
Alunno “L’altro non ha nulla”.
Io: "e secondo voi perché l'uomo senza ombrello guarda l'altro? Che cosa significa il suo sguardo?"
Alunni: "Significa che lo invidia". "Pensa: perché lui ha tutti quegli ombrelli e io no?". "Pensa: sono sfortunato".
Io: "E perché l'altro non lo guarda?".
Alunni: "Perché non si interessa di lui". "Non lo vede nemmeno".
Io: “E che riflessioni si potrebbero fare? Che cosa vi fa venire in mente questa vignetta? Se dovessimo dare un titolo, come si sembrerebbe l’idea, per esempio, di scegliere ‘L’ingiustizia sociale?’. 
A questo punto si ascoltano le loro idee, possibilmente senza giudicarle.
Io: "Che cos'è l'ingiustizia, secondo voi?"
Si può concludere così la prima fase per passare alla seconda, nella quale si portano i ragazzi a riflettere sul concetto di “ingiustizia sociale”.
“Ecco, ragazzi, quello che si vede in questa vignetta è la situazione del mondo: le ricchezze della Terra non sono distribuite secondo giustizia. C’è chi ha tantissimo e chi non ha nulla. All'interno di ogni Stato e in tutta la Terra. La domanda che vi pongo è questa: è giusto? Come dovrebbe essere? Come accade che ci siano persone o Stati che hanno tutto e altri che non hanno nulla?”
Ecco. Questo è l’avvio. Ognuno può seguire il percorso che ritiene giusto. Di solito a questo punto io faccio  scrivere delle riflessioni, che poi verranno lette e commentate. Io so a quali conclusioni voglio che arrivino e cerco di guidarli in quella direzione. Quello che capiranno, alla fine, se lo saranno guadagnato.
Provate! E fatemi sapere!

domenica 28 aprile 2013

“Non puoi andare ai servizi”. 370° post


Mirca mi scrive:

"Cara professoressa mio figlio di 11 anni alcune volte a scuola chiede di andare in bagno nella 1 ora. Il suo insegnante di italiano si arrabbia tantissimo e gli nega il permesso dicendo che per regolamento si va in bagno alla 2 o 3 ora. Una volta il bambino aveva necessità di andare in bagno e lui gli ha negato il permesso e poi lo ha portato dal preside. Io non so se questo sia giusto, ho anche sgridato mio figlio perché non riesce a trattenersi. Ma credo anche che non sia giusto sgridare un bambino per questo motivo. Dovrebbe farsela addosso pur di non far arrabbiare l'insegnante?
Quando sono andata dal preside per parlare ho spiegato che mio figlio l'anno scorso è stato colpito in forma leggera di parotite pur avendo fatto il vaccino, per questo è stato colpito all'intestino, inoltre attraverso vari esami abbiamo constatato che è intollerante al lattosio. Ho detto che portarlo davanti a lui fosse stato un po’ esagerato, ho chiesto se ci fossero stati altri motivi e lui mi ha detto di no. Il bambino va bene a scuola non ha problemi con gli altri ragazzi l'unico problema è che chiede di andare in bagno. Io comunque ho presentato un certificato medico spiegando anche che non voglio che mio figlio se ne approfitti. La settimana scorsa però mio figlio ha chiesto alla professoressa d'inglese di andare in bagno alla 6 ora, lei gli ha risposto di no e mio figlio si è fatta la cacca addosso. Quel giorno è andata una mia amica a prenderlo da scuola perché doveva andare con suo figlio a casa sua e con vergogna ha dovuto dire alla mia amica quello che era successo per farmi chiamare. Io non so come comportarmi perché non voglio andare contro l'insegnante in quanto chi ci rimetterebbe è mio figlio ma non posso permettere che succeda un episodio simile di nuovo,credo che sia una cosa umiliante e grave. La professoressa non ha tenuto conto del mio certificato e comunque di fronte ad un episodio simile non c'è certificato che tenga. Secondo lei come devo comportarmi? Mio marito è molto arrabbiato e il bambino non vuole andare a scuola per paura di essere preso in giro dai suoi amici. Lei gentilmente cosa ne pensa? Cordiali Saluti. Mirca"

Cara Mirca, è vero che tutti i regolamenti prevedono che non si possa andare in bagno in certe ore. Molti chiedono di andare in bagno fuori orario perché  non si preoccupano di andarci durante l'intervallo. Non fare uscire i ragazzi a tutte le ore, perché ritarda il lavoro, ma non possiamo neanche obbligarli a farsela addosso. Se i ragazzi chiedono di uscire spesso c'è qualcosa che non va: o noi siamo molto noiosi o loro sono stati abituati ad uscire da altri insegnanti, o hanno qualche problema fisico. In ogni caso, se il ragazzino non ce la fa più deve essere lasciato uscire. Anche se non è vero, perché non possiamo essere sicuri al cento per cento che sia soltanto una scusa. Specialmente dopo che la famiglia ha presentato un certificato medico.  
Il fatto che l’insegnante lo abbia portato dal preside mi fa pensare: come mai? Forse l’insegnante la considera una scusa per uscire? Non riesco a capire come possa accadere, soprattutto in presenza di un certificato medico. 
Credo che sarebbe utile che tu andassi dal coordinatore, dall'insegnante di italiano e da quello di inglese, ad informarli del fatto che quando non è stato lasciato uscire se l’è fatta addosso. Chiedi come mai è accaduto un fatto del genere. Chiedi che cosa ne pensano e che cosa puoi fare, perché il bambino venga fatto uscire quando lo chiede. A volte, Mirca, accadono certe cose perché manca la comunicazione: forse hai presentato in segreteria il certificato e non è stato consegnato agli insegnanti. Adesso non dovrebbe più accadere. Se accade, scrivi una lettera e falla protocollare.
Fammi sapere!

giovedì 25 aprile 2013

"L'Italia è libera. L'Italia risorgerà". 369° post.

"L'Italia è libera. L'Italia risorgerà!"




Non so se l'Italia sia libera, sinceramente. E non so se risorgerà. Lo spero. 
E risorgendo, spero che faccia risorgere anche la Scuola. 
In questo momento ignoriamo chi saranno i ministri scelti, e quali saranno i giochi nei quali si impegneranno i politici. Perché appare chiaro, ormai, che stanno giocando. Mentre tutto va a a fondo, mentre la gente va in rovina e si suicida.
La parola "Festa" e la parola "Liberazione" sono in contrasto con questi giorni. Non siamo ancora liberi e non abbiamo nulla da festeggiare. Mettiamo fuori la bandiera? Un po' di ottimismo ci serve.
Speriamo. Tanti auguri, povera Italia. Serva Italia.

mercoledì 24 aprile 2013

“La maestra lo ha messo fuori con tutto il banco” . Seconda parte. 368° post.


La maestra o il professore butta fuori dalla classe l’alunno e fa male, malissimo. Ma perché lo fa? Chi mi legge sa come la penso: i bambini e i ragazzi non si mandano fuori, per nessun motivo. Non ci sono solo ragioni educative per non farlo, ma anche motivi di sicurezza: esiste una “culpa in vigilando” della quale dovremmo rispondere se il bambino si facesse male mentre è fuori dall'aula.
Ma riflettiamoci un po’ su.
L’insegnante manda fuori un alunno quando non lo sopporta più: per esempio se gli impedisce di fare lezione, se ha un comportamento molto scorretto. Solo quelli che hanno un atteggiamento di forte disturbo vengono mandati fuori.
Il rapporto fra insegnanti e genitori in certe situazioni diventa molto difficile. Accade soprattutto nel caso in cui l’alunno è difficile da gestire e, da un lato, abbiamo il genitore che pretenderebbe che in cattedra ci fosse un insegnante con la pazienza di un bue; e dall'altra abbiamo un insegnante che è stufo di tollerare la maleducazione degli alunni. Le cose migliorerebbero se l’insegnante si impegnasse a correggere l’alunno senza rifiutarlo, certo. Ma sicuramente il problema non sorgerebbe se i genitori si rendessero conto del fatto che dovrebbero anche loro (prima di tutto, loro) insegnare ai figli a comportarsi correttamente, e a seguire le regole. A scuola l’insegnante ha il dovere di sorvegliare l’alunno, ma a casa il genitore ha il dovere di educarlo. Sì, anche noi, ma prima di tutto loro, a casa.
Una volta il genitore di un ragazzino al quale avevo sequestrato i dieci petardi magnum che stava distribuendo ai compagni di prima media ha scritto sul diario: “Invece di perdere tempo a guardare se mio figlio ha i petardi, Lei dovrebbe insegnargli l’educazione”. Ecco il punto: ci sono genitori che non capiscono che i responsabili dell’educazione dei loro figli sono loro, e non noi. Sono loro che devono educare, prima di tutto.
Esiste una “culpa in educando” della quale devono rispondere i genitori dei ragazzi che compiono azioni gravi che fanno pensare che sia mancata da parte dei genitori una educazione adeguata. Allora mi rivolgo a tutti i genitori dei figli che tengono comportamenti maleducati e di disturbo.
Cari genitori, la Scuola non è il cortile, non sono i giardini, non è la spiaggia, né un prato, non è il bar, dove si fa qualcosa di simile al proprio comodo (anche se non si dovrebbe, neppure lì) : è un luogo chiuso dove si sta spesso seduti in un posto stabilito, in cui si studia e dove si seguono delle regole. È un luogo molto importante nella vita dei vostri figli. Se il vostro bambino picchia gli altri, se urla a squarciagola, se pretende si stare sdraiato per terra o di correre fra i banchi, o se rompe il quaderno del compagno di classe, noi non dobbiamo mandarlo fuori dalla classe – l’ho già detto – ma cercate di capire che un insegnante può non sapere più come fare, può perdere la pazienza, può “dare di matto”. L’insegnante percepisce quanto è ingiusto doversi guadagnare il pane fra le umiliazioni, e perde il necessario autocontrollo. Come probabilmente fareste voi al suo posto in quelle condizioni. Lo sappiamo, perché quando raccontiamo a qualcuno che cosa accade nelle aule tutti ci rispondono “Ah, se ci fossi io saprei come fare! Non sarei tenero come te, io”.
Se vostro figlio delle medie o delle superiori pensa di avere il diritto di mandarci a quel paese, a gran voce, se mette i piedi sul banco, se sghignazza, se rutta, se si rinchiude nell'armadio o ci fa il verso per far ridere i compagni, noi non dobbiamo mandarlo fuori, è vero, ma voi lo avete educato male. E se invece avete cercato di educarlo bene, credo che capirete l’insegnante che – sbagliando, l’ho già detto – lo butta fuori dall'aula.  Non dico che fosse giusto quello che accadeva un tempo, quando il genitore, al quale la maestra aveva detto che la sua bambina si comportava male, tornava a casa e prima ancora di parlare le dava una sberla. No. Ma non è giusto neanche chiamarsi fuori dalle responsabilità educative e pretendere che i propri figli maleducati (male educati) facciano il loro comodo in classe, offendano l’insegnante  e siano un pericolo per l’incolumità dei compagni, puntando gli occhi sul fatto che “non si butta fuori dall'aula un ragazzo”.
Dunque, cari genitori, voglio dirvelo: se  vostro figlio non sta attento, se si comporta male, se corre, salta, offende, è vero che forse l’insegnante non è capace di tenere la disciplina, che forse non è capace di essere interessante, ma prima di tutto, forse voi non avete insegnato il rispetto per gli altri, non avete insegnato che non tutto si può fare, e che esistono dei doveri, oltre che dei diritti. Forse.
L’importante è che noi insegnanti e noi genitori ci chiediamo di chi è la colpa se il bambino è così maleducato. Prima di tutto cercando la colpa in noi stessi. 


Prima parte qui.

martedì 23 aprile 2013

Sto scrivendo......



Sto rispondendo alle lettere, preparando il post per il blog e finendo il  nuovo libro. Sto scrivendo le ULTIME PAGINE!! Se tutto va bene potrete leggerlo alla fine dell'estate!


giovedì 18 aprile 2013

“La maestra lo ha messo fuori con tutto il banco” . Prima parte. 367° post.


Cristiana mi scrive:
“Buongiorno Professoressa ,
 le scrivo per chiederle un consiglio sul da farsi per un episodio che ha vissuto ieri mio figlio di 6 anni in prima elementare.
Siccome disturbava la maestra lo ha messo in corridoio da solo con tutto il banco e cosa ancora più grave io l’ho saputo dal bambino.
La signora si e’ affrettata a dirmi che vedeva il bambino (mettendo le mani avanti in caso di accusa di mancata tutela).
In ogni caso mi sembra un sistema molto punitivo e molto poco educativo esponendo il bambino  anche alla derisione degli altri alunni.
Le sarei grata se mi desse un suo parere.  
Cordiali saluti. Cristiana”

E Carlotta mi scrive:

“Gentile professoressa, mia figlia è stata abbandonata in classe, dalla maestra che è uscita con tutti gli altri bambini, sola ed incustodita perché non aveva finito di scrivere i compiti per casa. Dopo due settimane si è bagnata facendo pipì ed è stata tenuta in classe, senza mutande di fronte a tutti e senza che le maestre si facessero neanche venire in mente di chiamarmi per portare un cambio. Quest'ultimo episodio si è ripetuto due volte in una settimana, per cui, di fronte all'evidente disagio della bambina che iniziava a dare segni di insofferenza e nervosismo tali da doverci rivolgere allo psicologo, io e mio marito abbiamo deciso di cambiare scuola tempestivamente. Premetto che ci eravamo rivolti alla dirigente, con la quale abbiamo avuto ben tre incontri da allora, di cui uno alla presenza delle due maestre in questione, purtroppo senza nessun successo visto che l'unica risposta che ci ha dato è stata di "pazientare e dare alle maestre il tempo di abituarsi al passaggio dalla classe quinta alla prima". Adesso mia figlia frequenta un'altra scuola, con maestre che in pochi giorni hanno dimostrato una professionalità e una competenza che le precedenti, in circa sette mesi, non avevano mai neanche lontanamente palesato. Stiamo cercando tutti quanti di rimettere insieme i pezzi, soprattutto di ricostruire nella bambina un rapporto di fiducia verso le insegnanti. Le scrivo perché penso che sia molto importante per i genitori e per i bravi insegnanti conoscere fatti così vergognosi. A presto.  Carlotta”

Cara Cristiana e cara Carlotta,
ho già detto che un insegnante non deve buttare fuori dalla classe un alunno, prima di tutto perché non può sorvegliarlo, come è suo dovere fare.
Ma non è solo questo il problema. L'insegnante ha altri doveri.
Il bambino di Cristiana e la bambina di Carlotta sono in prima elementare.
Prima di tutto visualizziamo un bambino di sei anni. Sono solo sei anni che è al mondo e con ogni probabilità viene tenuto in grande considerazione a casa. Poi arriva a scuola e invece di trovare un ambiente accogliente viene buttato fuori dalla classe, da solo, nel corridoio, banco e tutto. Non so capacitarmi del fatto che a una maestra venga in mente di fare una cosa così diseducativa. Non mi dite che forse il bambino è terribile. Non so che cosa faccia per essere allontanato dalla classe e non mi interessa. A un bambino di sei anni la maestra deve insegnare come ci si comporta in classe. Metterlo fuori dalla porta della classe, esposto alla canzonatura degli altri bambini, sicuramente incapace di capire dove ha sbagliato, è un gesto che certifica l’incapacità di trovare strategie costruttive per educare ad un comportamento corretto. Non significa dire al bambino “il comportamento che hai tenuto non va bene”, ma “non ti voglio come sei”, “non mi piaci”, “non sei come gli altri e perciò non puoi stare con loro”. In pratica, l'unica strategia seguita è quella di tentare di farlo smettere umiliandolo, mettendolo in ridicolo, facendolo sentire rifiutato.
Lasciare una bambina sola in classe (e, cosa gravissima, senza sorveglianza) significa le stesse cose. E – aggiungo- il fatto di punirla “perché non aveva finito di scrivere i compiti per casa”, oltre a lasciarmi perplessa al pensiero di questi “compiti per casa” in prima elementare, mi fa sperare che la maestra abbia già escluso i possibili disturbi specifici dell’apprendimento (non so come, visto che una diagnosi si può fare non prima della fine del secondo anno di scuola elementare).
La bambina che si bagna facendo pipì, “tenuta in classe, senza mutande di fronte a tutti”, senza che alle maestre sia venuta l’idea di chiamare la mamma, poi, mi stupisce anche di più. Siamo d’accordo che le insegnanti (o gli insegnanti) di scuola primaria hanno molti bambini da guardare e quasi nessun aiuto, ma nulla può giustificare questa mancanza di attenzione.
Chiedere ai genitori che si sono rivolti alla dirigente di "pazientare e dare alle maestre il tempo di abituarsi al passaggio dalla classe quinta alla prima" ha dell’inverosimile. Una maestra non sa abituarsi al passaggio dalla quinta alla prima? Ha bisogno di tempo? E quanto tempo? Ma dove siamo? E come fanno tutte le altre insegnanti?
So che è faticoso gestire i bambini, trovare delle strategie utili a educare e a insegnare. Ma non si può dimenticare che il nostro dovere di insegnanti è quello che aiutare i bambini e i ragazzi a crescere, e di accoglierli, di proteggerli e farli sentire al sicuro, quando sono a scuola.
Non di maltrattarli quando non ce la facciamo più.


Seconda parte qui.

mercoledì 10 aprile 2013

Insegniamo ai ragazzi a sognare. 366° post


In questo periodo – noi adulti che facciamo parte della società - siamo sovraccarichi di preoccupazioni, di problemi, di noie. Ovunque si guarda c’è tristezza, dolore, povertà, sofferenza e perfino disperazione. O tocca a noi, o tocca ai nostri cari, o agli amici: disoccupazione, impossibilità di trovare il primo lavoro, debiti, imbrogli, fregature, perdite, fallimenti, suicidi.
Che cosa facciamo vedere ai bambini, ai ragazzi? Un mondo freddo e nero. Con quale coraggio noi insegnanti possiamo raccontare loro che “l’onestà premia”? che “sì, è vero che adesso stanno faticando sui libri, ma poi verranno ampiamente ripagati”. Non lo abbiamo, questo coraggio, e così li bombardiamo di messaggi negativi: “Tanto sono solo i disonesti quelli che vanno avanti!”, “I delinquenti sono  più ricchi e  più fortunati!”, “Il governo ti frega sempre!”, “Tanto non troverai mai un lavoro!”, “Studiare, oggi, è perfettamente inutile!”.

Ecco, così togliamo loro la voglia di impegnarsi, la fiducia negli altri, la capacità di entusiasmarsi e di sognare. Non è giusto.

C’è un principio molto importante quando si insegna: possiamo insegnare soltanto quello che sappiamo fare. Ora domando: sappiamo ancora – noi – entusiasmarci e sognare? Mi sembra che la maggioranza abbia rinunciato. Allora, facciamo un po’ di esercizio: esercitiamoci a sognare.

Se siete un po’ arrugginiti, seguitemi.

Innanzitutto, la vita non è la politica, la disonestà, la cattiveria, la stupidità. Ci sono aspetti meravigliosi della vita che abbiamo ancora. La natura, con i suoi paesaggi bellissimi, il miracolo di certi particolari straordinari, il nido di un ragno, una famiglia di cinciallegre, un delfino che salta davanti alla prua di una barca, un cavallo frisone al galoppo, il vento che muove le foglie, un campo di papaveri, un tramonto. Correre, ridere, cantare, amare, cogliere le ciliegie dall'albero  gli amici, i figli, le risate incontenibili di un bambino. La musica. E tante altre cose per le quali possiamo provare gioia. Bisogna imparare a notarle, ad apprezzarle, per poi insegnare a farlo ai nostri bambini e ragazzi. Figli e alunni.

Rendiamoci conto di quanto sia importante non darci per vinti, non demoralizzarci, e credere, invece, in noi stessi e nella vita.  Diamo dei messaggi positivi, presentiamo le brutture del mondo – che pure esistono - come eventi temporanei e non come l’essenza della vita, della società e del mondo.

Andiamo a scuola, domani, e diciamo ai nostri alunni che la vita è bella. Non è vero che non troveranno lavoro. Lo troveranno, invece, perché saranno così bravi che tutti li vorranno. Avranno un bel lavoro, una casa bianca con le finestre verdi, metteranno su un bel ristorantino e voi andrete a mangiare da loro. Viaggiate con la mente insieme a loro. Scegliete insieme il nome del ristorante. Passate del tempo a sollecitare i loro desideri, i loro sogni. “Che cosa ti piacerebbe che ti accadesse? Come ti vedi nel futuro? Che cosa vorresti, se tu potessi realizzare i tuoi sogni senza badare a spese? Come sarebbe la casa dei tuoi sogni? Se tu potessi viaggiare, dove andresti? Che cosa vorresti vincere? Fate descrivere tutto nei particolari. Ascoltate con loro, in classe, una bellissima musica. Parlate con loro di quello che provano ascoltandola. Fatelo, anche se insegnate matematica, senza paura di perdere tempo.

Lavorare per il futuro e per la felicità dei ragazzi fa parte del programma.




Leggete anche questi post, se volete. 

venerdì 5 aprile 2013

“Nella scuola italiana non c'è più la disciplina di una volta”. 365° post


La notizia di oggi della professoressa di matematica che dice a una liceale ebrea disattenta "Ad Auschwitz saresti stata attenta" è il perfetto esempio di quello che accade quando un insegnante non è un educatore, e perde completamente il controllo. Avrebbe potuto – sempre perdendo il controllo – dire qualcosa come  “Stai attenta, stupida!”, e sarebbe stato meno grave. Ma quella frase razzista voleva fare male, ferire. Credo che ad ogni insegnante che ha letto la notizia sia risalito un brivido di orrore lungo la schiena. Ma come è potuto succedere? La risposta sta nelle sue giustificazioni: "Volevo indicare un luogo in cui regnava l'ordine, ma non sono razzista" e "Non sono antisemita, ma nella scuola italiana non c'è più la disciplina di una volta". Non avevo mai sentito definire il campo di concentramento come “un luogo in cui regnava l'ordine”.  È un’espressione positiva: Auschwitz come un camping svizzero, insomma. E alla professoressa piace, perché lì sì che c’era “la disciplina di una volta”. Quella bella disciplina che permetteva agli insegnanti di entrare in classe, declamare versi e, se qualcuno stava disattento, passare alle bacchettate sulle mani. “Nella scuola italiana non c'è più la disciplina di una volta”.
Pare che la preside abbia detto "Forse non intendeva dire così...". Grave anche questo. Ma come? "Ad Auschwitz saresti stata attenta" può essere frainteso? C’è proprio la cultura del “Sono stato frainteso”. La bocca della professoressa ha parlato a sua insaputa, evidentemente.
"Non sono antisemita, ma (qualche coltellata verbale bisogna pur darla, ora che) nella scuola italiana non c'è più la disciplina di una volta", pare sottintendere la professoressa antisemita.
È stato un episodio vergognoso. Nessun provvedimento disciplinare per questa insegnante dunque? Ma, se non ora, quando?

mercoledì 3 aprile 2013

Ma che cosa significa “buonismo”? Seconda parte. 364°

Il termine “buonismo” viene scagliato contro tutti gli insegnanti in generale. È la diagnosi spicciola che molti fanno al capezzale della Scuola malata.
Le frasi ricorrenti espresse da chi ragiona in modo semplicistico sono queste: “La Scuola non è più com'era prima del Sessantotto”, ” “I ragazzi sono ignoranti”, “I bambini non sanno più leggere, scrivere e far di conto”, “I ragazzi sono maleducati”, “Il Sessantotto ha rovinato la Scuola”, ecc.
Diagnosi: “è il buonismo dilagante (e portato dal Sessantotto), che ha rovinato la Scuola. E gli insegnanti sono degli incapaci, buonisti, che vogliono promuovere tutti”.
Le parole possono essere diverse ma il concetto è questo.
Gli insegnanti che esprimono questi concetti vengono considerati come “quelli che hanno finalmente avuto il coraggio di dire la verità”, mentre quelli che cercano di dare delle spiegazioni ai risultati scadenti e all’abbassamento delle conoscenze e delle competenze dei nostri alunni (che riscontriamo ogni anno di più) vengono chiamati “buonisti”. Lo hanno detto anche a me pochi giorni fa.
Secondo quelli che spiegano tutto con il “buonismo”, se capisco bene, la colpa è sempre dei bambini (anche se hanno sette anni) e dei ragazzi. Dare la colpa a qualcun altro è da smidollati buonisti (di solito a “buonisti” si associa, come offesa “comunisti”).
“La colpa è dei ragazzi, che sono svogliati e maleducati, e l’unica soluzione è quella di castigarli ben bene, di bocciarli, di isolarli.” Ci vorrebbe un po’ di “cattivismo”, insomma. Credo che riceverei degli applausi dai cattivisti, se in un mio post o in un libro scrivessi che ai bambini ci vorrebbero le orecchie d’asino e delle belle e sane bacchettate sulla punta delle dita. Oltre a delle sonore bocciature, è ovvio. E, se alla fine delle elementari ci fossero ancora bambini che non hanno imparato l’educazione e l’impegno, si dovrebbe passare, dalle medie, a qualche bella doccia gelata (nelle palestre di solito ci sono le docce) e, naturalmente, a punizioni, sospensioni e bocciature finché non imparano come si sta a scuola.
Per quanto riguarda gli alunni che hanno dei disturbi specifici dell’apprendimento, credo che i cattivisti offrirebbero questa soluzione: “non sanno l’ortografia? non sanno leggere bene? non sanno scrivere senza fare errori di ortografia? Bocciateli! Così imparano ad impegnarsi di più. In fondo, basterebbe un po’ più di attenzione, che diamine! E poi, basta con tutte queste parole - disgrafico, disortografico, dislessico, e chi più ne ha più ne metta – che servono solo a camuffare la parola “somaro”!”
“Per gli alunni affetti da deficit dell’attenzione con o senza iperattività ci vuole la bocciatura. Fanno perdere un mucchio di tempo. Non possiamo stare dietro a loro che, in fin dei conti, sono dei ragazzacci violenti; altro che “deficit dell’attenzione e iperattività”! Se sono così la colpa è dei genitori che al momento opportuno non gli hanno dato due belle sberle.”
“I bambini e i ragazzi che hanno una vita familiare difficile? Basta, con questo scusare tutto, giustificare tutto! Se stiamo a vedere tutto, cresceranno ignoranti! Via, si bocciano e il problema è risolto. A che cosa serve che studino tutti? Che vadano a fare i muratori! La manodopera manca. Così non dovremmo neanche assumere tutti quegli stranieri!”
Spero che nessuno dei cattivisti dica che quello che ho immaginato non sia vero, perché altrimenti significherebbe che non riflettono su quello che dicono.
Perché è questo che accade nelle scuole: siamo talmente impegnati ad aiutare, a recuperare, a rimettere sulla retta via, a colmare delle lacune, che non abbiamo tempo per ottenere grandi risultati. Ma qual è l’alternativa? Ignorare le fasce deboli, cioè tutti i bambini e i ragazzi che hanno un problema? Smettere di cercare di capire i motivi dell’insuccesso scolastico di molti alunni? Abbandonare l’idea di offrire a tutti (e non soltanto ad un’elite) la possibilità di studiare? Tentare un ripristino configurazione del sistema – come facciamo con il PC- per ritornare al momento in cui tutto funzionava perfettamente? Ed ecco il primo punto: prima – prima del Sessantotto, per esempio e ancora prima – tutto funzionava perfettamente? Ma scherziamo? La Scuola, un tempo, era “un ospedale che cura i sani e respinge i malati", una Scuola solo per i “Pierini del dottore” come diceva Don Milani. La Scuola era solo per i bambini che economicamente potevano permettersi di andare all’Università, o per i ragazzi molto bravi, che potevano usufruire di borse di studio. Pochi. Poi, con il Sessantotto, c’è stata una lotta per aprire la Scuola davvero a tutti. È stata una rivoluzione. Ed ecco il secondo punto:
- ci sono quelli che credono giusto dare a tutti la possibilità di studiare, di imparare quello che serve per avere un buon lavoro (che non passa necessariamente attraverso l’università). Quelli che credono che la Scuola non sia preparata a offrire un vero allargamento della cultura, perché lo Stato non dedica a questo scopo risorse neanche lontanamente sufficienti.
- E ci sono quelli che sostengono che è sbagliato che studino tutti, e che i ragazzi che “non hanno le basi”, che “non sono portati”, “che non hanno voglia di andare a scuola”, o “hanno dei problemi” debbano essere forzati. Sono destinati ad essere muratori, evidentemente, ed è giusto che non rallentino il cammino dei “Pierini del dottore”.  
Certo, è più facile stroncare tutti i tentativi di migliorare la Scuola definendoli “buonismo” e proponendo la soluzione del “cattivismo”, dell’intransigenza, della selezione spicciola, indistintamente, nella scuola dell’obbligo e in quella del post obbligo. È molto più facile che faticare, gestire classi difficili, e “portare avanti” ragazzi recalcitranti nella speranza che si salvino, che la loro vita migliori e che, insieme, migliori la Società tutta.
Ed infine c’è il terzo punto: chi propone il “cattivismo” crede che gli insegnanti, quando non bocciano un alunno lo facciano perché sono troppo buoni. Errore. Nella Scuola dell’obbligo se si decide che non è necessaria la bocciatura di un alunno che non ha raggiunto una preparazione sufficiente è perché sappiamo che si deve porre particolare attenzione al percorso evolutivo, perché il bambino sta crescendo, è una persona in evoluzione e deve essere valutato nella sua interezza e non soltanto per le sue competenze.
Non tener conto di questo vuol dire non sapere che cosa significa essere un insegnante, un educatore.
Alle Superiori non è vero che non si boccia. Si boccia, eccome. Ma la Scuola non prevede la “bocciatura parziale”, solo per una o due materie. O lo promuovi in tutte le materie o lo bocci in tutte. Che cosa si dovrebbe fare? Bocciare un alunno che non sa nulla di latino, o non sa scrivere, o non conosce la letteratura e ha sufficienze in tutte le materie?
Credo che sarebbe molto importante che ci rendessimo conto del fatto che se nella Scuola ci sono tante promozioni non si tratta di buonismo. Gli insegnanti si trovano di fronte a situazioni per le quali la promozione appare come la soluzione meno dannosa, meno ingiusta.
Dire che si tratta di “buonismo” è una semplificazione assurda.

La Prima Parte qui.

Ma che cosa significa “buonismo”? Prima parte. 363°

Vorrei sapere che cosa si intende esattamente quando si parla di “buonismo” nella Scuola.
Mi sembra di capire che il “buonismo” è la causa di tutti i mali della Scuola.
Faccio qualche esempio, trovato qua e là:

“il buonismo di questi ultimi decenni, che ha la sua più lontana radice nell'ideologia sessantottina, ha provocato soltanto danni e ha fatto sì che uscissero dalle scuole e dalle università persone assolutamente impreparate”

“I docenti si sono imbevuti a tal punto nella melensa pedagogia moderna da trasformarsi in una massa di buonisti ad oltranza che accettano di farsi prendere a colpi di estintore in faccia pur di evitare di passare per retrogradi”

“..quello che, a mio parere, è il male più grave della scuola (e conseguentemente della società), [è] il buonismo. Sia che questo provenga da logore ideologie sessantottesche, sia che derivi da presidi e insegnanti timorosi di ricorsi di genitori sempre più protettivi, il risultato è che ai nostri ragazzi chiediamo sempre di meno e loro si impegnano sempre di meno, venendo poi comunque “gratificati” alle recite di fine anno (gli esami) con giudizi e voti gonfiati che li illudono di essere più bravi di quanto in realtà sono.”

“la scuola ha abbassato le proprie pretese e per di più impera il buonismo della promozione a tutti i costi o quasi.”

“sarebbe davvero ora di finirla con questo buonismo imperante che ha avuto il "merito" di far scadere la scuola dal punto di vista qualitativo a livelli inimmaginabili!”

“Per evitare a studenti e genitori l'umiliazione di un voto negativo (e magari non adeguatamente ponderato) scritto, nero su bianco, sulla pagella del trimestre, si finisce per cedere al buonismo e arrotondare per eccesso comunque.”

“Professoressa Milani, ma la vogliamo finire con il buonismo? I ragazzi violenti vanno isolati, punto e basta, qualsiasi età abbiano. Sono insegnante nella scuola media, e per la mia esperienza i tentativi di "inclusione" di questo tipo di alunni non hanno mai dato esito favorevole, né per loro né per chi (i compagni, in primo luogo) si ritrova a subire ogni tipo di vessazioni e angherie. Solidarizzo con il genitore che ha scritto la lettera: quando la maggior parte del tempo scuola trascorre in situazioni di contenimento, la scuola diventa un penitenziario. Basta.”

“ Dopo aver inventato il cancro del 6 politico, che ha ucciso la scuola, i buonisti della sinistra livellatrice in basso e fautrice di un popolo di ignoranti utili alla sua ideologia, si sta spostando verso la NON valutazione, il NON giudizio, figli del NON genere. Per la sinsitra e il suo dominio il popolo NON deve essere, NON deve appartenere e NON deve eccellere. Essere i primi della classe è da fascisti, essere bravi significa schiavi del sistema, essere ricchi e capaci vuol dire razzisti. E allora via alle danze dei perdonisti per i quali la colpa è sempre di qualcun altro: il compito è difficile, la scuola è selettiva, il numero chiuso è fascista. Prima erano ignoranti a gruppetti ben isolati oggi sono mandrie sconfinate allineate dietro al pifferaio che perdona, non boccia ma usa e calpesta in cambio del voto, questo sì, alle elezioni.”

“La scuola italiana è ormai ostaggio di questo buonismo. Guai a bocciare un alunno (a proposito, la parola "bocciare" è bandita dal linguaggio politicamente corretto) : la colpa, secondo i genitori, ma anche dei presidi che, ormai, per compiacerli, in modo da non avere problemi, danno sempre loro ragione: è sempre colpa dei professori, mai degli alunni magari svogliati, o distratti, o forse poco intelligenti (orrore! non si può dire, secondo le norme del già citato linguaggio) o , chissà, come si diceva una volta in maniera sintetica, semplicemente somari”.

“l buonismo ha rovinato ben più di una generazione di studenti, dopo che quel pagliaccio di D'Onofrio ha tolto gli esami a settembre nel 1995, sostituendoli con la farsa dei debiti formativi che hanno lasciato sul campo una miriade di ignoranti patentati.”

In pratica, “buonismo” significa “atteggiamento di chi è troppo buono”?
È “buonista” un insegnante che vuole aiutare chi non ce la fa? Se promuove un bambino o un ragazzo che non ha imparato l’aritmetica è di sicuro un “buonista”? Se giustifica gli errori di ortografia di un bambino affetto da disortografia è buonista?”

Copio dal vocabolario online della Hoepli:
buonismo

Polit, spreg. Atteggiamento di benevola apertura e comprensione per tutte le posizioni, accusato di non andare al di là di generici appelli moralistici, capaci solo di produrre compromessi confusi e di basso livello

 estens. Eccesso di buoni sentimenti, suggestivo ma inconcludente.

Quindi è un termine spregiativo in politica, e negativo nell'uso che se ne fa quotidianamente, per estensione. Qualcosa di inutile,  inconcludente, che parte da concetti sbagliati, insomma. E che causa danni.

lunedì 1 aprile 2013

Alunni violenti: che cosa si può fare? Seconda parte. 362°

Tiziano mi scrive:
  
“Buongiorno !!! Sono un Dirigente Scolastico che sta vivendo una situazione molto problematica di un bambino (I primaria) molto molto violento ed impulsivo. Il bimbo non è certificato handicap, i genitori non sono consapevoli del problema ... rifiutano di affrontare il problema ("il problema sono gli Insegnanti che non sanno comprendere nostro figlio dal carattere problematico") ... e la sua violenza la esplicita dando pugni e calci agli Insegnanti, tirando a tutta forza i capelli alle Insegnanti, lanciando sedie e banchi ... Cosa fare ? E' inutile ogni volta dire che i D.S. non fanno niente ... a volte non hanno possibilità di intervenire opportunamente: non possono allontanare l'alunno, la richiesta di certificazione non va a buon fine, il diritto allo studio deve essere rispettato ed una eventuale riduzione d'orario scolastico non può essere "imposta" ma è soggetta all'accettazione da parte dei genitori (se i genitori lavorano o non sono d'accordo ...) Abbiamo tutti "armi spuntate" ... con tutta la comprensione del caso non saprei cosa fare ... E' più che giusto segnalare al D. S. il caso ... ma di certo non si può, purtroppo, pretendere che il D.S. risolva il caso ... cercherà di farlo, certo ... ma la normativa è molto deficitaria ... se non inesistente. Cordialmente Tiziano”

Caro Tiziano, sappi che di centinaia di lettere che ho ricevuto, la tua è la prima scritta da un dirigente. Ti stimo, per questo. Evidentemente vuoi veramente fare qualcosa, altrimenti non saresti approdato al mio blog.
Quello che dici dei dirigenti è tutto vero:
“non possono allontanare l'alunno, la richiesta di certificazione non va a buon fine, il diritto allo studio deve essere rispettato ed una eventuale riduzione d'orario scolastico non può essere "imposta" ma è soggetta all'accettazione da parte dei genitori (se i genitori lavorano o non sono d'accordo ...)”.
Come ho già scritto nel precedente post, la soluzione, molto difficile da trovare in una Scuola che non fornisce le opportune risorse (e che, anzi, le riduce sempre di più) può essere trovata solo se tutti gli elementi coinvolti collaborano strettamente. Finché il genitore pretenderà la soluzione dall’insegnante, l’insegnante dal dirigente, il dirigente dall’insegnante, non si riuscirà a fare nulla di concreto. Bisogna che ognuno venga messo di fronte alle sue responsabilità. Prima di tutto il genitore: se la Scuola (insegnante e dirigente) chiede alla famiglia di far visitare il bambino che ha comportamenti violenti ad uno specialista che possa individuare la presenza di eventuali problemi e indichi all’insegnante come gestire il bambino, la famiglia lo deve fare. Appena lo specialista avrà certificato un disagio, o un problema, l’insegnante deve attivarsi per aiutare l’alunno, anche studiando e aggiornandosi. Il Dirigente deve impegnarsi per reperire tutti gli aiuti possibili per supportare i docenti (tramite Asl e Comune). Tutti insieme devono parlare per risolvere la situazione. Un modo deve essere trovato, perché il bambino che ha dei problemi deve essere aiutato. Chiunque cerchi di tirarsi fuori dal problema deve essere obbligato a rientrare nel problema, perché nella Scuola a nessuno dovrebbe essere permesso di risolvere i problemi semplicemente nascondendoli o ignorandoli. Esistono delle responsabilità, civili e penali, per tutti: la culpa in educando (per i genitori), la culpa in vigilando (per gli insegnanti) e la culpa in organizzando (per la scuola e il dirigente).
Quello sollevato da te e da altri è un problema grave. Il bambino o il ragazzo che lancia oggetti, fa lo sgambetto e mette in atto comportamenti pericolosi, può impedire o rendere quasi impossibile la lezione, e far guadagnare a genitori e docenti delle denunce. I bambini o i ragazzi sono affidati all’ insegnante, che deve fare in modo che possano ricevere un’adeguata formazione, e che  non si facciano male. Il problema è serio: quando si tratta di una patologia che per esempio porta il bambino a esplosioni improvvise  di collera e a comportamenti violenti, senza che l’insegnante possa in qualche modo distrarlo, o convincerlo, o interessarlo, che cosa si può fare?  Possono gli insegnanti accettare che il bambino spari un calcio ad un compagno? Possono accettare di ricevere in faccia un compasso? E i genitori degli altri bambini, possono starsene tranquilli a casa, sapendo che i loro figli vivono una situazione di disagio? Con questo e con tutti gli altri post del blog (e con tutto il mio libro), sto io suggerendo di lasciare perdere perché “il bambino non ne ha colpa”? A queste domande rispondo “No!”.
No, perché noi dobbiamo tutelare la salute dei bambini e dei ragazzi a noi affidati e – non dimentichiamolo – anche del bambino che lancia oggetti.
Caro Tiziano, credimi, so che è molto difficile anche per i dirigenti (i bravi dirigenti, intendo) che ce la mettono tutta.
Con questo e con tutti gli altri post del blog (e con tutto il mio libro), sto suggerendo di lasciare perdere perché “il bambino non ne ha colpa”? No.
Dico a tutti, genitori, insegnanti e dirigenti: non dobbiamo lasciare perdere perché “non si può fare nulla, abbiamo le mani legate”. Sleghiamocele, queste nostre mani legate.  È indispensabile che ognuno faccia la sua parte, prima di tutto i genitori, che devono capire che se il bambino lancia oggetti e picchia, o si tratta di culpa in educando o si tratta di un problema che solo uno specialista deve individuare e certificare.
Scrivi alla famiglia per convocarla ad un incontro con i docenti e per informarla della situazione, precisando che la loro presenza, come titolari della patria potestà, è indispensabile per decidere come aiutare il bambino e per evitare che accadano degli incidenti che possano causare danni fisici a qualcuno. Se i genitori non vengono, passerei il problema ai servizi sociali. Chiedi all’Asl, chiedi al Comune, chiedi al Collegio Docenti come trovare le risorse per gestire questi casi. Nella Scuola non si può pensare solo a se stessi (“l’alunno non è mio, devono gestirlo i suoi insegnanti”). Oggi tocca a me, domani tocca a te. I problemi si risolvono tutti insieme. Tu che sei il dirigente puoi fare la differenza, pretendendo che la scuola che dirigi si attivi per risolvere i problemi.
Fammi sapere!

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