La professoressa Isabella Milani è online

La professoressa Isabella Milani è online
"ISABELLA MILANI" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy dei miei alunni, dei loro genitori e dei miei colleghi. In questo modo ciò che descrivo nel blog e nel libro non può essere ricondotto a nessuno.

visite al blog di Isabella Milani dal 1 giugno 2010. Grazie a chi si ferma a leggere!

SCRIVIMI

all'indirizzo

professoressamilani@alice.it

ed esponi il tuo problema. Scrivi tranquillamente, e metti sempre un nome perché il tuo nome vero non comparirà assolutamente. Comparirà un nome fittizio e, se occorre, modificherò tutti i dati che possono renderti riconoscibile. Per questo motivo, mandandomi una lettera, accetti che io la pubblichi. Se i particolari cambiano, la sostanza no e quello che ti sembra che si verifichi solo a te capita a molti e perciò mi sembra giusto condividere sul blog la risposta. IMPORTANTE: se scrivi un commento sul BLOG, NON FIRMARE CON IL TUO NOME E COGNOME VERI se non vuoi essere riconosciuto, perché io non posso modificare i commenti.

Non mi scrivere sulla chat di Facebook, perché non posso rispondere da lì.

Ricevo molte mail e perciò capirai che purtroppo non posso più assicurare a tutti una risposta. Comunque, cerco di rispondere a tutti, e se vedi che non lo faccio, dopo un po' scrivimi di nuovo, perché può capitare che mi sfugga qualche messaggio.

Proprio perché ricevo molte lettere, ti prego, prima di chiedermi un parere, di leggere i post arretrati (ce ne sono moltissimi sulla scuola), usando la stringa di ricerca; capisco che è più lungo, ma devi capire anche che se ho già spiegato più volte un concetto mi sembra inutile farlo di nuovo, per fare risparmiare tempo a te :-)).

INFORMAZIONI PERSONALI

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La professoressa Milani, toscana, è un’insegnante, una scrittrice e una blogger. Ha un’esperienza di insegnamento alle medie inferiori e superiori più che trentennale. Oggi si dedica a studiare, a scrivere e a dare consigli a insegnanti e genitori. "Isabella Milani" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy degli alunni, dei loro genitori e dei colleghi. È l'autrice di "L'ARTE DI INSEGNARE. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi", e di "Maleducati o educati male. Consigli pratici di un'insegnante per una nuova intesa fra scuola e famiglia", entrambi per Vallardi.

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martedì 31 dicembre 2013

Io, Isabella Milani, non ho mai insegnato in classi senza problemi. 429° post

Io, Isabella Milani, non ho mai insegnato in classi senza problemi. Lo preciso perché evidentemente ce n'è bisogno.
Pare che tutti quelli che scrivono (giornalisti e/o blogger) trovino sempre qualcuno che fa della polemica, protesta e qualche volta insulta. Nell'era di facebook soprattutto, ognuno si sente in diritto di dire la sua, di rimproverare, di fare del sarcasmo, di trarre delle conclusioni anche senza avere in mano i necessari dati per capire bene.
Capita anche a me, qualche volta.
Voglio finire l’anno facendo qualche riflessione su queste persone, (fortunatamente poche) che scrivono commenti. Alla fine dell'anno cestino sempre qualcosa: cose inutili, abitudini inutili. 
Ecco quello che mi capita di leggere qui nel blog.
Qualcuno ce l’ha con tutto il corpo docente e insulta tutti noi insegnanti perché ci lamentiamo della fatica dell’insegnamento. Qui nulla di nuovo e perciò mi limito a cestinare.
Qualcuno protesta perché non gli ho risposto e anche in quel caso lascio perdere perché ho scritto spesso che non posso garantire risposta a tutti (non ho uno staff di segretari). Evidentemente chi non lo capisce non merita altra risposta.
Uno mi ha scritto che le informazioni che do sull'Invalsi sono sbagliate. Anche lì, mi sembra strano che si parli di “informazioni”, come se io fossi qui per dispensare informazioni e non opinioni che, possono essere anche sbagliate, ma sono le mie. Penso che si tratti di qualcuno politicamente diverso da me (magari della stessa idea politica di certi ministri o presidenti del consiglio, soprattutto passati) e lascio perdere.
Qualcuno (non nel blog, ma in giro per facebook o in qualche forum) scrive, più o meno, che “la prof. Milani scrive e dà dei consigli perché non ha i nostri alunni.” “Se avesse gli alunni che ho io vedrebbe che non si può fare nulla”; “Vorrei vedere la prof. Milani con i ragazzi che ho io, che se ne fregano se li fissi o se stai sulla porta”.
Anche in questo caso, lascio perdere (anche se mi secco), perché riconosco il tipico livore di chi dà per scontato che se lui non riesce a fare qualcosa significa che è impossibile che qualcuno ci riesca. Molto spesso è proprio questa presunzione quella che impedisce a certi insegnanti di trovare delle strategie per gestire le classi e gli alunni difficili.
Vorrei però rispondere al commento di  Filippo a un mio post (nel quale si parlava di un biondino difficile) e aggiungere fare qualche riflessione generale. Filippo scrive:
“Forse nel mondo della professoressa Milani il biondino ha sorriso, ha chiesto scusa e non lo ha fatto mai più, anzi, ha cominciato a trovare un senso in ogni materia, ha trascorso i pomeriggi sui libri, motivato e soddisfatto; anche sua madre ha imparato che deve rispettare gli insegnanti ed il loro lavoro, controllare il diario del figlio, stargli più vicino; suo padre è tornato a casa, dopo la fuga con la badante ucraina della nonna inferma (che, intanto, ha ripreso a camminare). E tutti vissero felici e contenti. Nel mondo scolastico in cui lavoro io, il biondino ripete la parolaccia, ma ad alta voce, affinché la sentano tutti e sappiano che lui non teme nessuno e nessuno può domarlo; nel migliore dei casi, si alza, gira per i banchi, sferra uno scapaccione ad un paio di compagni, getta astucci e libri per terra, calcia uno zaino ed esce di nuovo dalla classe. Nella peggiore delle ipotesi (peggiore ma non più rara), al termine delle lezioni il biondino riga tutta l'automobile della professoressa, le infila un paio di chiodi nelle gomme (nel laboratorio -incustodito- di tecnologia ce ne sono a bizzeffe!) e, quando non basta, manda anche il padre a fare una sfuriata a scuola.
Cordiali saluti dal mondo reale.
Mi scuso per il tono sarcastico, ma non ho potuto farne a meno. Buon lavoro. Filippo”

Caro Filippo, pensi che io insegni in una scuola modello? Hai letto bene tutto? Sai che insegno in una scuola pubblica? Sai che ho scritto il libro e il blog per riflettere sulla Scuola reale, proprio perché i libri che leggevo erano scritti da persone che prendevano in considerazione alunni e classi teoriche?
La chiave del discorso è nella tua frase:
“Cordiali saluti dal mondo reale.”
Quindi il sarcasmo (del quale non hai potuto fare a meno) nasce dalla convinzione che quello che racconto sia tutto inventato? O che io abbia alunni “facili”, niente a che vedere con quelli di cui tu hai esperienza? Sei convinto (come qualche altra persona che ha scritto ‘mettiamola nelle nostre classi e vediamo che cosa sa fare’) che quello che scrivo valga solo per i miei alunni, perché pensi che non siano alunni difficili o problematici?
A me farebbe piacere che le persone che commentano facendo della polemica o del sarcasmo leggessero quello che scrivo, prima di esprimere giudizi. Se lo facessero, si sarebbero imbattuti senz’altro nel concetto (che ho espresso spessissimo) che neanche a me riesce tutto alla prima. Ho imparato le strategie che consiglio dopo molto studio, molta sperimentazione e molta, moltissima fatica. Scrivo sempre che bisogna leggere, osservare i ragazzi, studiare, insistere, non mollare, non demoralizzarsi; anch’io mi stanco molto e qualche volta perdo la pazienza; ma provo e riprovo finché non riesco a stabilire un contatto con gli alunni, soprattutto quelli difficili; e mi metto continuamente in discussione, leggo tutto quello che trovo, rifletto su tutto e penso sempre che posso imparare da tutti. Se qualcosa non mi riesce non do la colpa agli altri, ma a me stessa. Prima di tutto a me stessa.
Da quando insegno non ho mai avuto una classe “facile”, Filippo: in tutte le mie classi c’è sempre stato un bel gruppo di alunni difficili, provenienti anche da ambienti socioculturali difficili. Vivo nel mondo reale e lavoro in una scuola reale, dunque. Nelle scuole in cui ho insegnato (se tu avessi letto quello che scrivo lo sapresti) ci sono anche dei biondini o dei moretti che possono anche mandarti a quel paese, che picchiano i compagni in presenza dell’insegnante, e che rigano le macchine. A me – fino ad oggi – non mi è mai capitato, che mi rigassero la macchina o mi mandassero a quel paese. Magari lo hanno fatto con gli altri, quegli stessi alunni. Ma se mi capitasse, non darei per scontato che “il biondino” e i suoi compagni sono irrecuperabili. Lotterei per aiutare lui e gli altri; per trovare come fare. Con grande, grandissima fatica, ma lo farei.
Quindi, Filippo, se non riesci a gestire il biondino, non dare la colpa a me. Lascia perdere il sarcasmo. Leggi tutto quello che ti metto a disposizione, se vuoi,  cercando di vedere se quello che scrivo può servirti, e, se ti sembra che non faccia al caso tuo, chiudi la pagina e vai altrove: il web è enorme.
Buon lavoro anche a te, Filippo.


sabato 28 dicembre 2013

“Che cosa fare con i ragazzi timidi e ansiosi?” 428° post

Maria Cristina mi scrive:
“Gentile professoressa, seguo con molto interesse i suoi post sulla gestione di bambini e ragazzi vivaci e poco educati ma vorrei conoscere la sua opinione su come gestire il problema opposto, quello dei bambini e ragazzi molto timidi e/o ansiosi.
Da un paio di settimane do ripetizioni ad una ragazzina di seconda media; a detta dei genitori (ma anche degli insegnanti) è beneducata, in classe non disturba e fa sempre i compiti ma al momento di affrontare interrogazioni e in generale attività che richiedono partecipazione i suoi risultati sono scarsi o appena sufficienti. I suoi mi hanno detto che anche durante la prima media c’erano state queste difficoltà ma che avevano visto dei miglioramenti verso la fine dell’anno e pensavano che la figlia avesse trovato “il sistema giusto” mentre con l’anno nuovo i problemi sono ricominciati (penso sia perché alla fine dell’anno facevano soprattutto verifiche scritte in cui lei tende ad andare meglio). I suoi insegnanti, complessivamente, hanno attribuito i suoi risultati alla mancanza di un corretto metodo di studio e l’hanno invitata a spendere più tempo e “più sforzo” alle materie in cui ha più problemi.
I suoi problemi riguardano soprattutto l’inglese, materia per cui la seguo, in particolare fatica nelle attività di ascolto, conversazione e lettura ad alta voce. Inizialmente ho notato che in effetti, quando la interrogavo o le chiedevo di parlarmi di qualcosa, faceva quasi scena muta; dato però che mi sembrava troppo diligente per non riuscire a mettere insieme neanche una frase mi è venuto il dubbio che ci fosse un problema di insicurezza. Ho cercato di indagare sull’argomento e lei, con un po’ di riluttanza, mi ha detto che ha paura di dire una stupidaggine e di far ridere tutti, che le mettono fretta perché se non risponde subito i suoi insegnanti ripetono la domanda a qualcun altro, che lei prova a ripetere ad alta voce ma poi quando è lì si dimentica tutto ed altre cose di questo genere. Ho cercato di darle delle rassicurazioni (apprezzamenti sulla sua conoscenza della grammatica, incoraggiamento quando diceva qualcosa…) e negli altri due incontri le cose sono andate un po’ meglio: è esitante e magari si blocca a metà frase in attesa di approvazione però almeno prova a dire qualcosa e lo fa meglio di quello che si potrebbe pensare guardando i suoi voti all’orale.
A questo punto pongo due questioni:
1- Come mi regolo con lei? È ovvio che in questo momento le servono rassicurazioni e approvazione ma in teoria dovrei anche aiutarla a diventare indipendente. Posso adottare qualche strategia o consigliarne qualcuna a lei?
2- Non c’è il rischio di catalogare un po’ troppo facilmente come privi di metodo, di applicazione o anche poco intelligenti dei bambini o ragazzi che in realtà sono solo insicuri? È vero che i ragazzi di questo tipo si fanno notare di meno (e quindi forse spingono poco ad impegnarsi per loro) perché in genere non danno problemi né agli insegnanti né ai compagni ma bisognerebbe trovare delle strategie per aiutarli che non siano il banale “non essere timido” che non serve a niente.
Ringraziandola per la sua attenzione, la saluto cordialmente. Maria Cristina”

Cara Maria Cristina, i ragazzi timidi e/o ansiosi sono un problema difficile da risolvere. Hai perfettamente ragione quando dici che “bisognerebbe trovare delle strategie per aiutarli”, perché spesso vengono trascurati dagli insegnanti, completamente impegnati a risolvere il problema – più urgente- dei ragazzi difficili. Tutti noi dedichiamo la maggior parte del tempo a gestire i ragazzi difficili, perché se non lo facciamo possiamo dire addio alla lezione.
I ragazzi timidi e/o ansiosi avrebbero bisogno di grande attenzione. Non è vero - come qualcuno sostiene -  che "è il loro carattere e non possono cambiare".  Bisognerebbe aiutarli a diventare più coraggiosi, ad acquistare più fiducia i loro stessi. Bisognerebbe avere il tempo di creare delle situazioni ad hoc nelle quali inserirli, per poi guidarli ad uscirne con tranquillità e sicurezza. È vero: i ragazzi timidi o ansiosi vengono spesso catalogati come “privi di metodo, di applicazione o anche poco intelligenti”. Ma non è per insensibilità o menefreghismo, che gli insegnanti lo fanno, ma per necessità. Se un insegnante si ferma troppo tempo ad aspettare che il timido/ansioso trovi il coraggio di parlare, l’ora di lezione finisce senza aver spiegato nulla. Allora capita che “se non risponde subito i suoi insegnanti ripetono la domanda a qualcun altro”.
La mancanza di personale che possa proseguire il lavoro mentre noi ci fermiamo ad aiutare chi rimane indietro (o viceversa)  ci rende difficile intervenire. La mancanza di risorse che permettano la presenza di personale di supporto (non solo di sostegno), infatti, è una delle ragioni per cui la Scuola versa in gravi difficoltà.
La maggioranza di noi (non credo che valga per tutti, ma per tanti) ne è consapevole, e si sente in colpa. Lo stress degli insegnanti è anche questo: vedere benissimo che ci sono tanti ragazzi che hanno bisogno di aiuto e non riuscire ad aiutarne che una piccola parte. È davvero frustrante.
Da questa consapevolezza nasce nell'insegnante che cerca di fare del suo meglio un senso di inadeguatezza che rende difficile il lavoro.
Detto questo, analizziamo la situazione: abbiamo una ragazzina beneducata, che in classe non disturba e che fa sempre i compiti, ma non riesce a superare la sua timidezza/ansia.
I genitori hanno cercato la causa dei suoi scarsi risultati in una difficoltà della ragazzina e le hanno affiancato un’insegnante (tu) che la aiutasse. Tu, sicura dell'aiuto che le dai, cerchi la causa in qualcosa che accade in classe. E per questo hai indagato, e lei, un po’ riluttante, alla fine “ha detto che ha paura di dire una stupidaggine e di far ridere tutti, che le mettono fretta perché se non risponde subito i suoi insegnanti ripetono la domanda a qualcun altro, che lei prova a ripetere ad alta voce ma poi quando è lì si dimentica tutto ed altre cose di questo genere.”
“I suoi insegnanti, complessivamente, hanno attribuito i suoi risultati alla mancanza di un corretto metodo di studio e l’hanno invitata a spendere più tempo e “più sforzo” alle materie in cui ha più problemi.”
Però, forse i genitori non hanno valutato la possibilità che la figlia abbia paura prima di tutto del loro giudizio (che forse si aspettano da lei risultati che non riesce a ottenere).
Forse tu hai indagato, dando per scontato che il problema fosse a scuola e – senza accorgertene – hai influenzato le sue risposte con domande come “Ma tu ti senti tranquilla? Hai paura di qualcosa? Sei agitata?”, senza considerare il fatto che la maggior parte dei ragazzi ha paura del giudizio dei compagni  e dei genitori prima di quello dell’insegnante.
Forse gli insegnanti non hanno considerato tutte le possibilità, fra le quali obiettive difficoltà o disturbi specifici di apprendimento, o disturbi relazionali.
Con i ragazzi timidi/ansiosi il modo migliore di aiutarli è quello di capire perché hanno dei problemi a parlare in pubblico,  a relazionare,  ad esporsi. Se è qualcosa che rientra nelle normali difficoltà dell’adolescenza, allora puoi aiutarli cercando di mostrare loro (con i fatti, non con le spiegazioni) che possono farcela. Se è qualcosa di più importante, non possiamo fare altro che convincere i genitori a richiedere una visita specialistica. Noi non siamo psicologi e non dobbiamo improvvisarci tali. Il “fai da te” non è conveniente quando si tratta di situazioni delicate. Per trovare una strategia per aiutarla bisognerebbe poterla osservare nel contesto scolastico: né tu, né io, né i genitori possiamo farlo e perciò darei fiducia all'opinione degli insegnanti, che “hanno attribuito i suoi risultati alla mancanza di un corretto metodo di studio e l’hanno invitata a spendere più tempo e “più sforzo” alle materie in cui ha più problemi.” Concordo. Gli alunni timidi si confondono facilmente e perciò è importante che il procedimento che devono seguire mentre stanno studiando (il metodo) sia chiarissimo, in modo che sia facile seguirlo anche se sono emozionati e agitati. Insegna alla ragazzina a seguire un metodo preciso. Non posso darti altri suggerimenti perché dovrei essere lì. Ci vuole tempo e pazienza.
Bisogna tenere in considerazione anche il fatto che molte difficoltà degli alunni timidi sono generate da genitori troppo esigenti. Analizza quello che dicono i genitori e, se ti sembra che le loro aspettative siano troppo alte, cerca di far loro capire che è importante che accettino eventuali difficoltà della figlia.

Spero di averti aiutato, Maria Cristina.

domenica 22 dicembre 2013

BUON NATALE!


Cari lettori, vi auguro di passare un meraviglioso Natale!
Lasciamo da parte tutti i pensieri (soprattutto i problemi della Scuola) e godiamoci queste feste in famiglia e con gli amici!

venerdì 20 dicembre 2013

"W il PROF" sull'ESPRESSO (e c'è anche Isabella Milani!)



Se in questi giorni avete occasione di leggere L'ESPRESSO, sappiate che a pag. 60 c'è un bellissimo articolo di Francesca Sironi sugli insegnanti e sulla Scuola. 
Grazie alla giornalista e grazie all'Espresso, per il titolo e per come siamo stati presentati ai lettori.
E c'è anche una mia piccola intervista.
L'intervista a Isabella Milani
L'articolo di Francesca Sironi su L'ESPRESSO

giovedì 19 dicembre 2013

Ripropongo: "Regali di Natale"

Regali di Natale. 

Lo dico subito, a scanso di equivoci: io adoro i regali. Farli e riceverli. Sì, lo so che il significato religioso del Natale non esiste quasi più, che “Ama il prossimo tuo” diventa “fregatene del prossimo tuo e soprattutto sperpera senza pensare ai poveri o tutt’al più manda un sms da due euro a Telethon per sentirti a posto con la coscienza.”
Lo so che significa bagordi eno-gastronomici con conseguenti turbolenze intestinali.
Ma non mi toccate i regali. 

Continua qui.


mercoledì 18 dicembre 2013

I compiti per le vacanze: servono? 427° post

Tempo di vacanze e tempo di compiti per le vacanze.
La domanda che possiamo fare è: ma questi compiti, servono o no?
Vorrei fare qualche riflessione, seguendo il metodo che di solito uso a scuola.
Prima di tutto: che cosa sono i compiti per le vacanze?
Sono compiti che gli insegnanti assegnano agli studenti durante i periodi di sospensione dalle lezioni, cioè le vacanze (di Natale, di Pasqua ed estive).
A che cosa servono e perché si danno?
Ecco il punto principale per rispondere alla domanda iniziale: perché diamo questi compiti?
Alcune risposte possibili:
1.  servono a tenere allenata la mente;
2. servono a tenere un po’ occupati i ragazzi, che altrimenti bighellonerebbero tutto il giorno;
3.  servono a far studiare quello che il ragazzo non ha studiato durante l’anno;
4.  servono a far leggere i ragazzi, che altrimenti non leggerebbero nulla;
5.  servono a evitare che i ragazzi si abituino a non fare nulla, perché poi diventa difficile per loro ricominciare a settembre;
6.    servono a far capire che nella vita bisogna faticare.
Può darsi. Però si potrebbe obiettare:
1.    la mente si può tenere allenata anche facendo tutto quello che durante il periodo scolastico non si riesce a fare per mancanza di tempo: giocare, fare sport, stare con gli amici, con i genitori, con i parenti, praticare un hobby;
2.  tenere occupati i ragazzi obbligandoli a svolgere esercizi completamente fuori dal contesto a che cosa serve? L’esercizio, anche a scuola, serve per rafforzare un discorso iniziato in classe, che viene poi ripreso a distanza di due o tre giorni.
3.   il ragazzo che non ha studiato durante l’anno difficilmente lo farà d’estate, da solo e senza immediato controllo. Lo studio forzato è praticamente inutile perché – lo si sa – si apprende solo quando si è interessati a farlo. Ed è importante chiedersi: “chi fa i compiti delle vacanze?”, “chi li svolge tutti e con impegno?”. I più bravi, i più volenterosi, che sono anche i più stanchi, quelli che avrebbero bisogno di riposo. Gli altri li fanno? O li copiano nei giorni immediatamente precedenti l’inizio della Scuola?
4.  obbligare i ragazzi a leggere non farà certo amare la lettura. La lettura è un’attività meravigliosa, se possiamo scegliere liberamente quello che ci piace. Deve essere un piacere, perché diventi un’abitudine. Anche questo è risaputo. Per capirlo, basta pensare a quanto sarebbe spiacevole per noi essere obbligati a leggere un libro che non ci piace assolutamente. Inoltre, oggi, qualunque ragazzo dotato di computer e internet può trovare in un attimo riassunti dettagliati di tutti i libri: se non vuole leggere il libro leggerà il riassunto. Pensare “Bisogna obbligarlo, perché anche se non gli piace leggere ‘I Malavoglia’, alla fine lo avrà letto ed è quello che conta.”, secondo me è controproducente. Secondo me è peggio leggere male un libro che non leggerlo affatto.
5. I ragazzi non devono abituarsi all'ozio, è vero. Ma questo vale per i periodi in cui dovrebbero lavorare e studiare. In realtà i ragazzi devono anche imparare a non fare nulla. Non è così facile gestire il tempo libro, in realtà. Bisogna saperlo fare. I ragazzi di oggi sono abituati ad essere riempiti di impegni e quando questi impegni cessano si trovano in grande difficoltà e si annoiano a morte. Devono annoiarsi, e imparare a uscire dalla noia. Devono imparare a stare soli con se stessi, perché non sempre è facile. Devono arrivare alla conclusione che più cose conosci e più riesci a stare solo con te stesso perché sai riflettere. Devono arrivare da soli a desiderare di leggere un libro.
6. La parola “vacanza” deriva dal lat. “vacantia”, neutro pl. sostantivato di “vacans –antis”, part. pres. di “vacare”: “essere vuoto, libero”. È verissimo che nella vita bisogna faticare, ma questo concetto deve essere insegnato al ragazzo durante l’anno scolastico, non durante le vacanze. Durante le vacanze sono i genitori quelli che devono insegnargli che la vita è anche fatica. Devono assegnargli dei compiti da svolgere per aiutare la famiglia.  Noi dobbiamo insegnarglielo durante l’anno, a scuola. Dobbiamo allenarlo a faticare, insegnargli che solo con la fatica si ottengono buoni risultati.
Oggi (ma anche ieri) i compiti per le vacanze sono un supplizio per la maggioranza degli studenti e per i genitori. Spesso sono troppi, perché ogni insegnante assegna i compiti per le sue materie, senza preoccuparsi di verificare che la mole di lavoro complessiva non sia esagerata, visto che i compiti li assegnano anche i colleghi.
I genitori che hanno abituato il figlio a non far nulla continuano il loro lavoro diseducativo anche d’estate e protestano perché roviniamo le vacanze al figlio. Gli altri obbligano il figlio ad applicarsi, perché consapevoli dell’utilità dello studio,  ma così facendo rovinano le vacanze a tutta la famiglia, con i continui “dai, studia! Fai i compiti”, ecc.
Periodicamente escono articoli sulle proteste di alunni e di genitori che bollano come “inutili” i compiti per le vacanze. Ed emerge il fatto che a loro non interessa se i compiti sono utili o no. A loro importa il fatto che possono "rovinare l'estate" a genitori e figli.
Ma non sono loro quelli che devono decidere sull'opportunità o meno dei compiti per le vacanze. Siamo noi, quelli che devono decidere, perché fa parte del nostro lavoro. Molti di noi danno sempre un bel po’ di compiti per le vacanze, solo perché “si è sempre fatto così”. Ma dobbiamo rimetterli in discussione, tenendo presenti tutti i pro e i contro, considerando bene i motivi per cui li assegniamo, valutando insieme ai colleghi la mole complessiva e la lunghezza della vacanza, e considerando l’età degli alunni.
Credo che un importante elemento da considerare, infatti, sia l’età: i bambini piccoli devono giocare e divertirsi; a loro si può assegnare qualche lettura e qualche semplice esercizio di ripasso, da svolgere prima dell'inizio del nuovo anno.
Per i ragazzini delle medie, credo che i compiti debbano essere quasi del tutto facoltativi, perché sono abbastanza grandi da capire che è importante un po’ di attività prima di riprendere le lezioni. O meglio: glielo dobbiamo spiegare bene noi. Sta a noi far capire, durante l'anno, quanto possa essere utile per loro sfruttare i mesi estivi per leggere e per ripassare o studiare gli argomenti sui quali hanno maggiori difficoltà.
Per le superiori, a maggior ragione, sarebbe opportuno consigliare di ripassare e di studiare le materie e gli argomenti poco “digeriti”; suggerire una serie di letture (facoltative), e di esercizi  utili a tenersi in allenamento. Suggerire e consigliare. Senza obbligare. Perché diventino adulti responsabili dobbiamo responsabilizzarli.
 “E se non li fanno?”.
“Pazienza! Sono decisioni di cui (forse) pagheranno le conseguenze. Ma non è così sicuro che ci saranno delle conseguenze”.
Naturalmente questa è solo la mia opinione. A tutti voi la libertà di decidere.
Gli alunni e i genitori, invece, faranno bene la loro parte se, in questo caso, si atterranno alle decisioni degli insegnanti, senza protestare.

domenica 15 dicembre 2013

Ripropongo "Beatrice non è l’Italia peggiore"

A volte penso con tristezza ai tanti giovani precari, che non riescono a passare di ruolo. E sono felice per i pochissimi che ce la fanno. A tutti loro dedico questo post, del giugno del 2011, ma ancora attuale. Purtroppo. 

Beatrice non è l’Italia peggiore. 

Beatrice, la tirocinante che avete conosciuto nel mio blog, ha concluso il tirocinio. L’abbiamo salutata con una festicciola di pochi intimi e le abbiamo augurato ogni bene.
Fra i beni più importanti c’è il lavoro. È quello il bene che le preme di più in questo momento. Beatrice vorrebbe sposarsi, ma non può. Anche il suo fidanzato è precario. Vorrebbe avere un figlio, ma non può. Che futuro possono dargli? Quanto a lungo possono fare affidamento sui genitori? Beatrice vorrebbe progettare un futuro, ma non può. Non finché non avrà un lavoro.
Beatrice è una ragazza piena di entusiasmo, di volontà di capire, di imparare e di essere una brava insegnante. Le abbiamo detto che sicuramente presto toccherà anche a lei la sua cattedra, ma sapevamo di mentire.
Beatrice è come i tantissimi precari italiani che sperano in una cattedra, che si sono illusi di insegnare, che avevano fatto i loro conti e si erano detti che c’erano tanti insegnanti che stavano per andare in pensione, perché – lo hanno scritto per anni – l’Italia ha un “parco docenti” di gente diversamente giovane.
Invece no. Sorpresa: non ci vanno più in pensione, quegli insegnanti. Ora, a cinquantasette anni sono diventati giovani, possono starci ancora un bel po’, a scuola. Fino ai sessantasette anni. Se va bene. Orde di ultrasessantenni riempiranno le aule: insegnanti di italiano addormentati in cattedra dalla stanchezza, professoresse di educazione fisica che dimostreranno gli esercizi da fare con i video che troveranno in internet (se ci saranno ancora i PC funzionanti nelle scuole) o attraverso le foto di quando erano più giovani. Insegnanti di inglese che parleranno l’inglese di Shakespeare perché da anni non avranno più le possibilità (né economiche, né fisiche) di viaggiare. E la loro sorpresa di giovani precari si unisce a quella degli insegnanti che, stanchi, credevano di andare in pensione prima dei sessant’anni. E invece no: legati a forza alle cattedre a patire non il lavoro, ma i disagi che ci sono nelle scuole.

Continua qui.

giovedì 12 dicembre 2013

“Non riesco a rendermi conto del momento in cui comincio a sbagliare”. 426° post

Lucilla mi scrive:

“Salve professoressa Milani, sono una prof non alle prime armi: ho insegnato sei anni in varie scuole superiori e dal 2008 sono di ruolo alla scuola media per italiano. Penso di avere delle qualità positive; l'insegnamento mi piace, mi interesso ai ragazzi, cerco di leggere e formarmi, di variare le lezioni, di arrivare agli alunni più difficili, ho una discreta cultura e curiosità, non penso di spiegare male, cerco di aiutare colleghi, sono sempre disponibile e sorridente. Eppure questi aspetti sono sempre eclissati dalla mia incapacità di impormi e mantenere la disciplina, così come la volontà di rendere interessanti e coinvolgenti le lezioni si scontra con l'angoscia di essere perennemente in ritardo sul programma rispetto alle colleghe, con l'ansia di dover svolgere argomenti stabiliti, con i genitori che protestano dal dirigente....certo, non è mai successo niente di grave, sono sempre stata corretta e ho sempre svolto le lezioni ma....sento di non dare il meglio, i richiami di preside e vice diventano sempre più umilianti anche se cortesi. L'anno scorso sono stata folgorata dal suo blog, ho imparato quasi a memoria il primo libro di consigli (ho appena ordinato il secondo), fatto prove davanti allo specchio....ho ottenuto qualche piccolo risultato iniziale, poi tutto è tornato nuovamente come al solito, continue chiacchiere, io che perdo la pazienza, sgrido, urlo. Non riesco a rendermi conto del momento in cui comincio a sbagliare nel rapporto con i ragazzi; dovrei cambiare mestiere? Sono giunta alla conclusione che la mia poca autostima emerga sempre, non ci credo fino in fondo....Adesso sono a casa (aspetto un bimbo) e vorrei approfittare di quest'anno di pausa per riflettere su di me. Forse mi farebbe bene qualche incontro con una psicologa, un corso di autostima? Lo so, sono le solite cose che tutti le scrivono e ha già risposto innumerevoli volte....Un grande saluto, con ammirazione
Lucilla”

Cara Lucilla, spero che il nuovo libro ti sia arrivato e che tu abbia letto le pagine nuove. Per esempio quelle sul linguaggio del corpo. Possono aiutarti.
Ho evidenziato la parte della tua lettera che mi sembra particolarmente significativa.
Dici che hai fatto le prove davanti allo specchio e ottenuto qualche piccolo risultato. Allora vuol dire che hai capito come si fa, ma non riesci a “mantenere la posizione”, come si dice nel linguaggio militare. Non riesci a renderti conto del momento in cui cominci a sbagliare? Accade quando molli, quando cedi.
Evidentemente c’è un momento in cui il silenzio iniziale guadagnato con le strategie che hai applicato viene rotto da qualche alunno. È come se tutto ricominciasse da capo. In quel momento, quando quell'alunno prova a riportare la confusione, tu non sai reagire. In quel momento dovresti applicare di nuovo tutto, dall'inizio. Per fare questo ci vuole capacità di accorgersi di quell'alunno (ricordi che ho detto molte volte che bisogna tenere tutto sotto controllo?) e di bloccare il comportamento scorretto sul nascere. Bisogna convincersi del fatto che tenere la classe sotto controllo è la condizione indispensabile per far lezione. Non bisogna mollare.
Durante una lezione è naturale che i ragazzi parlino fra loro per qualche momento. Non sono automi. Non sono muti. Non sono adulti (per quanto certi collegi docenti facciano venir voglia di mettere in discussione l’idea che gli adulti siano persone serie). Non si può pretendere di avere il silenzio perfetto dall'inizio alla fine, è ovvio. Bisogna pretendere di avere la loro attenzione pressoché completa durante la spiegazione, mentre si costruisce insieme a loro la lezione. Se, com'è auspicabile, loro interagiscono con te e fra di loro, è ovvio che se non stai attenta perdi il controllo della classe. È anche una questione di esercizio e di esperienza.
 Bisogna pretendere di avere la loro attenzione anche durante le interrogazioni. L’idea che i ragazzi siano giustificati a “fare quello che vogliono” mentre un compagno viene interrogato è sbagliata. L’interrogazione è la verifica degli apprendimenti e non dovrebbe essere un interrogatorio che l’insegnante fa a un alunno. Ho sentito spesso frasi come “Durante le interrogazioni è ovvio che non stiano attenti perché si annoiano”. No, non è ovvio. L’interrogazione dovrebbe coinvolgere tutti. Se questo non avviene si creano dei momenti in cui si perde il controllo della classe, e gli alunni si convincono che ci si possa comportare così anche in altre situazioni.
Tu scrivi che ritornano continue chiacchiere, che tu perdi la pazienza, sgridi, urli. Cara Lucilla, ma anche a me accade che nei cosiddetti “tempi morti” riprendano le chiacchiere, che io perda la pazienza, che sgridi e che urli. L’importante è non diventare noiosi, offensivi o isterici.
Insegnare è molto difficile, anche se chi vive fuori dalla Scuola crede il contrario. Lo è perché non puoi mai rilassarti. Tutto quello che riesci a ottenere va mantenuto, perché in realtà puoi perdere tutto in un momento.
No, Lucilla, non devi cambiare lavoro. Da quello che scrivi si capisce che hai delle buone idee su quello che è giusto fare. Non mollare. Studia. Insegna in modo creativo.
Hai ragione quando dici che la tua poca autostima ti impedisce di apparire autorevole. E ti impedisce di capire che sei tu quella che decide il programma da svolgere, e che non devi fare paragoni con quello che fanno gli altri insegnanti. Ma credo che tu possa lavorare sulla tua autostima anche senza l’aiuto di uno psicologo. Leggi libri sull'autostima e prova ogni giorno qualcosa. Vedrai che piano piano il Dirigente non avrà più motivi per rimproverarti.
Spero che questo ti aiuti.
Fammi sapere!



mercoledì 11 dicembre 2013

Ripropongo "Voglio andare in pensione quando è ora."

Oggi sono stanca, e quando sono stanca penso alla pensione.

Voglio andare in pensione quando è ora. Prima parte. 

Voglio assolutamente andare in pensione quando è ora.
Prima di diventare vecchia.
Prima di perdere la dignità.
Prima di fare danni.
Voglio andare in pensione. Ma questo non vuol dire che non mi piaccia il lavoro che faccio. O che non ho voglia di lavorare. No. E se osate anche solo pensarlo “vi si sfaccia la casa , la malattia v’impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi”, per dirla con Primo Levi.
Voglio andare in pensione quando è ora, perché sono stanca. Mi piace insegnare, ma sono stanca.

Continua qui.

Voglio andare in pensione quando è ora. Seconda parte. 
Credevo di andare in pensione a sessant'anni, di riprendermi la mia vita e di andare da qualche parte. Al mare a settembre. A fare un viaggio a primavera. Niente di eccezionale. Ma volevo vivere la vita senza costrizioni. Volevo stare giornate intere con gli amici, con la mia famiglia, con mia sorella. Fare del volontariato. Cambiare abitudini. Scrivere quando volevo.
Quando avrò un nipotino vorrei aiutare mio figlio a crescerlo. Ma non potrò. “La nonna non può venire perché è ancora al lavoro”. E pagheremo per i bambini una baby sitter estranea e per i nostri vecchi una badante estranea. C’è qualcosa di più stupido?
Vorrei riprendermi il mio tempo. Perché anche se vogliono che ci adeguiamo alle aspettative di vita, non sono in grado di garantirci che vivremo davvero di più. E che, se vivremo di più, saremo in salute, e capaci di intendere e di volere. Bella fregatura!
Se non vivremo a lungo, secondo le aspettative, non avremo mai avuto la possibilità di vivere come volevamo, di stare con chi amavamo, se non nei ritagli di tempo.
Credevo che il lavoro del settore terziario avrebbe affrancato i lavoratori dalla fatica. Ma non è vero.
Credevo che le macchine avrebbero affrancato i lavoratori dalla fatica. Ma non è vero neanche quello.
Credevo che la cultura avrebbe migliorato le condizioni di vita. Non è vero.
Solo nel mondo della politica i lavoratori sono affrancati dalla fatica. Lì si lavora poco, ci si assenta liberamente, si fa la bella vita, si viene riveriti anche senza meriti e dopo pochissimo si va in pensione.
Perché io devo lavorare più di quarant'anni e loro due anni? O meno? Ma non è un’evidente ingiustizia? E se chiedi loro se lo ritengono giusto, balbettano qualcosa, perché sanno che qualunque cosa dicano è una bugia. E intanto nessuno li tocca.
Era meglio se nascevo contadina. Mi sarei svegliata al canto del gallo e sarei andata a letto con le galline, rispettosa dei ritmi della natura. Avrei lavorato duro, ma sarei vissuta all'aria aperta e, quando fossi diventata troppo vecchia per i lavori dei campi, nessuno mi avrebbe obbligato a fare quello che non potevo e avrei dedicato il mio tempo alla casa, a fare la polenta e a raccontare favole ai bambini.
Non lavoriamo per vivere, in realtà, ma per rendere i ricchi più ricchi. Per comprare cose inutili. Tutto il sistema ci rende schiavi di necessità che non sono vere necessità. 

martedì 10 dicembre 2013

"Ho trovato alunni ancor più difficili di quelli dello scorso anno". 425° post

Iris mi scrive:

“Gentile professoressa Milani,
i suoi due libri e i suoi post sono stati fondamentali per me lo scorso anno durante il mio primo anno di insegnamento in una scuola della periferia di Roma con alunni difficili. Ciò che ho imparato da lei è stato prezioso, senza di lei non so come avrei affrontato il mio primo anno da giovane insegnante appena laureata. Neppure il TFA mi ha aiutata, insomma lei è stata la mia tutor virtuale.

Purtroppo però ora mi trovo a scriverle non solo per ringraziarla, ma perché ho una difficoltà che mi procura molta ansia: anche quest'anno sono stata confermata nella scuola professionale per parrucchieri, ma ho trovato alunni ancor più difficili di quelli dello scorso anno. Qui insegno in tre classi di alunni difficili e mentre in due classi nonostante le grandi difficoltà sto, davvero lentamente, stabilendo un rapporto con gli studenti, nella terza classe è davvero un disastro ogni giorno sempre più grande.
Sin dal primo giorno la preside e i colleghi mi hanno detto che era la classe più difficile di tutta la scuola, ma non mi ero lasciata scoraggiare perché ciò che mi interessava era poter dare una mano ai ragazzi. Purtroppo non ci riesco e mi sto anche abbattendo molto.
Vedo i ragazzi solo due volte la settimana e già questo rende difficile poter stabilire una relazione, inoltre la mia materia non è di indirizzo; insegno italiano mentre loro studiano per prendere il diploma da acconciatori e l'unica cosa che gli interessa è fare tinte e tagliare capelli, tutte le altre materie non interessano.
Inoltre mi ritrovo a far lezione nella loro aula di pratica cioè in un salone di parrucchieri senza banchi, ma con specchi e lavaggi per i capelli, shampoo, asciugami.
So che sono io a doverli motivare, so che non è colpa loro se non riescono a stare attenti, seduti e ad interessarsi a nulla, anzi mi rendo ben conto che sono ragazzi che soffrono; molti infatti sono stati bocciati due volte alle scuole medie, altri al liceo e quindi hanno deciso di prendere almeno una qualsiasi qualifica. Pur sapendo tutte queste cose non riesco a trovare dei modi per interagire con loro. Sto provando varie strategie, ma nessuna sembra funzionare e mi sto abbattendo così tanto che la classe mi sta già scivolando via. Oggi sono usciti dall'aula senza permesso e mentre nei primi giorni riuscivo a richiamarli ora non ci riesco più e fanno ciò che vogliono; ovviamente questo è dovuto al mio abbattimento, è colpa mia se escono e non si concentrano perché la mia sfiducia mi porta ad arrendermi e a non voler stare in quella classe.
E non trovo tutta questa fatica neppure in una classe dove ho tutti maschi dai 16 ai 18 anni!
In questa classe di parrucchieri in particolar modo ho grandi problemi con le ragazze, mi rispondono male e nonostante li rimproveri e gli continui a dire di non mancarmi di rispetto perché io sono sempre educata con loro continuano senza problemi. A fine lezione esco dall'aula stanca perché mi ritrovo a passare tutta l'ora a dire di sedersi, di rispondere educatamente, di rispettare le regole che ci sono (niente cellulare, non si mangia in classe ecc..) e ovviamente questo li fa innervosire ancora di più e rispondere in modo davvero molto brusco.
Ho da fare anche una distinzione fra le ragazze: infatti ci sono ragazze che hanno evidentemente problemi con se stesse o problemi familiari e lo percepisco dall'ostilità inspiegabile (il primo giorno non mi hanno neppure voluto dire il loro nome), e con loro capisco come comportarmi; ma ce ne sono molte altre che si comportano come le ragazze della televisione, danno importanza solo all'aspetto esteriore e con loro la situazione è anche peggio perché vorrei capire la loro difficoltà, ma non ci riesco e questi mi porta a non sapere come stabilire una relazione con loro.
Anche l'anno scorso (con altre classi) tornavo a casa demoralizzata, ma non mi abbattevo anzi cercavo sempre un modo per interessarli e per avvicinarmi a loro. Anche quest'anno è così con le altre classi, al contrario con questo indirizzo di parrucchieri mi sono già abbattuta e tutte le volte che so che il giorno dopo avrò loro ho l'ansia, crisi di pianto e desidero non tornare in quella classe. E' una cosa molto brutta da dire sia perché sono all'inizio dell'anno sia perché è il mio secondo anno di insegnamento.
Mi aiuti a capire come devo comportarmi per poter interagire con loro ed essergli di aiuto in qualche modo.
La ringrazio. Iris"


Cara Iris, ti capisco, credimi. I momenti di sconforto sono normali, quando si incontrano classi difficili:
1.  rileggi il libro.
2. non aver paura di loro.
3. non ti stancare di spiegar loro che se non imparano a comportarsi correttamente con te non saranno un giorno capaci di trattare con le clienti (o i clienti) e verranno licenziati
4. annuncia loro che li valuterai per la loro capacità di conversare durante simulazioni (li fai sedere uno sulla poltrona e l'altro dietro e li fai parlare). Fai valutare a tutti pregi e difetti
5. spiega loro che valuterai anche la loro capacità di stare zitti (perché non tutti i clienti parlano)
6. fai fare questa attività scritta (alla quale darai il voto): Regole di comportamento di un bravo acconciatore
7. attività: la terminologia specifica del parrucchiere. Studiatela tu alla perfezione, più ricca di quella che conoscono loro. Anche in inglese, perché potrebbero voler lavorare all’estero. Cerca tutto sulla terminologia. Devi far capire loro che hai qualcosa da insegnare.
8. Studia tu per prima e poi fai studiare a loro tutto sui più grandi parrucchieri di tutto il mondo.
9. Procurati le foto dei saloni dei più importanti hair stylist del mondo e di “negozi di parrucchieri” qualsiasi: fai descrivere le foto, fai spiegare che cosa c’è di diverso, che cosa c’è di sbagliato e così via.
10. Studia l’arredamento dei negozi di parrucchieri. Poi, quando sei preparatissima al riguardo, fai progettare “il salone perfetto”: prima tutti insieme e poi ognuno per conto suo (valuta tutti i passaggi).
11. Stabilisci (e rispetta con molto rigore) la regola che quando si lavora insieme, se il lavoro riesce male perché qualcuno disturba, darai a tutti un voto più basso. Spiega che quando un team lavora a qualcosa, è responsabilità di tutti la riuscita o il fallimento del lavoro.
12. Fai portare loro (e porta tu, perché non sai se le troveranno) foto di personaggi famosi : fai loro descrivere e giudicare le loro acconciature. Fai dare loro dei voti al look e poi paragona e discuti insieme a loro.
13. Investi dei soldi e vai da un parrucchiere “alla moda”. Chiedigli che cosa ritiene che sia più importante per chi vuole diventare parrucchiere e avere successo; prendi appunti e poi spiega tutto agli alunni come se fossero parole tue. (In generale, cerca di non andare a scuola con i capelli in disordine :-))
14. Fai preparare un curriculum (prima studia bene tu quali sono gli aspetti che possono renderli competitivi)
15. Ricorda: non devi "dire" che non devono mancarti di rispetto (dicendolo ammetti che lo hanno già fatto: è come se tu dicessi "non mi picchiate più"). Devi avere un atteggiamento che li porti a non mancarti di rispetto (ripassa il mio libro).
Insomma, qualcosa così, Iris.
Preparati, perché più sei preparata e più sei convincente.

Fammi sapere!

venerdì 6 dicembre 2013

"Quando mi imbatto in una classe così demotivata e scoraggiante crollo".424° post

Annarita mi scrive:
“Insegno da oltre 30 anni Educazione Fisica, sempre precaria, ogni anno cambio scuola, colleghi, alunni. Puoi immaginare che lavoro immenso di adattamento da tutti i punti di vista. In linea di massima ho avuto pochi problemi con gli adulti, e tanto meno con i ragazzi. In fondo arrivo, prendo gli alunni, li porto in palestra, poi ritorno, prendo un’altra classe e così di seguito per 18 ore. Alla fine ho poco contatto con i colleghi, e di questo mi rammarico a livello umano e sociale, ma alla fine nessuno interferisce nei miei giudizi, nelle mie valutazioni e soprattutto nel mio programma. Con i ragazzi ho qualche difficoltà iniziale prevalentemente con i ragazzi di terza media che magari sono abituati all'insegnante dell’anno precedente, ma pian piano tutto si risolve.
L’anno scorso ho vissuto un’esperienza nuova, dilaniante nell'animo, nell'insegnamento nel rapporto con i ragazzi di una classe e con il loro professore di lettere.
Ho dovuto faticare per farmi apprezzare dalle seconde e dalle terze: l’anno prima hanno avuto un professore che li ha fatti tanto giocare a calcio, organizzando tornei su tornei, quest’anno arrivo io completamente diversa come persona e obiettivi … è stata dura! Ma alla fine ho trovato un punto di accordo tranne che con una terza. La terza A aveva come coordinatore un insegnante, funzione strumentale, che aveva un potere strabiliante su quella classe e che, in pratica, non mi ha mai considerata, da quando sono arrivata. Ha cresciuto quei ragazzi dalla prima in adorazione verso il “dio” B.. che è lui. Non mi hanno accettata dal primo giorno, perché probabilmente ha pensato che ero una dei tanti professori che cambiano ogni anno e che mi sarei adeguata velocemente all'andazzo. Ma non è stato così, io parlo, dico quello che penso, credo nella disciplina che insegno e tiro fuori tutte le storture che incontro per strada. Sentendosi appoggiate dal "dio" B, hanno adottato atteggiamenti scorretti e provocatori tipo pettinarsi in palestra, aggiustarsi le code di cavallo sciogliendo e rilegando i capelli in continuazione con grandi gesti, vestendo un po’ succinte, i ragazzi tre in particolare tiravano il pallone di basket con forza e a distanza verso il canestro senza preoccuparsi di chi poteva essere colpito. Questo i primi tempi, poi sempre meno considerazione, meno attenzione, meno rispetto verso la mia persona.
Quest’anno ho iniziato l’anno seguendo il più possibile le tue indicazioni. Al momento tutto procede bene, anche se con il passare del tempo si tende a lasciar correre alcune cose.
Ho una classe, però, una seconda media di 18 elementi (15 maschi e 3 femmine) che mi crea molti problemi. Classe irrequieta, chiacchierona, molti elementi vengono a scuola solo per divertirsi, si fanno scherzi di continuo usano molti epiteti fra di loro tipo: scemo, cretino …,se possibile inseriscono qualche bestemmia o simili. Insoddisfatti della mia presenza e del mio modo di fare lezione o di voler fare lezione.
Insomma credo che tu abbia capito di che tipo di classe si tratta. L’anno scorso era bella la lezione, l’anno scorso giocavano, le lezioni di quest’anno non piacciono (non sono riuscita a farne nemmeno una)…
Quando mi imbatto in una classe così demotivata e scoraggiante crollo. Mi succede sempre, anche con tutti i miei anni d’insegnamento. Mi butto giù, non riesco a recuperare autorevolezza e autorità e passo gran parte dell’anno a cercare di far rispettare un minimo di regole. Come intervenire? Ho provato tutto l’approccio di prassi, il primo giorno mi hanno ascoltato, la seconda lezione hanno già cominciato a lamentarsi. Oggi è stato il massimo, siamo usciti nel giardino al di fuori della scuola, non hanno seguito gli esercizi, hanno cominciato a imbrogliare sulle posizioni, a inventarsi malanni vari.
Prof sono in un mare di guai, che fare? Con loro l’approccio costruttivo di tipo verbale non funziona (… perché parlate usando termini non adeguati, perché giocate e ridete di ogni cosa …). Dovrò farli giocare per poi piano piano portarli alla lezione completa? Mi seguiranno? Oppure? Se non trovo subito una soluzione so che perderò il controllo e il tempo con loro si trasformerà in mera sopravvivenza. Non voglio che succeda, ma non so come intervenire, come pormi, come recuperare! Intanto ho già annunciato che lunedì ci saranno verifiche pratiche. In questi casi vado in tilt, è una mia carenza, non ho ancora acquisito, nonostante l’esperienza un giusto modo di rapportarmi con le classi prevalentemente maschili.
Grazie prof per avermi seguito fin qui, in attesa ansiosa di un conforto ti invio cari saluti, Annarita.”


Cara Annarita, non crollare e non mollare. Non temere il tuo collega, perché non è un dio, in realtà. E il fatto che sia funzione strumentale non ha alcuna importanza. Il tuo collega non ha nulla più di te: è solo una persona poco corretta. 

La frase che preferisco della tua lettera è "io parlo, dico quello che penso, credo nella disciplina che insegno e tiro fuori tutte le storture che incontro per strada.". Credo che sia quello che devi continuare a fare. La Scuola è un luogo dove gli alunni dovrebbero imparare anche come ci si comporta per essere considerati corretti. Non possono certo impararlo da un insegnante che si comporta come il tuo collega. Spesso non lo imparano neanche dai genitori. I genitori li abituano a fare quello che vogliono (o comunque permettono loro di farlo) e se trovano un insegnante che permette loro gli atteggiamenti scorretti tu diventi "il nemico" sia per i genitori che per il collega lassista e scorretto.
Il professore che ti ha preceduto, "che li ha fatti tanto giocare a calcio, organizzando tornei su tornei" era un altro di quelli che scelgono la strada più facile, quella di fare solo quello che piace ai ragazzi, che non costa fatica alcuna. Niente teoria, niente faticosi esercizi. Calcio e tornei. "Panem et circenses". Pane e giochi. Il poeta latino Giovenale aveva spiegato così la tecnica usata da chi comandava per avere e mantenere il consenso. Anche nella Scuola funziona, Annarita. Sapersi comprare il favore e l'attenzione degli alunni  concedendo loro favori (se state attenti venti minuti poi vi lascio fare i compiti, oggi niente compiti, l'ultimo quarto d'ora vi lascio giocare con il cellulare, domani vi faccio vedere un film, la lezione finisce un quarto d'ora prima, voti alti a tutti) è una strategia che qualcuno usa. E quegli insegnanti piacciono molto ai ragazzi. E piacciono ai genitori dei ragazzi che sono male educati, perché anche loro, a casa, hanno insegnato ai loro figli che è possibile ottenere molto senza dare nulla in cambio. Ma - questi insegnati- che cosa lasciano? Lasciano una qualche impronta nella loro vita? E - questi insegnanti - preparano i ragazzi alla fatica dello studio, del lavoro e della vita? 
Tu, Annarita, devi fare quello che ritieni giusto e pretendere che i ragazzi ti seguano. Devi  lottare per fare valere il tuo diritto alla libertà di insegnamento; devi continuare a parlare, a dire quello che pensi, e a tirare fuori tutte le storture che incontri per strada. Devi crederci. Devi insegnare quello che ritieni giusto. Non sono i ragazzi quelli che decidono il programma. E devi trasmettere le tue convinzioni agli alunni e ai genitori, anche a quelli che educano male. Soprattutto, devi capire che - oggi più che mai- se sei severa, esigente, rigorosa, è difficile che tu sia amata dai ragazzi male ducati e scansafatiche e dai loro genitori: quando tu li rimproveri, fai una cosa per loro assurda, strana, qualcosa che non hanno mai visto fare; per i genitori sei una persona da criticare in ogni angolo, perché sei quella che ha delle pretese assurde, che mette in evidenza i loro errori, che mette in discussione tutto quello che hanno fatto come genitori. In compenso, se insegni con impegno e con professionalità, se sei severa, se mantieni la disciplina, ti guadagnerai la gratitudine dei ragazzi ai quali permetti di studiare, di prepararsi per il futuro e di imparare a sopportare anche la fatica. E quella dei genitori di quei ragazzi.
Cara Annarita, non crollare e non mollare.

domenica 1 dicembre 2013

"Post indirizzato alle persone che mi hanno scritto o che mi scriveranno". 422° post


Cari lettori,  ho deciso che in questo periodo risponderò solo alle lettere che ho ricevuto da tempo e alle quali non sono ancora riuscita a rispondere. 
Da oggi, perciò, non mi chiedete consigli finché non avrò smaltito la posta arretrata. Ovviamente questo vale anche per facebook, dove avevo già pregato di non scrivermi . E a maggior ragione vale per i commenti, che servono per commentare, e non per chiedere consigli. 
Scrivetemi solo per raccontarmi qualcosa, se vi fa piacere. A me fa piacere leggere, per esempio, dei vostri progressi!
Vi farò sapere quando potrete scrivermi di nuovo. Grazie!

Colgo l’occasione per fare un ripasso dei criteri che seguo nelle mie risposte e nei commenti:
-  non posso più rispondere a chi mi pone una domanda alla quale ho già risposto molte volte e per questo vi invito a leggere il blog prima di scrivermi;
- "interventi polemici (da parte di chiunque), o commenti che esprimono disaccordo, che presupporrebbero una risposta da parte mia non verranno pubblicati , perché questo blog non è una chat né un forum di discussione e non ho tempo per controbattere."
- “Non verranno pubblicati neppure i commenti rivolti in tono polemico ad altri lettori: questo blog non è un forum, proprio perché voglio evitare quello che accade nei forum, dove spesso si degenera negli insulti.”
- “Vi sarei grata se non usaste toni polemici perché ritardo o non rispondo. In realtà, non sono obbligata, se non dalla mia volontà.” Quando una persona decide di scrivermi, non può arrabbiarsi se non rispondo. Questo significa "pretendere" e non mi pare che si possano avanzare delle pretese. Se riesco a rispondere (e rispondo a quasi tutti, o con un post o privatamente) uno deve essere contento. Se non ci riesco uno, tutt'al più, può rimanere deluso, ma certo non essere arrabbiato. Non risponderò più a chi lo fa.
- Proprio perché sapete che ricevo molte lettere, evitate di scrivermi molte volte ponendomi tanti quesiti: mi fa piacere leggere, ma non posso rispondere sempre alle spesse persone e perciò capirete che devo dare la precedenza a chi non mi ha mai scritto.
- Cercherò di rispondere a tutti nel minor tempo possibile, ma desidero dare qualche spiegazione
- vi assicuro che quasi tutti quelli che mi scrivono aggiungono una frase che dice che sperano in una risposta pronta, perché il problema è molto urgente: purtroppo non posso accontentare tutti.
- prima di tutto rispondo a quelli che mi pongono domande su problemi che mi sembrano urgenti; poi a quelli che pongono quesiti che presuppongono una risposta breve, via mail; poi a quelli ai quali posso rispondere con un post, utile a molti.
- I genitori che mi scrivono di solito lo fanno per lamentarsi degli insegnanti, e mi chiedono, praticamente sempre, come devono fare per risolvere il problema, possibilmente per “farla pagare” all'insegnante. Vorrei precisare che la mia risposta (come si può constatare leggendo i molti post dedicati al problema dei rapporti insegnanti/genitori) non è una risposta “di parte”, e non “difendo la categoria” se spiego che il comportamento dell’insegnante può essere corretto anche se a un genitore sembra assurdo. Ci sono cose che i genitori non sanno; situazioni nelle quali ci troviamo che i genitori non conoscono e, soprattutto, ci sono aspetti sui quali i genitori non dovrebbero intervenire. Leggendo il blog si può constatare che non do sempre ragione agli insegnanti.
Vorrei chiarire anche il fatto che la mia risposta si basa sui dati che mi vengono forniti, che, ovviamente, non mi vengono dati “da tutte e due le campane”, per così dire: è ovvio che io cerchi di immaginare anche la campana dell’insegnante. Il genitore di solito mi descrive i fatti secondo la sua ottica e mi descrive anche quello che dice o fa l’insegnante (ma anche quello è visto dalla sua ottica di genitore, spesso prevenuto o arrabbiato).
- Ci sono persone che per spiegarmi bene tutto mi scrivono lettere lunghissime che a volte superano le 3600 parole. Se ci metto un secondo a leggere una parola, significa che, solo per leggere la lettera, ci metto 60 minuti! In realtà per rispondere in modo ponderato devo leggerla due volte e mi ci vuole altro tempo per riflettere e per decidere che cosa posso rispondere per essere d’aiuto e mi servono altri minuti per scrivere. Domando: capisco che le persone che lo fanno si trovano in difficoltà,  ma si può pretendere che io lo faccia? In realtà fino ad oggi l’ho fatto. Ma ora non ci riesco più e perciò vi prego di scrivere lettere che siano circa 500 o 600 parole, ponendo un quesito preciso, riferito ad una situazione precisa. Alcuni mi domandano: “Secondo lei come potrei essere più autorevole?”, oppure “Come potrei fare lezioni più interessanti e farmi ascoltare dagli alunni?”. Per rispondere ho scritto un blog dove ci sono, ad oggi, 568 post e 1807 commenti; ho scritto anche un intero libro, e, se rispondo di leggere il libro, non mi sto “facendo pubblicità”. 
Non posso rispondere con un post.

Per ora non mi viene in mente altro.
Grazie a tutti quelli che mi hanno scritto e a quelli che pazienteranno e mi scriveranno più avanti.
Spero che capirete tutti!
A presto!

giovedì 28 novembre 2013

Ripropongo "Che tenerezza i giovanissimi supplenti"

Che tenerezza i giovanissimi supplenti. 

Li riconosci subito non tanto perché li vedi giovani, ma perché non sanno tenere il registro. Noi lo teniamo con la disinvoltura di chi ormai lo sente quasi come parte del corpo: non ci accorgiamo più neanche di averlo. Loro lo portano come si porta un bambino da mostrare al mondo.
Si incontrano nei corridoi più signorine che giovanotti (non voglio chiamarli “ragazzi” perché sono troppo grandi, e sono “professori”, e neppure mi sento di chiamarli “uomini” e donne”, perché sono troppo giovani). Li guardo: sono contenti e preoccupati nello stesso tempo. Si aggirano per la Scuola dandosi un contegno, ma sono un po’ smarriti e solo di rado si azzardano a chiedere spiegazioni a noi vecchi*. Ci danno del “lei”, perché ancora non si sentono da questa parte della barricata e ci dicono “buongiorno”, come se fossero ancora studenti.
Mi fanno tanta tenerezza. Hanno tanti sogni: sono insegnanti, finalmente. Vogliono insegnare. Vogliono lavorare, rendersi utili, avere il loro posto nella società. Non vedono l’ora di spargere fra gli alunni tutto quello che hanno imparato. So che hanno tanta paura, molti di loro. Si chiedono se saranno all’altezza del grande compito che hanno loro affidato. Si fingono disinvolti, perché non vogliono che la loro emozione si veda. Camminano sorridenti e soddisfatti della supplenza. Sentono che forse adesso, finalmente, il vento girerà a loro favore e sarà sempre in poppa. Parlottano fra di loro, i supplenti giovanissimi. Chissà che cosa si dicono?
Vorrei che non dovessero mai vedere quello che abbiamo visto noi a scuola. Vorrei, come vogliamo per i nostri figli, che il loro ottimismo e il loro entusiasmo, non si scontrassero mai con la dura realtà della Scuola che a poco a poco rende gli insegnanti disincantati, frustrati e delusi. Vorrei che non vedessero mai come verranno trattati dalla società: come fannulloni e incapaci. Sono troppo pessimista?
Chiedo a una di loro:
“Chi sostituisci?”.
“Sostituisco l’insegnante di inglese della sezione B”.
“E per quanto tempo?”
“Per ora per due giorni. Poi mi diranno qualcosa”.
“Speriamo”, dico io anche rendendomi conto che è come sperare che la mia collega si ammali più a lungo.
Lei si rattrista per un momento, mi guarda come si guarda un confidente:
“L’anno scorso ho insegnato solo una settimana in tutto un anno”, dice alzando l’indice per sottolineare quanto era poca una settimana.
Scuoto la testa e dico “Ma perché non vi ribellate?”.
Cari giovanissimi supplenti, mi fate molta tenerezza, ma anche un po’ di tristezza.

* "vecchi", perché ad un certo punto siamo vecchi per questo lavoro. Non ci può essere tanta distanza fra un alunno e un professore. Dovrebbe essere messo un limite. Altro che pensione a 67 anni!

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