La professoressa Isabella Milani è online

La professoressa Isabella Milani è online
"ISABELLA MILANI" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy dei miei alunni, dei loro genitori e dei miei colleghi. In questo modo ciò che descrivo nel blog e nel libro non può essere ricondotto a nessuno.

visite al blog di Isabella Milani dal 1 giugno 2010. Grazie a chi si ferma a leggere!

SCRIVIMI

all'indirizzo

professoressamilani@alice.it

ed esponi il tuo problema. Scrivi tranquillamente, e metti sempre un nome perché il tuo nome vero non comparirà assolutamente. Comparirà un nome fittizio e, se occorre, modificherò tutti i dati che possono renderti riconoscibile. Per questo motivo, mandandomi una lettera, accetti che io la pubblichi. Se i particolari cambiano, la sostanza no e quello che ti sembra che si verifichi solo a te capita a molti e perciò mi sembra giusto condividere sul blog la risposta. IMPORTANTE: se scrivi un commento sul BLOG, NON FIRMARE CON IL TUO NOME E COGNOME VERI se non vuoi essere riconosciuto, perché io non posso modificare i commenti.

Non mi scrivere sulla chat di Facebook, perché non posso rispondere da lì.

Ricevo molte mail e perciò capirai che purtroppo non posso più assicurare a tutti una risposta. Comunque, cerco di rispondere a tutti, e se vedi che non lo faccio, dopo un po' scrivimi di nuovo, perché può capitare che mi sfugga qualche messaggio.

Proprio perché ricevo molte lettere, ti prego, prima di chiedermi un parere, di leggere i post arretrati (ce ne sono moltissimi sulla scuola), usando la stringa di ricerca; capisco che è più lungo, ma devi capire anche che se ho già spiegato più volte un concetto mi sembra inutile farlo di nuovo, per fare risparmiare tempo a te :-)).

INFORMAZIONI PERSONALI

La mia foto
La professoressa Milani, toscana, è un’insegnante, una scrittrice e una blogger. Ha un’esperienza di insegnamento alle medie inferiori e superiori più che trentennale. Oggi si dedica a studiare, a scrivere e a dare consigli a insegnanti e genitori. "Isabella Milani" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy degli alunni, dei loro genitori e dei colleghi. È l'autrice di "L'ARTE DI INSEGNARE. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi", e di "Maleducati o educati male. Consigli pratici di un'insegnante per una nuova intesa fra scuola e famiglia", entrambi per Vallardi.

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domenica 24 aprile 2011

Il dolore a rilascio lento. 188°

Nei giorni di festa penso alle mazzate che la vita mi ha dato. Parlo delle mazzate che si ricevono quando muore una persona cara. Ho fatto qualche conto: ho ricevuto finora più di venti mazzate con mazze di diametro otto centimetri - parenti e amici cari che se ne sono andati- e tre con mazze di diametro quindici - i miei genitori, che non ci sono più, e mia suocera, che era per me come una seconda mamma.
Ho una certa esperienza, quindi. Regolarmente ci penso - soprattutto durante le feste - e vorrei condividere le mie riflessioni.
Una persona cara che se ne va porta con sé anche un po' di noi: tutto quello che ci dava, e tutto quello che avrebbe potuto darci, e che non ci darà più. Insieme a questo dolore c'è quello provocato dal pensiero delle gioie della vita di cui avrebbe potuto ancora godere, e che le sono state negate.
La morte di parenti e amici cari provoca in noi dolore, incredulità, smarrimento che si avvertono subito, ma che lasciano il posto, in un lasso di tempo non molto lungo, a tristezza, nostalgia e rimpianto.
La morte di un genitore è una cosa strana: una prima ondata di dolore ci trasforma in orfani, come se fossimo bambini. Qualunque età abbia nostro padre o nostra madre, quando muore, noi siamo i suoi bambini. Come potremo affrontare la vita, adesso, senza mamma, senza babbo? Il mondo ci sembra assurdamente vuoto.
Il nostro istinto di sopravvivenza, però, ci spinge a tentare di scacciare il pensiero che nostra madre non c'è più, che nostro padre ci ha lasciato. Ogni tanto un'ondata di dolore sale alla coscienza e noi cerchiamo di ricacciarla indietro, perché sappiamo che troppo dolore potrebbe farci soccombere.
Il dolore per la morte di un genitore amato è un dolore che perfino noi che lo viviamo stentiamo a capire. Come è possibile soffrire tanto per una persona che sappiamo che ha fatto la sua vita, e che prima o poi doveva lasciarci? Dobbiamo elaborare il lutto, ed è molto difficile.
È come un palloncino che ha un forellino che teniamo chiuso con un dito: ogni tanto lasciamo uscire un soffio d'aria. Poco per volta, perché sappiamo che, se lasciamo uscire tutta l'aria di colpo, il palloncino vola via.
È un dolore a rilascio lento, quello per la morte di un genitore: passano gli anni e continua a uscire, come se fosse inesauribile.
Il mio pensiero va alle persone che, come me, hanno avuto un lutto recente, perché so quanto sono difficili le feste, quando tutti festeggiano e noi non ne abbiamo nessuna voglia.

giovedì 21 aprile 2011

Tu mi accusi ? e io ti accuso di più. 187°

Tu mi accusi? e io ti accuso di più. Tu mi denunci? e io ti denuncio di più. Urlo di più. Strabuzzo di più gli occhi. Ti scandalizzi per quello che faccio? Io mi scandalizzo del fatto che tu ti scandalizzi, e lo urlo ai microfoni, che trasmetteranno la mia voce nelle case degli italiani.
Allora: o gli italiani sono stati infettati da chissà quale virus che corrode il cervello e le capacità pensanti o siamo in una dittatura mediatica bella e buona, che ci fa vedere quello che vogliono e non vedere quello che non vogliono. Propendo per la seconda ipotesi.
Riassumo quello che succede in Italia: c’è gente che dovrebbe essere irreprensibile e che invece fa il suo volgarmente cosiddetto “porco comodo”. Questo comportamento va contro ogni morale, ma, chissà come, viene presentato dai media come normalissimo e, anzi, invidiabilissimo.
Ogni tanto però, qualcuno più testardo degli altri grida allo scandalo. Succede il finimondo. L’incauto accusatore diventa l’accusato per eccellenza di tutti i salotti televisivi. L’autore del “porco comodo” si infuria, lancia anatemi, minaccia, urla che è una persecuzione, che è solo una vile provocazione fondata su menzogne ignobili, che le testimonianze che lo accusano fanno parte di un progetto eversivo che deve essere stroncato immediatamente. I creduloni ci credono e l’accusato continua a sbraitare, sicuro che tutto quello che dice verrà considerato vero, per il principio secondo il quale se uno urla deve aver ragione.
C’è gente oggi in Italia che commette atti disonesti e immorali, e dice cose di inaudita gravità, e lo fa allegramente, perché ha capito che basta dire subito dopo che è innocente, che sono tutte menzogne, che non è vero; e, se anche ci sono le registrazioni che provano che quelle parole sono state pronunciate, basta gridare con forza che tutti hanno capito male, hanno frainteso, perché sono mossi dall’odio che offusca le menti.
Si “denuncia il clima di odio” e si invita ad abbassare i toni. Ma lo si fa urlando e offendendo.
Volano insulti, scarpe e bugie.
Chi dice la verità “getta fango mediatico”, non ama l’Italia. Chi chiede giustizia è di sicuro “di sinistra” e “comunista”. Chi è comunista sa solo odiare e dire menzogne.
E la prova è nel fatto che mangia i bambini .

venerdì 15 aprile 2011

“Sono la mamma di un bambino iperattivo di 11 anni e mezzo”. 186°

Michela mi scrive:
“Cara Professoressa Milani,
sono la mamma di un bambino di 11 anni e mezzo che frequenta la prima media. Suo padre ed io siamo divorziati da sette anni e i rapporti fra di noi sono ancora pessimi, anche perché si disinteressa completamente del figlio […].
Stefano è un bambino sereno, ben sviluppato fisicamente e intellettualmente che non ha bisogno di nessun percorso di sostegno psicologico (è stato visitato da uno specialista).
È allegro, ben integrato a scuola, a nuoto e con tutti i suoi amici. E' un ragazzino con una filosofia di vita molto easy, vivi e lascia vivere. Sicuramente soffre nel vedere queste difficoltà di rapporti con il padre ed ogni tanto mi chiede da quando può non andare più con lui.
Io da parte mia gli ho sempre garantito la presenza del padre e gli ho sempre insegnato il rispetto (anche se a volte lui non se lo meritava).
Sono molto contenta di lui perché è buono e sensibile. Dagli altri è è definito un "gentil bambino" con "l'argento vivo"ed è considerato un ragazzino intelligente, sveglio, molto educato, che difficilmente esce dalle righe.
Ha un animo buono e se vede delle ingiustizie fatte ad altri interviene in difesa.
Non è per le risse, se può media.
A scuola ha tutte le materie con voti molto buoni, dal 7 in su.
Purtroppo invece di inglese ha preso 3 nonostante studi molto e sia anche seguito da una professoressa privatamente.
Oggi sono andata a parlare con la sua Prof. di inglese la quale non mi ha parlato di profitto ma di comportamento.
Pare che mio figlio abbia un grado di concentrazione molto limitato e comunque a largo sprettro, per cui basta niente per distrarsi. La professoressa mi ha detto che in classe trova sempre mille motivi per alzarsi dalla sedia e muoversi, fosse anche per andare da lei a dirle che ha portato il diario, come se non fosse un suo dovere.
Questo ovviamente è fattore di disturbo per la classe, quindi la prof si innervosisce nei suoi confronti e lui, che è un bambino sensibile percepisce il malumore della prof , per cui fa di tutto per ottenere la sua approvazione continuando a creare disturbo.
La prof di inglese è un po’ particolare. Non è ben vista in generale infatti so che tanti professori sono andati a lamentarsi dal preside. Ad esempio ieri una mamma mi diceva che la prof di inglese si è rivolta ad un allievo un po’ cicciotello dicendogli che dovrebbero chiamare i genitori perchè è troppo grasso. Sinceramente mi sembra un’ uscita infelice.
Ammetto che è sempre stato un bambino iperattivo e che il suo più grosso problema anche alle elementari è sempre stato quello di riuscire a stare fermo sulla sedia in classe.
Ad esempio stamattina mentre faceva colazione ed io mi preparavo in camera si è alzato per venire a dirmi una cosa che poteva tranquillamente dire stando seduto. Ogni scusa è buona per non stare seduto.
Cosa posso fare?
Ho provato quest’inverno a parlargli ed a responsabilizzarlo ma questi sono i risultati.
Ammetto che sono demoralizzata e dispiaciuta perchè è un ragazzino che a scuola va molto bene e se non fosse per questo suo comportamento tutto filerebbe liscio come l'olio. Pensi che da gennaio si organizza da solo i compiti e studia autonomamente. In questo sono molto soddisfatta.
Ieri sera ho parlato con mio figlio ed ho cercato di spiegargli con toni pacati ed accesi che ormai a 12 anni deve capire che in classe deve stare fermo e concentrato sulla lezione. Non ci sono scuse. La prof.sa ha ragione, so benissimo che lui trova ogni scusa per muoversi e so benissimo che questo può irritare, so che Stefano non sta fermo di suo, quindi mi sono concentrata sui suoi difetti pur sapendo tutte queste cose ma come dico sempre a mio figlio il professore ha il coltello dalla parte del manico.
Mi ha ascoltato, spero che abbia capito, era dispiaciuto.
Ha cercato di difendersi dicendomi che lui alza la mano per chiedere cose che non ha capito.
Gli ho detto di non alzare più la mano per un po’ di tempo e poi piano piano provare eventualmente ad alzarla una sola volta per chiedere la spiegazione di concetti che non ha capito e non sempre per motivi futili (posso aprire la finestra, posso andare in bagno, posso prendere il quaderno, posso prendere la matita......)
Non gli scrivono note sul diario. A parte quelle fatte a tutta la classe ad inizio anno, non ha preso note personali e non sono mai stata chiamata dai professori o dal preside. So che altre mamme di maschi invece sono state chiamate ed hanno ricevuto note individuali.
Non ha avuto nessun provvedimento disciplinare.
Aspetto la sua risposta così, unita alle mie parole, spero che gli serva a dare una girata seria al suo comportamento. Pensi che la prof.ssa non mi ha neanche parlato del profitto o delle sue capacità proprio perchè sono ottime.
Ho cercato anche di spiegargli che tutti abbiamo stima in lui e crediamo nella sua intelligenza quindi non deve attirare l’attenzione di nessuno perchè non occorre.
Questo concetto lo ha sorpreso perchè mi ha risposto che anzi lui non vuole proprio attirare l’attenzione, ed in questo gli credo perchè è abbastanza discreto come ragazzino, quindi forse dirglielo gli ha fatto porre l’attenzione ad un risultato negativo al quale non aveva finora pensato.
Vorrei aiutarlo e non so cosa fare.
Ho letto il suo blog e l’ho trovato molto interessante.
Le sarei molto grata se mi potesse rispondere.
So benissimo che è molto impegnata ma se mi rispondesse io farei leggere la sua risposta a mio figlio. Sono sicura che ne rimarrebbe colpito e chissà che lei non riesca a fare molto di più di me.
La ringrazio comunque tantissimo e Le auguro una buona giornata. Michela”

Cara Michela, per quello che posso capire dalle informazioni che mi dai, a me non sembra la descrizione di un ragazzino iperattivo. Mi pare piuttosto un ragazzino vivace che ha molto bisogno di regole, ma soprattutto di conferme e di attenzione. Capita spesso di avere alunni così. I ragazzini iperattivi hanno intelligenza normale, ma difficoltà scolastiche, determinate soprattutto dal fatto che non riescono a stare fermi e attenti in classe, e a fare i compiti e a studiare a casa. Non mi sembra il suo caso.
Da quello che mi dici, tuo figlio è abbastanza bravo, è consapevole delle sue difficoltà, si pente del suo comportamento e non è aggressivo. Il fatto che vada male di inglese (una sola materia!) non significa nulla di particolare e non è grave. Non sempre chi studia ottiene dei risultati! E – non dovrei dirlo, forse, ma lo faccio- non sempre gli insegnanti sono capaci di tenere conto di tutti i dati, quando insegnano. Non dare troppa importanza, quindi, anche di fronte a lui, al fatto che va male di inglese. Digli soltanto che l’inglese è tanto bello e utile e che è meglio studiarlo bene. Parla con l’insegnante per chiederle dei consigli. Forse gli si dedicherà con più attenzione, senza innervosirsi.
Per il resto, che cosa fare? Non ripeterò ciò che ho già detto in altri post (per esempio qui: http://laprofessoressavirisponde.blogspot.com/2011/03/ho-un-bambino-buono-e-sensibile-ma.html).
Ti offro soltanto alcune osservazioni in ordine sparso, anche se non è facile, da lontano e con pochi dati, capire e aiutare un ragazzino.
Mi sembra che tu stia già facendo quello che dovresti fare, Michela. Apprezzo la comprensione che dimostri verso gli insegnanti. Aiuterà anche tuo figlio. Non si deve mai far pensare ad un ragazzo che qualcuno “ce l’ha con lui”: lo farebbe sentire sfortunato, perseguitato, maltrattato.
Stefano deve imparare a seguire le regole. Puoi cominciare a casa: concentrati su poche regole e, su quelle, non transigere.
Con una storia personale così, Stefano è anche troppo calmo, equilibrato, bravo e gentile;
Suo padre non è in casa, non gli fa neppure un regalo, è sgarbato e aggressivo con te, di lui si lava le mani. È dura da mandare giù. A volte i ragazzini si vergognano di essere figli di genitori divorziati: li fanno sentire “diversi”. Magari lui vede altri padri affettuosi (anche divorziati) e si chiede perché il suo non è così. I ragazzini che hanno avuto problemi di abbandono o di indifferenza da parte dei genitori (sicuramente sa vedere se suo padre si interessa di lui o no) hanno spesso l’atteggiamento di chi cerca conferme e affetto.
Bisogna insegnargli a gestire la sua vita e le sue emozioni. Non è facile, ma si può fare; ce la puoi fare. E se non riuscirai così, troverai qualche altra soluzione. Abbi fiducia in te stessa e in lui.
Puoi dire a tuo figlio che hai tantissima fiducia in lui, che sei sicura che ce la farà a non farsi rimproverare. Proponigli di fare una crocetta di promemoria sul diario per ogni volta che si alza o che viene richiamato. Digli che ogni giorno, quando viene a casa, se non ci sono crocette, brinderete con una bibita a sua scelta (e se ci sono crocette, precisa che non accadrà assolutamente niente, se si è impegnato, perché sai che non sempre si riesce ad ottenere subito quello che si desidera).
Non leggergli questa mia risposta: ha bisogno di sentirsi “normalissimo”. Aiutalo a vedere le cose in modo positivo e tranquillo. Siediti con lui a leggere un libro. Sii attiva, ma non troppo. Ha bisogno di imparare la calma.
Fammi sapere.

domenica 10 aprile 2011

Se a un gay si toglie la patente. 185°

Se alla scrivania non avessi una poltrona Thonet Strauss 459 di faggio curvato nero, con braccioli, credo che sarei senz’altro caduta dalla sedia, quando ho letto il giornale.
Dieci anni fa un ragazzo di diciotto anni, tale Danilo Giuffrida, durante la visita di leva dichiara di essere omosessuale.
Leggo: “L'ospedale militare informò la Motorizzazione civile che il giovane non era in possesso dei "requisiti psicofisici richiesti" e la patente di guida fu sospesa in attesa di una revisione all'idoneità. Giuffrida fu costretto anche a ripetere l'esame di guida. Lo superò, ma per vedersi riconosciuta una patente valida per un solo anno invece dei dieci previsti.”
C’è di che rimanere con gli occhi sbarrati e con i bulbi oculari roteanti alla ricerca di un appiglio logico a cui aggrapparsi per scoprire che non è vero, che abbiamo capito male.
Il ragazzo non aveva i "requisiti psicofisici richiesti" perché aveva preferenze omosessuali. Ma che cosa c’entra? Quale ragionamento contorto può aver seguito chi ha deciso che era suo dovere informare (subito?) la Motorizzazione di questo grave pericolo? Ho provato a pensarci, tanto per farmene una ragione.
È gay e quindi non vede bene e non riconosce i colori. No, è ridicolo.
È gay e non sa distinguere i segnali. Neanche.
È gay e non ci sente bene. No, assolutamente.
È gay e passa sempre con il rosso. No, questo andrebbe bene per i tori.
E’ gay e in caso di incidente se la darebbe a gambe con urletti effemminati omettendo di soccorrere i feriti. Neppure questo, perché non tutti i gay sono effemminati, si sa.
È gay e forse è anche un po’ pedofilo. No, questo si può pensare, certo (è già stato detto a un maestro, infatti), ma non c’entra con la guida.
È gay e va contro Dio e contro la religione. Ne dubito, soprattutto dopo le ultime scoperte su quello che avviene a volte in certi ambienti ecclesiastici. È vero, però, che dieci anni fa non si sapeva.
È gay e sarà certamente anche drogato e guiderà senz’altro sotto l’effetto di stupefacenti. Ecco, forse ci sono.
È gay e sarà anche sieropositivo e in caso di incidente potrebbe con il sangue infettare tutti quelli che si avvicinano. Sì, sì, questo suona bene.
È gay e sicuramente si ubriacherà per la vergogna e per il rimorso di vivere contro natura, per cui è pericoloso lasciargli la patente perché può provocare incidenti per abuso di alcool. Anche questo potrebbe essere.
I ministeri della Difesa e dei Trasporti sono stati condannati a versare 20mila euro e a restituire la patente al ragazzo gay, perché "i comportamenti tenuti dalle due amministrazioni appaiono in evidente discriminazione sessuale del Giuffrida e in evidente dispregio dei principi costituzionali. I comportamenti dei due ministeri hanno cagionato grave danno e sofferenza per l’umiliante discriminazione subita…il comportamento delle due amministrazioni ha gravemente offeso ed oltraggiato la personalità del Giuffrida in uno dei suoi aspetti più sensibili e ha indotto in lui un grave sentimento di sfiducia nei confronti dello Stato".
Ci hanno messo dieci anni per capirlo. E non è ancora finita. Appelli e ricorsi dimostrano che siamo alla pazzia. Se non fosse così, l'impiegato che, dieci anni fa, ha ricevuto la comunicazione della mancanza da parte di Giuffrida dei "requisiti psicofisici richiesti", si sarebbe fatto una sonora risata, li avrebbe chiamati al telefono, avrebbe detto, ridendo, “Ma siete scemi?”, e tutto sarebbe finito lì.
Rimane il fatto, triste e raccapricciante, che un figlio gay, un fratello gay, un amico gay può benissimo trovarsi a subire queste discriminazioni in uno Stato che si definisce “civile”.
Se a un gay si toglie la patente, lo Stato non è un Paese civile.
Un Paese potrà chiamarsi “civile” solo quando fatti come questi non accadranno più.




venerdì 8 aprile 2011

Ragazzo entra vivo nel carcere ed esce morto. 184°

È successo di nuovo. Un ragazzo entra in un carcere italiano vivo e vegeto ed esce morto. Pestato a sangue e lasciato morire, rinchiuso nonostante la sua grave disabilità, o istigato a suicidarsi per aver testimoniato contro degli agenti del penitenziario. O almeno questo è quello che sembra. Solo che io vorrei sapere se quello che sembra è vero o no.
Un ragazzo, Carlo, è in carcere per furto. Avrebbe dovuto testimoniare contro nove agenti penitenziari accusati di violenza e abusi nei confronti dei detenuti. Viene pestato a sangue per qualche motivo che non mi interessa conoscere, perché nessun motivo può giustificare la violenza. Viene messo in isolamento e qui, il giorno dopo, viene trovato morente, impiccato ad un lenzuolo.
Dopo sette giorni di agonia muore.
Ma come è possibile? Carlo era un ragazzo, un figlio, un fratello, un amico. Adesso non c’è più, non tornerà mai più a casa. Lo Stato che doveva recuperarlo lo ha portato alla morte. Pare che sia diventata una specialità delle carceri italiane, ultimamente. Lo trovo terribile. Soprattutto che noi continuiamo la nostra vita senza fiatare. Come se fosse la giusta fine di chi delinque. Ma quale Stato può definirsi “civile” se i luoghi di detenzione conducono alla morte tanti carcerati? Carlo era un ladro? Non lo metto in dubbio. Ma la pena di morte è davvero troppo. Perché, in fondo, non sono forse pene di morte camuffate, questi suicidi?

mercoledì 6 aprile 2011

Se questa non è una prostituta. 183°

Se questa tizia, senza arte né parte, che viene da chissà dove, che non è nipote di nessuno, che non mi sembra che sappia fare niente, che si siede sulle gambe ignude di un vecchio per farlo senilmente divertire e che viene pagata per questo, non è una prostituta, che cos’è?
Se questa, che ancora minorenne camminava vestita come una baldracca sulla passerella, veniva “invitata” a feste con altre ragazzine, non per divertirsi ma per divertire un anziano riccone che avrebbe potuto essere suo nonno, e prendeva dei soldi per fare questo, non è una prostituta, che cos’è?
Se questa ragazza prosperosa che ostenta il seno per far gola agli uomini che possono pagare, e si fa pagare bene per questo, non è una prostituta, che cos’è?
Se questa ragazza accetta di farsi palpeggiare, se palpeggia (e altro) un anziano viagradipendente, magari dicendogli che è virile, alto e bello, non è una prostituta, che cos’è?
Se questa ragazza viene chiamata “puttana” e “troia” da chi la conosce e la vende come escort al miglior offerente, se non è una prostituta, che cos’è?
Se queste ragazzine minorenni o appena maggiorenni vengono invitate a feste e festini e circolano seminude, accogliendo con gridolini entusiastici uomini nudi che hanno appena conosciuto, e per far questo ricevono regali, molti soldi, o candidature, se non sono prostitute che cosa sono?
Se queste ragazzine, contente di partecipare ai festini con la promessa di posti in passerella, primi piani sulle copertine delle riviste di gossip e dei quotidiani, non sono ingenue prostitute, che cosa sono?
E queste donne e questi uomini, che sono madri e sono padri, ma che pur di fare carriera politica procurano giovani ragazze a uomini ricchi e potenti, se non sono magnaccia, ruffiani, lenoni, che cosa sono?
E questi uomini anziani, che osano guardare con occhi libidinosi e perfino toccare con mani viscide i corpi adolescenziali e i seni giovani come quelli delle vostre figlie e delle vostre nipoti, se non sono dei vecchi porci che cosa sono?
Voi che avete delle figlie che studiano, che fanno sacrifici, che comperano un vestito solo quando hanno guadagnato onestamente il denaro, che sono disoccupate o precarie, considerate se è giusto che quelle ragazze pretendano anche di non essere chiamate "prostitute".
Voi che ci mettete due mesi per guadagnare quello che quelle ragazze guadagnano in una sera, considerate se quei vecchi non sono soltanto dei porci.
Soprattutto, considerate se volete un’Italia così.

“Sono un’insegnante sull’orlo di una crisi di nervi”. 182°

Lorella mi scrive :

"Cara professoressa Milani,
sono un’insegnante di scienze al biennio delle scuole superiori.
Le scrivo perché il mio livello di frustrazione cresce ogni giorno di più. Ci sono dei giorni in cui fare questo lavoro mi piace e mi dà soddisfazione, ma la maggior parte dei giorni torno a casa affranta e demoralizzata. Vorrei mollare tutto!!!!
Ho soltanto dodici ore la settimana, ma in compenso ho sette classi e 138 alunni. A casa cerco di preparare le lezioni con cura, creo anche del materiale per i ragazzi e aggiorno il fad (la piattaforma e-learning della scuola) con materiali, aiuti per lo studio e link ad animazioni che possono aiutare nella comprensione degli argomenti trattati.
Penso di impegnarmi e la cosa non mi pesa nemmeno tanto.
Il mio problema sono le soddisfazioni; a parte alcuni alunni che si mostrano interessati e partecipativi, ce ne sono troppi che non seguono e continuano a disturbare.
Le classi in cui ho problemi più rilevanti sono fondamentalmente due: una è una classe di un corso di formazione professionale finanziato dalla regione, l’altra è la classe seconda di un istituto tecnico che ho già avuto l’anno scorso.
Nel primo caso, sono cosciente che la situazione è alquanto complessa. È una classe “difficile” per tutti i colleghi. Gli alunni provengono da altre scuole, hanno diversi “fallimenti” alle spalle e sono fortemente demotivati. Il loro livello di preparazione di base è bassissimo. In questo caso mi sento davvero impreparata. Non so come aiutarli, come stimolarli. Mi sto rendendo conto che non posso pretendere da loro grandi conoscenze, ma dentro di me non voglio neppure abbassare troppo il livello, perché fare questo mi sembra di svalutarli ancora di più. Molti di loro, secondo me hanno le capacità per riuscire, ma manca loro la determinazione per mettersi in gioco ed impegnarsi. Sono totalmente demotivati. Cosa posso fare? Si fa veramente fatica a tenerli buoni.
Il secondo caso è sicuramente frutto del mio fallimento. All’interno della classe c’è un gruppo di ragazzini capaci, motivati e attenti. Ci sono poi quattro elementi particolarmente vivaci che mostrano poco interesse e fanno parecchia confusione. Il problema è che la parte rimanente della classe ha preso una brutta piega e io non riesco a fare una lezione in modo decente. Loro sostengono che è colpa del fatto che purtroppo io capito sempre all’ultima ora e loro sono stanchi. Questa però non è una spiegazione plausibile, anche perché con altri miei colleghi che li hanno in ultima ora si comportano molto meglio. Non so davvero cosa fare. Quando spiego faccio una fatica pazzesca, devo continuamente interrompermi e anche quelli che partecipano sono caotici, non mi lasciano terminare le frasi e intervengono con domande, non sempre coerenti con quanto stiamo facendo e curiosità. Queste continue interruzioni mi confondono e mi rendo conto che poi la lezione rimane frammentata e probabilmente poco chiara. Quelli che non partecipano devono essere continuamente ripresi, tanto che alle volte alcune cose le lascio correre perché altrimenti finirei per passare l’ora richiamando questo o quello. Sono davvero stanca, la mia pazienza ha dei limiti. Non so più come prenderli. So che è colpa mia….ho sempre dato troppi avvertimenti e possibilità. Mi aspettavo che riuscissero ad essere più responsabili e riuscissero ad autoregolarsi, ma non è così. Anche oggi sono uscita di classe con la voglia di mandare tutti a quel paese. La tristezza più grande è che so che è colpa mia, non riesco ad interessarli. Il problema è che ho poche ore e il programma è vasto per cui non sempre ho tempo di soffermarmi su cose che potrebbero interessarli di più. Probabilmente sono noiosa…non so!!! Eppure leggo diversi testi per prepararmi le lezioni, non mi limito a seguire il loro libro di testo; cerco approfondimenti per poi sentirmi dire: “ Prof. ma questo c’è sul libro? Perché non facciamo solo quello che c’è sul libro?”. Che tristezza!!!!! Manco totalmente di autorità….poco male, non fa parte del mio carattere. Il problema è che manco anche di autorevolezza. Non mi stimano!!!! E in mezzo alla confusione mi perdo anche la possibilità di conoscere veramente i miei studenti e quindi di cogliere quali tra loro stanno vivendo dei momenti di maggiore difficoltà. Mi sento inutile!
Sono sull’orlo di una crisi di nervi. Non credo di riuscire ad arrivare fino a giugno in queste condizioni.
Il fatto è che quando torno a casa sono così affranta che ultimamente mi passa anche la voglia di mettermi a preparare le lezioni, ma poi, presa dal senso del dovere, mi ritrovo a fare le ore piccole per recuperare quello che durante la giornata mi sono rifiutata di fare. Vivo male la domenica, perché l’idea di riprendere a lavorare il lunedì mi crea ansia.
In che cosa sbaglio? Concedo troppe possibilità? Troppa fiducia? Abbaio senza mordere? E poi perché i ragazzini di oggi non sanno cosa vuol dire alzare la mano? Parlano tutti insieme e mentre stai parlando con un alunno gli altri ti interrompono per farti le loro domande. È un delirio.
Ho bisogno di qualche consiglio, soprattutto per evitare di fare gli stessi errori con le prime di quest’anno, non verrei mai diventassero delle seconde uguali a quella che mi crea tanti problemi.
Cordialmente,
Lorella, una prof.ssa sull’orlo di una crisi di nervi."

Cara Lorella, mi hai fatto tenerezza. Sono sicurissima che riuscirai ad uscire da queste difficoltà, perché dalla tua lettera traspare molto chiaramente la tua volontà di imparare, e l’interesse per l’aspetto più importante del nostro lavoro, che è quello di insegnare agli alunni qualcosa che potrà loro servire nella vita. Lo si capisce dal fatto che non c’è astio nelle tue parole, e da queste frasi: “cerco di preparare le lezioni con cura, creo anche del materiale per i ragazzi, gli alunni hanno diversi “fallimenti” alle spalle, non so come aiutarli, come stimolarli, no posso pretendere da loro grandi conoscenze, mi sembra di svalutarli ancora di più, non so più come prenderli”. E, soprattutto “E in mezzo alla confusione mi perdo anche la possibilità di conoscere veramente i miei studenti e quindi di cogliere quali tra loro stanno vivendo dei momenti di maggiore difficoltà. Mi sento inutile!”
Come ho già scritto, per insegnare ci vuole coraggio (http://laprofessoressavirisponde.blogspot.com/2010/11/per-insegnare-ci-vuole-coraggio-124.html) e loro ti vedono come ti vedi tu (http://laprofessoressavirisponde.blogspot.com/2010/09/gli-alunni-vi-vedono-come-vi-vedete-voi.html).
E tu hai coraggio? E come ti vedi? Te lo dico con le tue parole: “sono un’insegnante di scienze, affranta e demoralizzata, vorrei mollare tutto, ho problemi, mi sento davvero impreparata, non so come aiutarli, come stimolarli, si fa veramente fatica a tenerli buoni, è frutto del mio fallimento, io non riesco a fare una lezione in modo decente, non so davvero cosa fare, in che cosa sbaglio?, quando spiego faccio una fatica pazzesca, devo continuamente interrompermi, mi confondono e mi rendo conto che poi la lezione rimane frammentata e probabilmente poco chiara, sono davvero stanca, la mia pazienza ha dei limiti, non so più come prenderli, so che è colpa mia….ho sempre dato troppi avvertimenti e possibilità, la tristezza più grande è che so che è colpa mia, non riesco ad interessarli, probabilmente sono noiosa…non so, che tristezza!!!!! manco totalmente di autorità….poco male, non fa parte del mio carattere, il problema è che manco anche di autorevolezza. non mi stimano!!!! mi sento inutile! sono sull’orlo di una crisi di nervi, non credo di riuscire”.

Ecco il tuo problema, Lorella. Tutto qui.

Per avere la loro attenzione devi lasciar capire che sei una guida, una persona vincente, che sa quello che fa, non una perdente che ha paura di non essere capace. Si impara ad insegnare, ad avere autorevolezza, prima di entrare in classe, a casa. Lavora su te stessa, chiarisci a te stessa qual è il tuo ruolo, qual è il problema. Non ti ascoltano perché fai loro capire che tu stessa non ti ascolteresti, ti senti noiosa.

Quando insegno io lascio trasparire entusiasmo ed interesse. Mi interessa quello che dico, insomma. Mi piace quello che faccio. Lo faccio con convinzione. Non preparo a casa le lezioni, perché se lo facessi mi sentirei noiosa, una scolaretta che va là e ripete la lezione. Mi preparo sempre, nel senso che non ho mai smesso di pensare a quello che sarebbe bello insegnare e a come potrei farlo in modo interessante, ma non preparo la lezione che sto per fare. Mai.

Sintetizzando: 1. pensa a chi sei, decidi qual è il tuo ruolo e stabilisci prima di entrare come sarebbe giusto che i ragazzi ti trattassero (http://laprofessoressavirisponde.blogspot.com/2010/10/la-conquista-del-ruolo-di-insegnante.html); 2. Non preparare la lezione, non creare più del materiale per i ragazzi e non aggiornare il fad con materiali, aiuti per lo studio e link ad animazioni che possono aiutare nella comprensione degli argomenti trattati. 2. quando ti senti pronta (ti do due giorni J) entra in classe (http://laprofessoressavirisponde.blogspot.com/2010/09/come-si-entra-in-classe-92.html; http://laprofessoressavirisponde.blogspot.com/2010/09/come-si-entra-in-classe-seconda-parte.html). Non ti sedere e chiedi loro di stare in piedi perché devi parlare. 3. dichiara che hai deciso (d-e-c-i-s-o) di non aiutarli più e di fare soltato quello per cui vieni pagata, e cioè, d’ora in poi farai lezione, ma niente più lezioni interessanti (e fai l’elenco di quello che fai), ma lezioni normalissime, cioè leggerai il manuale e ripeterai. 4. chiedi di alzare la mano se c’è qualcuno che è interessato ad approfondimenti, ad a lezioni agevolate e aiuti allo studio, “tanto per sapere”. 5. dici “vi informo, per correttezza, che non dirò più di stare zitti e attenti. Mi limiterò a prendere nota e a dare esattamente i voti che meritate, belli o brutti che siano. E se saranno brutti, li avrete voluti voi.” Naturalmente, appena uno fa un sussurro fuori luogo (anche minimo) fai vedere che prendi nota di qualcosa, senza dire nulla 6. poi, dopo una breve pausa, aggiungi “se c’è qualcuno che ha delle richieste lo dica ora, prima che io inizi la lezione alla nuova maniera”.

Ovviamente, a te il resto. Prova, e fammi sapere. Non ti scoraggiare!

martedì 5 aprile 2011

Se ad uccidere è lo Stato. 181°

La vicenda di Stefano Cucchi lascia una tristezza senza parole.
Stefano Cucchi è un trentunenne arrestato per possesso di cannabis che non è uscito vivo dal carcere. Abbiamo visto tutti le foto del suo corpo martoriato. Un uomo di Similaun. Un corpo pieno di fratture, traumi e lesioni, tumefatto e cadaverico ancor prima di morire. Abbiamo sentito un Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega alle Politiche della Famiglia, della Droga, e del Servizio Civile Nazionale dire che è morto perché era "anoressico, drogato e sieropositivo”. Se lo meritava, dunque? Poi si è scusato, è vero. Ma intanto lo ha detto. Perché lo pensava, evidentemente.
Ma Stefano Cucchi, anche se non era forse uno stinco di santo, non meritava una fine così. Nessuno merita di morire come un cane. Neanche un cane. Perché Stefano Cucchi, prima che un ragazzo tossicodipendente, era un figlio, un fratello. Come si può restituire in quelle condizioni un ragazzo alla sua famiglia? Come si può restituirlo morto, senza avergli permesso di vedere i suoi cari? Senza dire la verità sulla sua morte? Mentendo. Liquidandola, anzi, come la fine ovvia di chi si droga.
Ci penso, e cerco di trovare un’ipotesi che non sia quella dell’omicidio.
Un giovane viene arrestato. Entra con le sue gambe e ne esce morto. Non c’è niente da fare. C’è poco da dire: se non è stato ucciso, come minimo, non è stato soccorso. Il cadavere sembrava proprio quello di chi è stato ammazzato di botte.
Se fosse vero sarebbe terribile. Per i suoi genitori, per sua sorella, ma anche per tutti noi, che viviamo in questo Stato.
Come si può accettare che lo Stato, quello che dovrebbe applicare il principio secondo il quale “la Legge è uguale per tutti”, uccida barbaramente un suo cittadino?
Se il drogato fosse stato figlio di un ministro non gli sarebbe successo. Neanche se fosse stato mafioso, un delinquente incallito, e un trafficante di droga.
Ma la Legge non è uguale per tutti.
Spero che venga fatta giutizia. Almeno ora.

sabato 2 aprile 2011

Se i ragazzi sono maleducati. 180°

Ricordo di aver letto una volta che Francesco Cossiga avrebbe affermato che “studenti e professori dovrebbero essere picchiati a sangue. Soprattutto i professori che fomentano gli studenti”. Spero che non sia vero, ma non mi stupirebbe. In realtà, questa idea di picchiare (in senso più o meno figurato) alunni e professori è abbastanza diffusa fra quelli che vedono la Scuola completamente dal di fuori, o che la vedono attraverso gli occhi dei loro figli. C’è la variante degli insegnanti che vorrebbero picchiare alunni, genitori e certi colleghi. Si tratta, in questo caso, di insegnanti che vorrebbero sbarazzarsi di tutte le difficoltà dell’insegnamento, semplicemente cancellandole. Per esempio sono insegnanti che ce l’hanno con i colleghi che cercano di aiutare gli alunni difficili (e quindi considerano quei colleghi come insegnanti deboli, che vogliono insegnare ai ragazzi a diventare dei debosciati ignoranti). Ce l’hanno con i ragazzi poco intelligenti o indisciplinati ( mandiamoli via dalla scuola). E con i genitori che protestano (via anche loro).
Se c’è una cosa che regna sovrana in Italia è la banalizzazione dei problemi.
Abbiamo una scuola fatiscente, senza personale sufficiente ad affrontare i problemi, senza adeguate risorse. Abbiamo pseudo riforme della scuola che mirano a lanciare sbuffi di fumo negli occhi degli elettori e peggiorano ogni volta un po’ di più la situazione. Vengono imposti continui, assurdi e soprattutto inutili cambiamenti, che rendono tutto più difficile. Assistiamo alle menzogne di chi spaccia per fannulloni gli insegnanti che chiedono altre risorse, inventando il fatto che ci sono tante risorse. Abbiamo media che insegnano ad ammirare cose futili, persone stupide e ignoranti, e a considerare vecchia e inutile la cultura. I genitori educano i figli a credere a ciò che dicono i media e li abituano ad amare l’ozio e ad odiare il lavoro, a seguire i propri comodi e a calpestare quelli degli altri. Viviamo in una società in cui l’idiota viene osannato e l’intelligente deriso, e nella quale trionfano la volgarità, lo spreco, la disonestà, la prevaricazione, la corruzione.
Ma diamo la colpa ai ragazzi e diciamo che sono fragili, maleducati, sciocchi; li accusiamo di pensare alle cose stupide, di non aver voglia di lavorare. Diciamo che sono viziati, come se si fossero viziati da soli.
Li abbiamo viziati noi adulti. Li abbiano stressati da piccoli, li abbiamo lasciati soli, ne abbiamo fatto dei bambini paurosi, violenti, indolenti, stanchi, presuntuosi. E poi diciamo che sono paurosi, violenti, indolenti, stanchi, presuntuosi. Li abbiamo abituati noi a credere che tutto sia loro dovuto.
Ma ci sono tante persone che pensano che i ragazzi siano da punire, da schiaffeggiare, da buttare fuori dall’aula se si comportano come il mondo ha loro insegnato.
Il mondo: noi adulti e noi genitori. Non noi insegnanti. Noi siamo in classe e abbiamo tanta difficoltà a cercare di porre rimedio ai danni fatti sui ragazzi. Cerchiamo di recuperare i ragazzi, senza le risorse necessarie. Siamo stanchi, siamo anche un po’ stufi. Almeno, che chi guarda dal di fuori non si metta anche a criticare.
I ragazzi maleducati sono male educati.

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