La professoressa Isabella Milani è online

La professoressa Isabella Milani è online
"ISABELLA MILANI" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy dei miei alunni, dei loro genitori e dei miei colleghi. In questo modo ciò che descrivo nel blog e nel libro non può essere ricondotto a nessuno.

visite al blog di Isabella Milani dal 1 giugno 2010. Grazie a chi si ferma a leggere!

SCRIVIMI

all'indirizzo

professoressamilani@alice.it

ed esponi il tuo problema. Scrivi tranquillamente, e metti sempre un nome perché il tuo nome vero non comparirà assolutamente. Comparirà un nome fittizio e, se occorre, modificherò tutti i dati che possono renderti riconoscibile. Per questo motivo, mandandomi una lettera, accetti che io la pubblichi. Se i particolari cambiano, la sostanza no e quello che ti sembra che si verifichi solo a te capita a molti e perciò mi sembra giusto condividere sul blog la risposta. IMPORTANTE: se scrivi un commento sul BLOG, NON FIRMARE CON IL TUO NOME E COGNOME VERI se non vuoi essere riconosciuto, perché io non posso modificare i commenti.

Non mi scrivere sulla chat di Facebook, perché non posso rispondere da lì.

Ricevo molte mail e perciò capirai che purtroppo non posso più assicurare a tutti una risposta. Comunque, cerco di rispondere a tutti, e se vedi che non lo faccio, dopo un po' scrivimi di nuovo, perché può capitare che mi sfugga qualche messaggio.

Proprio perché ricevo molte lettere, ti prego, prima di chiedermi un parere, di leggere i post arretrati (ce ne sono moltissimi sulla scuola), usando la stringa di ricerca; capisco che è più lungo, ma devi capire anche che se ho già spiegato più volte un concetto mi sembra inutile farlo di nuovo, per fare risparmiare tempo a te :-)).

INFORMAZIONI PERSONALI

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La professoressa Milani, toscana, è un’insegnante, una scrittrice e una blogger. Ha un’esperienza di insegnamento alle medie inferiori e superiori più che trentennale. Oggi si dedica a studiare, a scrivere e a dare consigli a insegnanti e genitori. "Isabella Milani" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy degli alunni, dei loro genitori e dei colleghi. È l'autrice di "L'ARTE DI INSEGNARE. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi", e di "Maleducati o educati male. Consigli pratici di un'insegnante per una nuova intesa fra scuola e famiglia", entrambi per Vallardi.

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venerdì 30 novembre 2012

“La maestra urla ‘stupido’ e ‘cretino’ ai bambini”. 338°

Teresa mi scrive:
“Gentilissima professoressa, sono la mamma di un bambino di 2 elementare la cui maestra è solita apostrofare i bambini con urla e con parole "stupido" e "cretino". i bambini temono ritorsioni perché la maestra ha detto loro che non devono parlarne in casa, sono "cose" che devono rimanere in classe... Cosa possiamo fare noi genitori? La ringrazio. Teresa.”

Cara Teresa, è semplice. Prima di tutto mi assicurerei che quello che dice tuo figlio sia la stessa cosa che raccontano gli altri bambini. E' accaduto spesso che i bambini modificassero le parole dette dagli insegnanti, suggestionati dalle parole di qualche adulto. Se le urla accompagnate da  "stupido" e "cretino" risultano vere, scrivete (tu e altri genitori) una bella lettera (con richiesta di protocollo) al dirigente. Spiegate con precisione (proprio le parole esatte dei bambini)tutto quello che raccontano i bambini, senza aggiungere vostre considerazioni e senza accusare la maestra. Aggiungere qualcosa così: "Le chiediamo di verificare quello che accade in classe e, se fosse vero -  di prendere provvedimenti affinché non accada mai più e non si verifichi che la maestra in questione rimproveri i bambini per non aver rispettato il suo ordine di non parlarne a casa.
Nel caso la maestra neghi, sarà nostra cura attivarci per capire come è possibile che tanti bambini così piccoli siano capaci di mentire tutti allo stesso modo. 
Sicuri che lei, che ha la responsabilità di ciò che accade nella scuola che dirige, si attiverà per risolvere il problema, la ringraziamo e restiamo in attesa di una sua pronta risposta scritta".
Fammi sapere.

Per quanto riguarda gli insegnanti che si rivolgono ai bambini e ai ragazzi urlando “stupido” e “cretino”, desidero dire loro “Cambiate lavoro!”
Se non avete ancora capito che per nessun motivo dovete usare parole offensive, neanche davanti al più scatenato dei bambini e al più maleducato e straffottente dei ragazzi, allora cambiate lavoro. Non potete essere educatori.  I vostri alunni, soprattutto i più piccoli, stanno costruendosi l’autostima che servirà loro per affrontare la vita, per resistere alle sconfitte e agli insuccessi, per rialzarsi dopo ogni caduta. Se trattate male un alunno, se gli dite “cretino”, “stupido”, “deficiente”, “non sai fare niente”, “sei il solito scemo”, voi distruggete la sua autostima. Distruggete le basi sulle quali poggia la sua felicità. Fate un danno enorme.
Non dovete fare gli insegnanti. Non potete assolutamente considerarvi degli educatori, perché voi stessi siete dei maleducati. 

lunedì 26 novembre 2012

“Mio figlio soffre ad andare a scuola”. 337°

Gina mi scrive:

“Buongiorno professoressa
sono la mamma di un ragazzo di 12 anni, frequenta la II media, in un piccolo paese della provincia di Cuneo.
 E' un ragazzo che è sempre (fin dalla materna) risultato strano e fuori posto, questo a detta di tutte le insegnanti che ha avuto: molto intelligente (forse troppo), solitario, asociale (nel senso di vera incapacità a relazionarsi con i compagni), insofferente alle perdite di tempo e alla confusione della classe ....solitario, asociale, certificazione, derisione
Noi genitori e parenti gli siamo sempre stati vicini, anche con l'aiuto di vari specialisti (neuropsichiatri infantili e psicologi).
Alla fine di questo percorso finalmente abbiamo trovato un medico che sta cercando di aiutarlo e aiutarci avendo capito che il suo è un caso di sindrome di asperger ad alto rendimento.
Il problema è che ora che sono in fase adolescenziale, tutti i suoi  compagni (che sono gli stessi fin dalla materna) lo hanno definitivamente catalogato come strano, diverso e solo (= vulnerabile). Tutte le ore di lezione avvengono tra la confusione generale e in  questo clima mio figlio subisce continue vessazioni verbali da parte del solito gruppetto trascinante, seguite dall'ilarità generale della classe. In tutto questo viviamo il totale silenzio degli insegnanti.
 Dietro mia richiesta di aiuto esplicita da alcuni ho ricevuto espressioni di sorpresa (non si erano accorti di nulla) da altri false  intenzioni di monitoraggio.
Ma nulla è cambiato... lo continuano a mettere a fianco dei compagni più accaniti nei suoi confronti (forse per fortificarlo?) e il risultato è che mio figlio  non vuol più andare a scuola ed ha continuamente mal di testa e di pancia.
 Stiamo pensando di cambiargli scuola, ma mi chiedo se sia giusto che per non avere la capacità e la forza di farsi rispettare dalla classe debba pagare il più debole!. Saluti. Gina”

Cara Gina,
gli insegnanti e il dirigente sono obbligati a concentrarsi sul problema se tu fornisci loro, non solo le tue parole (che dovrebbero bastare perché un ragazzino con la sindrome di Asperger si dovrebbe riconoscere facilmente) ma una certificazione scritta.
Non cambiarlo di scuola, perché non hai alcuna garanzia che quello che accade lì non si ripeta altrove. Dunque: chiedi allo specialista una certificazione scritta con qualche indicazione da seguire. Consegnala in triplice copia (una al coordinatore, una al dirigente e una per il suo fascicolo personale) e chiedi esplicitamente che se ne parli al più presto in consiglio di classe, (scrivi “perché mio figlio mostra segni di forte disagio nei confronti dell’ambiente scolastico, dove, fin dall'inizio dell’anno, è fatto oggetto di atti di bullismo”). Aspetta quindici giorni, per vedere se gli insegnanti hanno preso dei provvedimenti a protezione di tuo figlio. Se non cambia nulla scrivi al dirigente e, per conoscenza, al consiglio di classe (con richiesta di protocollo) esprimendo la tua preoccupazione perché, pur avendo segnalato ai docenti i problemi di tuo figlio, e, per completezza di informazione,  consegnato la certificazione, il ragazzo continua a subire in classe spiacevoli derisioni, che hanno delle conseguenze sul suo stato di salute. Aggiungi: “Poiché credo che uno dei compiti del dirigente e degli insegnanti  sia quello di salvaguardare il benessere psicofisico degli alunni, auspico che la situazione venga tenuta davvero sotto controllo dagli insegnanti e dal dirigente, e spero che, agli alunni che continuassero a tenere atteggiamenti da bulli,  venga insegnato che non si può fare.”.
Anche se non ci sono risorse, in casi come questo gli insegnanti devono combattere perché vengano assolutamente trovate. Non si può lasciare un bambino in balia dei bulli.
Cara Gina, in casi come questi bisogna combattere perché vengano trovate soluzioni. 
Fammi sapere!

domenica 25 novembre 2012

AVVISO: NUOVA OPZIONE

Cari lettori, ho aggiunto una nuova possibilità, tanto per vedere se è utile: potete inserire il vostro indirizzo mail nella stringa sotto al contatore visite e verrete avvertiti ogni volta che c'è un nuovo post.
Fatemi sapere se può servire :-)
Grazie!

giovedì 22 novembre 2012

Gli alunni difficili sono ragazzi che soffrono. Terza parte. 336°

Gli alunni difficili sono ragazzi che soffrono.
Non parlo dei ragazzi che dicono parolacce, che stanno scomposti nei banchi, che ridono fra loro. Quelli sono i maleducati. Sono quelli abituati a credere che tutto è dovuto, che la fatica deve essere evitata, che il rispetto è una cosa da vecchi. A quelli bisogna insegnare che non possono fare quello che vogliono e, a quelli più grandi, che, se non studiano, vengono bocciati.
Non parlo neanche dei ragazzi che hanno una certificazione di handicap. Se vogliamo aiutarli davvero dobbiamo adeguarci alla sindrome dalla quale sono affetti; dobbiamo studiare il loro problema e come possiamo aiutarli.
Parlo di quelli – tantissimi – che sono affetti da sindromi varie che non vengono riconosciute, che non vengono certificate o che vengono ignorate per comodità, sia dagli insegnanti che dai genitori .
Quando abbiamo davanti venticinque o trenta alunni, è difficile capire davvero, in quelli “che non seguono e non rispettano le regole”, dove finisce l’ignoranza, la svogliatezza,  e dove comincia la patologia. Chi non insegna non ha neppure una vaga idea di quanti alunni pieni di problemi ci siano in una classe. Problemi che spesso non sono evidenti agli occhi dei non esperti (spesso anche ai nostri), come la dislessia, la disgrafia, disortografia, la discalculia, che possono essere scambiati per mancanza di studio o mancanza di attenzione. Nella Scuola, quello che non è certificato non esiste.
E quegli alunni, allora, vengono sgridati – da noi e dai genitori - perché non leggono bene, perché fanno troppi errori, perché sbagliano i calcoli. O a chi, dislessico, se non capisce alla prima, se rimane indietro quando dettiamo, diciamo "Come mai non hai capito? Eri distratto!" oppure "Sei rimasto indietro! Stai più attento!".
Alcuni bambini impugnano la penna in modo assurdo, in realtà perché magari hanno problemi di disgrafia, hanno disturbi motori veri, e difficoltà oculo-manuali. Ma vengono rimproverati, obbligati a ricopiare. Quando vengono i genitori diciamo loro “il bambino ha una calligrafia pessima!”; e sul quaderno gli scriviamo “devi scrivere meglio!”. E la mamma, a casa, lo sgrida, gli strappa la pagina e gliela fa ricopiare. Per un bambino, un ragazzino delle medie, non ha ancora la capacità di spiegare che proprio non gli riesce anche se vorrebbe, di esternare il suo malessere in modo pacato: o tace e ingoia, o urla e picchia.
Spesso sono i bambini difficili, quelli che scrivono male, che sono disordinati, che scrivono troppo grande, fuori dalle righe. E noi li rimproveriamo, diamo loro brutti voti. E ci convinciamo che basterebbe un po’ di attenzione per migliorare. Ma forse – probabilmente - non possono proprio.
Che cosa proveremmo, noi, se venissimo rimproverati continuamente, da tutti e per anni, per qualcosa che non riusciamo a controllare? Io credo che forse diventeremmo anche noi “difficili”. E certo la nostra autostima sarebbe piuttosto bassa.
Possiamo fare del male anche senza volerlo. Se non riconosciamo le difficoltà obiettive di un alunno e non facciamo nulla per lui perché chiamiamo “mancanza di impegno”, “mancanza di studio adeguato”, “mancanza di basi” i suoi insuccessi scolastici , gli stiamo facendo del male. Dobbiamo studiare i problemi di apprendimento che possiamo incontrare negli alunni, conoscerli, altrimenti rischiamo di farli soffrire.

Voglio parlare anche dei ragazzi che si comportano malissimo: quelli che vi sfidano apertamente, che vi rispondono male come se voi foste il nemico da combattere. Quelli che si divertono a irritare con scherzi e dispetti i compagni, quelli che, accusati, vanno su tutte le furie, quelli che prendono in giro tutti, che si rifiutano di seguire le regole. Quelli che guardano con odio chiunque li sfiori, che si mettono le cuffie per farvi vedere che non vi stanno ascoltando; quelli che si picchiano e che picchiano. I ribelli. Quelli che fanno proprio di tutto per farvi saltare i nervi.
Potrebbero essere affetti da un disturbo patologico: per esempio il disturbo oppositivo provocatorio. Ma se è qualcosa di patologico, che colpa ne hanno, se reagiscono urlando, se non rispettano le regole – nessuna regola - , se sono aggressivi e violenti? Molti insegnanti non si sono mai preoccupati di aggiornarsi, e, quando qualcuno avanza il dubbio che un certo alunno difficile potrebbe essere affetto da un disturbo patologico, rispondono, seccati “Macché disturbo! È solo un gran maleducato e un mezzo delinquente!”. E il caso è chiuso.
I ragazzi che si comportano male potrebbero essere ragazzi che non hanno nessuna autostima, che soffrono di solitudine, di depressione, di fobie. Forse hanno subito violenze. Potrebbero, quando vanno a casa, assistere alle botte che il padre dà alla madre; potrebbero essere sballottati da un parente ad un altro, e vivere una vita sbandata, senza punti di riferimento, senza affetto. Forse hanno vissuto traumi o abbandoni. O hanno una vita piena di problemi, economici, familiari. E quando uno ha la pancia vuota, quando ha la mamma malata, quando il padre non c’è perché ha mollato tutto e se ne è andato tanti anni prima o quando a casa non arriva più lo stipendio, non si ha molta voglia di studiare, e non si è dell’umore migliore per stare attenti e comportarsi bene.
Non dobbiamo mai dimenticare che gli alunni hanno una famiglia, e che a casa possono vivere l’inferno. Allora diventano cattivi con il mondo intero; a casa prendono calci e pugni e li restituiscono a scuola al primo che capita. Forse non hanno mai avuto affetto e attenzione e cercano di averli a scuola, e si comportano male per avere l’ammirazione dei compagni e l’attenzione (anche se in modo negativo) dell’insegnante. I ragazzi, anche quelli che sghignazzano forte nel bel mezzo della lezione, possono essere gravemente depressi. E più rispondono male, più appaiono prevenuti e aggressivi, e più dobbiamo sospettare che stiano soffrendo.
Solo se li vedremo così, riusciremo ad accettarli e ad aiutarli.
E allora? Dobbiamo accettare tutto? Promuovere tutti? No, certo! dobbiamo rimproverare con forza chi si comporta male. Ma con il tono di chi sa che quel rimprovero è necessario, e con la consapevolezza che tutti hanno diritto di essere aiutati.
I ragazzi davvero problematici sono molto difficili da accettare, perché con il loro comportamento provocano in noi rabbia, frustrazione e stanchezza. 
Ma per riuscire a gestirli bisogna accettarli e capirli. Solo se sentiranno il nostro interesse e la nostra comprensione riusciranno ad imparare a fidarsi di noi.  E le cose miglioreranno. Per loro e per noi.


Prima parte qui.

Seconda parte qui.

domenica 18 novembre 2012

Gli alunni difficili sono ragazzi che soffrono. Seconda parte. 335°

Un lettore Anonimo mi scrive:


“Non tutti i ragazzi difficili hanno un disagio, ad esempio vi sono ragazzi figli di professionisti e assai benestanti che però si comportano male e non studiano e poi vanno alle scuole paritarie dove a volte si fanno due anni in uno ed olè, vanno lì solo per sfoggiare abiti firmati, vestiti alla moda e telefonini, tanto hanno il diploma assicurato. Non mi sembrano poi così disagiati quei ragazzi.”
Ecco, questo è un concetto importante: una persona qualunque – non un insegnante, non un genitore, e quindi non una persona informata dei fatti – interviene e dice il contrario di quello che dico io “i ragazzi che si comportano male e non studiano non mi sembrano poi così disagiati”.
Tutti vogliono dire la loro, nella “società dei tuttologi”. Chiunque ne vuol sapere più del medico, più dell’avvocato, più dell’allenatore della nazionale, e, naturalmente, più dell’insegnante.
Qui il lettore, anonimo, naturalmente, è sicuro che i vestiti firmati e i telefonini siano la prova del fatto che quei ragazzi non hanno problemi. Come se i problemi fossero solo quelli economici, e le soluzioni stessero tutte nel possesso di denaro e di oggetti. Ridicolo.
È un problema comune: la maggior parte delle persone, come questo signore, non vuole credere al fatto i ragazzi che si comportano male sono  “ragazzi che hanno un disagio, che hanno sofferto, che soffrono”. Anche molti insegnanti la pensano così:  “è inutile, è tempo perso. Non ha voglia di studiare, è un mezzo delinquente. Eppure non gli manca niente, è figlio di un medico” Oppure: “Non studia. Non ha i soldi per comperare i libri, ma i soldi per il telefonino, quelli, ce li ha!” “Che problemi ha? È soltanto viziato”. Ridicolo.
Forse non è chiaro quello che intendo con “ragazzi difficili”.
Per esempio: non parlo dei ragazzi che studiano poco. Con quelli possiamo far leva sugli insegnamenti che hanno già ricevuto a casa e possiamo (dobbiamo) fare lezioni interessanti, per convincerli a studiare.
Parlo di quelli che non aprono il libro, che non portano a scuola il materiale necessario per seguire le lezioni. Sono quelli che vivono in ambienti culturalmente deprivati: non aprono il libro perché dalla nascita hanno avuto, a casa, degli stimoli culturali sempre molto inferiori a quelli necessari all'apprendimento  La loro incapacità di stare al passo con gli altri viene spesso scambiata per deficit mentale ("non capisce niente!"). Nonostante ciò, gli insegnanti continuano a chiedere a questi bambini prestazioni che non possono dare, e provocano in loro, così, un grande senso di frustrazione, di rabbia e di rancore, e la perdita della fiducia in se stessi:  questi bambini, questi ragazzi si sentono “diversi”, si sentono “rimproverati” e non capiscono il motivo del rimprovero, e così perdono fiducia nella Scuola, negli insegnanti, e si distaccano da tutto quello che è legato alla parola “scuola”.
La Scuola italiana non considera questi ragazzi “portatori di handicap”, sociale e culturale, come dovrebbe fare. Non c’è spazio per loro e l’unica soluzione che trova e vuole è quella di bocciarli. Non c'è spazio per questi discorsi che faccio, perché, se venissero ascoltati, lo Stato dovrebbe impegnare molte più risorse (invece le diminuisce) e gli insegnanti dovrebbero impegnarsi molto di più, a capire e a studiare.
Mi si dirà: “E allora? Dobbiamo promuovere tutti?”. Rispondo: nella scuola dell’obbligo possiamo far ripetere l’anno ai ragazzi che studiano poco perché presi da altri interessi, ma che hanno ricevuto a casa una sufficiente dose di stimoli culturali. A loro può essere utile essere bocciati, per capire che non si può fare solo quello che si vuole.
Ma i ragazzi che sono vissuti in un ambiente senza stimoli no, non devono essere bocciati. Non finché la scuola italiana rimarrà come è oggi. Non serve a nulla.
Nella scuola post obbligo,  se, dopo averli aiutati, non hanno recuperato, dobbiamo far ripetere l’anno: promuovere chi ha molte lacune crea solo una marea di futuri lavoratori incompetenti.
Quelli che sono estranei al mondo della Scuola (che però vuole esprimere giudizi e condanne) sono convintissimi che basti dire a quei ragazzi “Studia!” per vederli studiare. E troppi insegnanti si offendono se pronunciano la formula magica “Devi studiare!” e non funziona. Sono convintissimi che basti punirli, riempirli di note sul diario e sul registro, usando poi la bocciatura come condanna, per farli pentire di non aver studiato.  Ridicolo. E molto ingiusto.

domenica 11 novembre 2012

Se a NATALE volete regalare i "CONSIGLI PRATICI PER GIOVANI INSEGNANTI questo è il momento!

SE A NATALE VOLETE REGALARE  IL FAMOSO LIBRO DI ISABELLA MILANI, CONSIGLI PRATICI PER GIOVANI INSEGNANTI, questo è il momento.

More about Consigli pratici per giovani insegnanti
Cari colleghi, questo è un "manuale dell'insegnante", un libro di consigli pratici,che può esservi utile se siete giovani insegnanti, finché non avrete fatto esperienza sul campo. Ma credo che possa essere molto utile e offrire spunti di riflessione anche se insegnate già da anni, e perfino se siete genitori di ragazzi che frequentano la Scuola. 
Il libro ISABELLA MILANI: CONSIGLI PRATICI PER GIOVANI INSEGNANTI si può trovare sia nella versione ebook (solo su LULU),che nella versione cartacea. Per acquistarlo nella versione cartacea, potete richiederlo, scontato e con spese di spedizione decisamente inferiori a quelle di LULU, (o senza spese di spedizione per ordini superiori a € 19) su AMAZON

Se ne volete una sola copia, comperatelo insieme ad un vostro collega, così risparmiate le spese di spedizione. Oppure regalate il libro agli insegnanti che conoscete.


PRECISAZIONE IMPORTANTE: quando ordinate il libro, ricordate che NON SONO RESPONSABILE in alcun modo di eventuali ritardi e che non posso dare alcuna informazione al riguardo.  

Credo che sia un bel libro e, per quanto ne so, finora nessuno si è pentito di averlo comperato. Quindi: pubblicizzatelo tranquillamente :-)  Grazie!

giovedì 8 novembre 2012

Gli alunni difficili sono ragazzi che soffrono. Prima parte. 334°


Berta mi scrive:

“Gentile collega, mi chiamo Berta ed insegno Matematica. Mi posso definire alle "prime armi" visto che sono solo sette anni che ho intrapreso questa " avventura". Come incaricata ogni anno è un rimettersi in gioco ed affrontare un percorso diverso fatto di tante gioie ma anche di tante sfide. Quest'anno però sono in piena crisi poiché la scuola dove lavoro è piena di "casi difficili", a volte ho l'impressione di essere in un riformatorio. La settimana scorsa sono stata portata in ospedale dopo un forte malore a causa di uno scontro con un alunno e da quel momento quando sono in classe non riesco più a fare lezione come mio solito. Mi sento sconfitta , depressa e non riesco più a fare lezione mettendoci il cuore ma lo faccio in modo apatico guardando sempre l'orologio , aspettando la fine dell'ora. Sarei molto felice se Lei potesse darmi un aiuto e un consiglio per farmi superare questo momento difficile. Cordiali saluti. Berta”

Cara Berta, ricevo molte lettere da insegnanti che chiedono consigli su come gestire gli alunni difficili. Ho già suggerito parecchie strategie, ma credo che sia utile dedicare un post completo a questo concetto: come affrontare un ragazzo difficile?
Gestire una classe difficile non è lo stesso che gestire un alunno difficile: la classe è l’insieme, che a volte contiene anche qualche alunno difficile e a volte no.
Una classe può essere difficile anche senza alunni difficili, per esempio perché gli alunni sono soltanto molto chiacchieroni. Non è un problema, se applichi i consigli che do.
Ma se nella classe ci sono alunni “difficili” la difficoltà è molto più alta. E con “alunni difficili” non intendo chiacchieroni che studiano poco. Intendo ragazzi che si comportano in modo apparentemente assurdo: mandano tutti a quel paese, urlano, fischiano, ostentano menefreghismo, fanno scherzi pericolosi, rispondono male, fanno dispetti, picchiano, prendono in giro.
Per gestire una classe difficile che ha alunni difficili bisogna prima di tutto trovare il sistema di gestire loro. E per gestire gli alunni difficili bisogna capirli. Capirli profondamente.
Per capirli bisogna convincersi di un concetto fondamentale, che mi sembra di aver già espresso mille volte: gli alunni difficili non sono “mezzi delinquenti”, “cattivi”, “matti”. Sono ragazzi che hanno un disagio, che hanno sofferto, che soffrono, anche quando a noi, se li guardiamo superficialmente, sembra che se la ridano e se ne freghino di tutto e di tutti. Se vogliamo aprirci un varco attraverso la cortina di negatività che li circonda, per poi tendere loro una mano e farli uscire, bisogna che troviamo il modo di accettarli e capirli.
I ragazzi difficili – l’ho già detto e non mi stanco di ripeterlo – sono ragazzi che vivono situazioni assurde, che spesso noi insegnanti non conosciamo o conosciamo solo superficialmente. Pretendiamo che “portino il libro”, che “facciano i compiti”, “che portino il famoso 'materiale'”, che studino. E se non lo fanno ci scandalizziamo, ci irritiamo, come se volessero farci un dispetto, come se ci mancassero di rispetto. Come se bastasse un po’ della tanto decantata “buona volontà” per studiare, stare attenti, fare i compiti. Non basta, purtroppo.
Se un bambino, se un ragazzo, vede il padre che torna a casa ubriaco e picchia la madre, sarà un ragazzo in qualche modo difficile: apatico, asociale o violento. Più facilmente sarà violento, ce l’avrà a morte con tutto il mondo. Dà già tanto a casa e non gli sembra giusto che anche a scuola gli si chieda qualcosa. Un ragazzo che a casa assiste a litigi violenti, che non ha soldi per comperare le scarpe, che sta solo tutto il giorno, fin da piccolo, si comporterà male; un ragazzo che non ha mai visto il padre, che viene rifiutato dalla madre, o picchiato con la cinghia dai nonni, sarà senz'altro un ragazzo difficile. Un ragazzo che subisce violenza – sia essa fisica o psicologica – è sempre un ragazzo difficile, difficilissimo. Avrebbe bisogno di amore e di carezze, perché in fondo è un bambino come tutti gli altri, e invece riceve solo indifferenza, violenza, calci, fisici o psicologici, e vive una vita già dura e faticosa a otto, nove, dodici tredici anni. Poi viene a scuola. Gli ci vorrebbe un po’ di considerazione, di comprensione e di incoraggiamento. Ma dà noia, disturba la classe, la lezione. E allora riceve altri calci psicologici: l’insegnante lo ignora più che può perché gli rende difficilissima la lezione; è contento quando è assente perché “finalmente abbiamo potuto fare lezione: si stava una meraviglia”; l’insegnante gli scrive note sul registro, lo sospende, lo allontana. O lo disprezza con lo sguardo, perché prova astio verso di lui, che “basterebbe che avesse un po’ di buona volontà e potrebbe avere tutte sufficienze”, e perché“disturba, non è capace di stare attento e anche i compagni non lo sopportano più”.
Quando abbiamo di fronte un ragazzo in difficoltà, ricordiamoci che non ha colpa del suo comportamento. Dobbiamo aiutarlo, anche se ci rende la vita difficile, se la sua presenza in classe ci provoca paura, o rabbia. Solo se  riusciremo a trasmettergli vero interesse potremo ricevere rispetto da parte sua. E si vedranno i risultati. Se non ci saranno colleghi che distruggono tutto il nostro lavoro.
E se non riusciamo ad aiutarlo - perché spesso non ci si riesce - se l’unico sistema che troviamo per affrontarlo consiste in una sospensione o in una bocciatura, non sentiamoci soddisfatti perché “giustizia è fatta”. Sentiamoci in colpa. Noi, e, soprattutto, la Scuola italiana, che non offre quasi nulla, a questi ragazzi.

mercoledì 7 novembre 2012

Mi fate un favore?

Cari lettori, se avete acquistato i miei "Consigli pratici" su Amazon, mi mandate una foto del libro? In realtà ho visto soltanto la versione di LULU e non so se è uguale...
Il mio indirizzo lo conoscete: professoressamilani@alice.it.
Grazie!



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