La professoressa Isabella Milani è online

La professoressa Isabella Milani è online
"ISABELLA MILANI" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy dei miei alunni, dei loro genitori e dei miei colleghi. In questo modo ciò che descrivo nel blog e nel libro non può essere ricondotto a nessuno.

visite al blog di Isabella Milani dal 1 giugno 2010. Grazie a chi si ferma a leggere!

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all'indirizzo

professoressamilani@alice.it

ed esponi il tuo problema. Scrivi tranquillamente, e metti sempre un nome perché il tuo nome vero non comparirà assolutamente. Comparirà un nome fittizio e, se occorre, modificherò tutti i dati che possono renderti riconoscibile. Per questo motivo, mandandomi una lettera, accetti che io la pubblichi. Se i particolari cambiano, la sostanza no e quello che ti sembra che si verifichi solo a te capita a molti e perciò mi sembra giusto condividere sul blog la risposta. IMPORTANTE: se scrivi un commento sul BLOG, NON FIRMARE CON IL TUO NOME E COGNOME VERI se non vuoi essere riconosciuto, perché io non posso modificare i commenti.

Non mi scrivere sulla chat di Facebook, perché non posso rispondere da lì.

Ricevo molte mail e perciò capirai che purtroppo non posso più assicurare a tutti una risposta. Comunque, cerco di rispondere a tutti, e se vedi che non lo faccio, dopo un po' scrivimi di nuovo, perché può capitare che mi sfugga qualche messaggio.

Proprio perché ricevo molte lettere, ti prego, prima di chiedermi un parere, di leggere i post arretrati (ce ne sono moltissimi sulla scuola), usando la stringa di ricerca; capisco che è più lungo, ma devi capire anche che se ho già spiegato più volte un concetto mi sembra inutile farlo di nuovo, per fare risparmiare tempo a te :-)).

INFORMAZIONI PERSONALI

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La professoressa Milani, toscana, è un’insegnante, una scrittrice e una blogger. Ha un’esperienza di insegnamento alle medie inferiori e superiori più che trentennale. Oggi si dedica a studiare, a scrivere e a dare consigli a insegnanti e genitori. "Isabella Milani" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy degli alunni, dei loro genitori e dei colleghi. È l'autrice di "L'ARTE DI INSEGNARE. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi", e di "Maleducati o educati male. Consigli pratici di un'insegnante per una nuova intesa fra scuola e famiglia", entrambi per Vallardi.

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venerdì 27 gennaio 2017

Ogni giorno deve essere una Giornata della memoria. 605° post

Il 27 gennaio di ogni anno, in Italia dal 2000, è la giornata in cui si commemorano le vittime dell’Olocausto. Ho già scritto sulla Giornata della Memoria qui.



Oggi vorrei fare una riflessione su quello che sta accadendo in molte parti del mondo. Ma mi concentro sull’Italia, e su un fatto solo: il suicidio di un ragazzo del Gambia, un migrante, che si è buttato nel Canal Grande a Venezia. È affogato, e si può immaginare la scena (e vorrei che lo faceste, se decidete di non guardare il video che è stato messo in internet, solo in pochi casi con l'avvertenza “ATTENZIONE: le immagini potrebbero colpire la sensibilità dei lettori”)


Ma che cosa siamo diventati, in Italia? 
La notizia è stata data dai vari media e ascoltando i commenti dei giornalisti si percepisce chiaramente che alcuni giustificano il comportamento della gente con commenti come “gli hanno lanciato i salvagenti, e non hanno potuto fare altro”, “aveva deciso di farla finita e ci è riuscito".
Altri giornalisti vedono quello che è accaduto come un comprensibile anche se non giustificabile (spero) segno di quanto gli italiani non ne possano più di “tutti questi stranieri che ci hanno ormai invaso”. Altri giornalisti sono disgustati e sconcertati come lo sono io, ma fanno meno rumore, o vengono attaccati da quella certa percentuale di razzisti italiani che urla che chi difende il diritto dei migranti di essere aiutati “dovrebbe prenderseli in casa lui”.

In questa Giornata della Memoria io mi vergogno per come siamo diventati. È terribile vedere l’odio che circola, fomentato da giornalisti, e soprattutto da politici che lo usano per prendere voti.
Ogni sera, per esempio, c’è un programma su Retequattro, che sembra costruito apposta per seminare odio. Cito come viene presentato sul sito “ Dalla vostra parte. Programma di approfondimento del Tg4 condotto da Maurizio Belpietro, che concentra l'attenzione sui principali fatti del giorno e su argomenti di politica, economia e cronaca. In diretta dallo studio del Tg4, l'analisi è arricchita da interventi dei protagonisti della scena mediatica, da alcuni collegamenti sul territorio e numerosi backstage e dietro le quinte.”
"Dalla vostra parte"? Dalla parte di chi? Degli italiani contro gli stranieri, evidentemente.
Ecco, guardatelo oggi che è la Giornata della Memoria. E mentre lo guardate, rendetevi conto di che cosa significa fare servizi come questi, facendoli passare per “approfondimenti”, come se tutta l’Italia fosse così, mettendo in evidenza i disagi della crisi economica e del degrado morale a cui siamo arrivati, attribuendoli alla presenza degli stranieri, e sollecitando la gente a urlare (ci sono anche dei fuori onda in giro per la rete).

È odio puro somministrato nelle case all’ora di cena. Anche ai ragazzi.
Durante il nazismo si fomentava l’odio con racconti e filmati in cui gli ebrei venivano dipinti come persone sporche, violente, dedite al furto e allo stupro.

Potete guardare “L’ebreo errante”, film /documentario del 1940 della propaganda nazista, se non lo avete mai visto. E riflettere, chiedendovi se non stiamo preparando un'altra Shoah.


Oggi l’odio si semina contro gli stranieri venuti in Italia per lavorare o contro i rifugiati fuggiti da Paesi in guerra. Sono diventati il capro espiatorio dei politici che giustificano la loro incapacità di governare e di fare gli interessi degli italiani dando la colpa a loro: agli stranieri, ai rifugiati.
Ci sono anche rifugiati o stranieri violenti, ladri, stupratori? Senz'altro.
Ci sono italiani violenti, ladri, stupratori? Senz'altro.
Questo significa che gli italiani si possono tollerare perché sono “dei nostri” e gli altri no perché devono andare a delinquere nel loro Paese? Significa che dobbiamo buttare in mare chi cerca salvezza in Italia? Fare loro del male? Sparargli?
E significa giustificare che ci sia qualcuno che vede affogare un ragazzo di 22 anni senza trovare nulla da fare, o –peggio, molto peggio- urlando frasi razziste?

Ma che cosa ci è successo? Svegliamoci, per carità! Rendiamoci conto di quello che è successo nel Canal Grande a Venezia. Non riesco neanche a scriverlo: vedere affogare, andare giù, sott’acqua un ragazzo, poco più che adolescente, senza sentire la necessità di urlare, di dare dei pugni ai ragazzoni che ridevano, senza  disperarsi, senza sentire l’urgenza di urlare all’equipaggio del vaporetto che dovevano buttarsi, perché sicuramente loro sapevano nuotare. Ho letto la domanda di un giornalista: Voi vi sareste buttati?” Voglio rispondergli: io no, perché non so nuotare, purtroppo. E sarei affogata subito. Ma sono sicura che mio figlio si sarebbe buttato, e tante altre persone che conosco, adulti e ragazzi. Possibile che lì non ci sia stato nessuno? Che cosa sarebbe successo se ci fosse stato un cane al posto di quel ragazzo?
È terribile. Non c’è stato neanche un briciolo di pietà per Pateh Sabally. Non c’è stata pietà per sua madre, che non lo vedrà più tornare.
Io mi chiedo e vi chiedo: pensate alla persona che vi ha danneggiato di più negli ultimi anni. Diciamo pure: pensate a una persona che odiate perché vi ha fatto del male. Veramente la lascereste affogare? Guardereste senza fare nulla una donna, un uomo, un ragazzo che sta affogando?
Ecco: se non inorridite all’idea, non commemorate la Giornata della memoria.

Ogni giorno deve diventare una Giornata della Memoria, in Italia, perché siamo vicinissimi alla situazione che ha portato allo sterminio degli ebrei. E per sapere se esagero guardatevi intorno. 
Insegnante ai vostri figli e ai vostri alunni la tolleranza e il rispetto, ma soprattutto insegnate la pietà.

“Sorgono allora delle domande: perché dobbiamo ricordare? E che cosa bisogna ricordare?
Bisogna ricordare il Male nelle sue estreme efferatezze e conoscerlo bene anche quando si presenta in forme apparentemente innocue: quando si pensa che uno straniero, o un diverso da noi, è un Nemico si pongono le premesse di una catena al cui termine, scrive Levi, c’è il Lager, il campo di sterminio.”
Vittorio Foa



Eccoci arrivati di nuovo al giorno della Memoria.

27 gennaio. “Giorno della Memoria”. Abbiamo dovuto istituire un giorno apposta, per ricordarci di non dimenticare.
Noi insegnanti di Storia lo spieghiamo ogni anno, che cosa è stata la Shoah. I ragazzi devono sapere, perché il ricordo collettivo svanisce, se non lo si richiama alla mente. È nostro dovere, farlo.
E per me, ogni volta, è come la prima volta. Ogni volta provo lo stesso dolore, la stessa rabbia, la stessa incredulità, e non so spiegarmi come sia potuto accadere. Ho urgenza di raccontare tutto ai miei alunni perché provo anche paura, perché so che quello che è accaduto una volta, anche soltanto una volta, può accadere di nuovo. È questo che dobbiamo insegnare ai nostri figli e ai nostri alunni. Ad aver paura dell'odio.
Devono sapere che quello che è accaduto durante la seconda guerra mondiale nei campi di sterminio accade ancora in certe parti del mondo. Anche in questo momento, mentre mangiamo un cioccolatino, mentre leggiamo o scriviamo queste parole. E non lo sappiamo. O, se lo sappiamo, non facciamo nulla. Almeno, quindi, cerchiamo di fare in modo che si sappia che l’Essere umano è capace di queste atrocità, se gli si permette di dare sfogo al suo egoismo e alla sua pazzia.
Per capire che cosa è davvero accaduto e che cosa accade ogni volta che qualcuno picchia, o stupra, o umilia, o affama o toglie la libertà a un suo simile, pensiamoci bene. Dedichiamo un momento ad immedesimarci nella situazione.
C’è un uomo che guarda con disprezzo e odio un altro uomo perché è ebreo. O nero. O arabo. O gay. O comunista. Non gli ha fatto nulla. Non lo conosce. Qualcuno ha deciso che lo deve odiare e lui lo odia, con tutto se stesso. Desidera fargli del male, allontanarlo, picchiarlo, umiliarlo, deriderlo, annientarlo, ucciderlo. Senza un vero “perché”. E lo fa.
Gli ebrei sono stati strappati alle loro case. Ditelo ad ogni ragazzo, uno per uno.
Immagina che un giorno arrivi qualcuno che dice che tu e la tua famiglia dovete andarvene dalla vostra casa. Così, come siete. Vi portano via, brutalmente e senza nessuna giustificazione se non quella assurda di un odio fine a se stesso.
L’intolleranza porta all’odio, e l’odio può portare alla violenza e allo sterminio.
Il ricordo delle sofferenze dei campi di concentramento e di sterminio, del freddo, della fame, delle umiliazioni, della morte, sono per me meno dolorose dell’immaginare anche solo per un attimo il dolore atroce del momento in cui con un secco ordine ti urlavano “Gli uomini di qua e le donne di là!” e ti strappavano dall'abbraccio le persone che amavi, il marito, il fratello, la madre, il figlio, la figlia, indifferenti alle tue urla e alla tua disperazione. E ancora più terribile è immaginare la disperazione del vederti portare via i tuoi bambini piccoli, e sapere che li avrebbero condotti a morire.
La pietà è un sentimento indispensabile per un Uomo civile. Altrimenti l'Essere umano è ancora allo stato ferino.
Allora, mi raccomando, non dimenticate che è indispensabile ricordare.
Non dimentichiamo, e insegniamo ai ragazzi che l’intolleranza porta all’odio, e l’odio può portare alla violenza e allo sterminio. Ce lo insegna la Shoah. E non solo.


martedì 24 gennaio 2017

I COMMENTI CHE NON PUBBLICO

Cari lettori, vorrei ribadire qualche concetto: 

- non posso pubblicare commenti di chi racconta nei dettagli situazioni riguardanti bambini o ragazzi, insegnanti o genitori e si firma con il nome (il che è giusto) e COGNOME (il che non è opportuno perché si diventa riconoscibilissimi e io devo salvaguardare la privacy). 

- non pubblico i commenti che esprimono concetti sui quali non sono d'accordo e che mi obbligherebbero a rispondere. Questo non significa che non accetto il confronto. Significa che non lo accetto qui, perché questo non è un forum di discussione e significa anche che non ho tempo per rispondere, a meno che io non trovi utile farlo.

- e, ovviamente, come ho già detto moltissime volte, non pubblico commenti con toni polemici.


Chi si riconosce in questo, sa perché non ho pubblicato il suo commento e può scrivermi di nuovo, attenendosi a questi due concetti.




Potete leggere anche questo post.

lunedì 23 gennaio 2017

Insegnanti disperati. Seconda parte. 604° post

Se qualcuno non capisce in che senso insegnare è faticoso, può chiarirsi le idee leggendo le lettere che ho pubblicato nella prima parte di questo post.
E leggendo le stesse lettere, insieme alle altre, cliccando sui link che troverete in fondo,  potrà capire anche che cosa significa che gli insegnanti sono particolarmente soggetti al “burnout”, che è lo stress (grave) legato al lavoro.
Gli insegnanti si trovano ad affrontare situazioni che li portano a provare frustrazione, ansia, paura, umiliazione e – infine – disperazione.
Tengo questo blog da quasi sette anni e ho scritto un libro: chi lo desidera ha la possibilità di capire benissimo -leggendo- perché insegnare è faticoso. E parlo di chi non è nella scuola, ma parla della scuola e degli insegnanti, sminuendo il loro lavoro, offendendo gli insegnanti, considerandoli come categoria privilegiata.
Ogni volta che leggo lettere come quelle che trovate qui – lettere di insegnanti che vorrebbero con tutto il cuore riuscire a fare bene il loro lavoro, che si sforzano, che ce la mettono tutta per non essere umiliati dagli alunni, per trovare un varco nella loro indifferenza – mi assale una grande rabbia.
Gli insegnanti si stancano fisicamente, vanno a casa con mal di testa, mal di schiena, voglia di chiudersi in una stanza buia per fare riposare il cervello e le orecchie. Ma non è questo che li sfinisce. Questo è un tipo di stanchezza comune a molti altri lavori.
Gli insegnanti – chi più chi meno – fanno un lavoro che consiste nel combattere per lavorare: combattono contro l’indifferenza, la mancanza di rispetto, la disattenzione, la pretesa di aver tutto e subito che la società e i genitori hanno trasmesso ai bambini e ai ragazzi. È come se un muratore cercasse di costruire un muro e i mattoni scivolassero via; come se un meccanico cercasse di cambiare un pezzo del motore e la macchina si mettesse in moto e se ne andasse; come se a un postino volasse via la posta da consegnare, al chirurgo scappasse il paziente dal tavolo operatorio.
Certo, ci sono insegnanti che obiettivamente non riescono a tenere la disciplina, ma altrettanto obiettivamente dobbiamo dire che questa difficoltà a gestire la classe viene ingigantita dal fatto che ci sono oggi molti ragazzi che non sanno proprio che cos’è la disciplina. Sono ragazzi ai quali i genitori le hanno date tutte vinte, ai quali non è mai stato detto di no, che non hanno ricevuto il fondamentale insegnamento “Devi rispettare gli altri e tutto quello che ti circonda”. E questo insegnamento è la base indispensabile per vivere in una classe, oltre che nella società. E sono i genitori quelli che devono insegnare questo. Prima, molto prima che i loro figli entrino in una classe.
Gli insegnanti vivono oggi sotto la minaccia di scenate o di azioni legali di genitori che si infuriano se i loro figli vengono rimproverati, e questa minaccia influenza anche qualche dirigente, che a sua volta rimprovera e minaccia gli insegnanti che fanno arrabbiare i genitori, per evitare eventuali scenate o grane legali. E lo fanno anche se è del tutto evidente che la ragione è dalla parte degli insegnanti. E spesso sono insegnanti giovani, che adorano insegnare, ma che non hanno ricevuto la preparazione adeguata ad affrontare alunni difficili o educati male. Come nel caso di Leda.
Altre volte sono insegnanti con esperienza, che non sono preparati ad affrontare situazioni assurde.
Vorrei chiarire che non tutti i genitori sono persone che fanno una vita normalissima, con le difficoltà di tutti, con una mentalità di chi rispetta il prossimo.
Soprattutto nella scuola dell’obbligo, un insegnante può incontrare ogni tipo di genitore, se ci pensate: corretti, collaborativi, educati, rispettosi, affabili, ma anche violenti, disonesti o addirittura delinquenti dichiarati, appena usciti di prigione, o affetti da turbe psichiatriche più o meno gravi. Personalmente nella mia carriera credo di aver incontrato genitori di tutti i tipi, anche di quelli che alle 9 del mattino venivano al colloquio già ubriachi.
Si può capire quanto possa essere difficile rapportarsi con un certo tipo di genitore? E si può capire lo stress che comporta l'essere aggrediti mentre si sta facendo il proprio lavoro? Si può capire che cosa significa avere cinquant'anni ed essere sbeffeggiati da ragazzini di quattordici (con l'appoggio dei genitori iperprotettivi)?
Gli insegnanti sono stressati, sfiniti, perché devono difendersi dalla possibilità di essere umiliati dai ragazzini, e anche perché a volte hanno paura di vedere degenerare un colloquio. A volte gli episodi violenti finiscono sul giornale, altre volte no.

Allora: a Leda, a Eleonora, e alle persone che mi scrivono perché sono disperate, o sfinite dico: resistete. Non vi sentite incapaci perché vi capitano cose come queste: capitano a tutti. Cercate di dare il meglio di voi stessi, studiate, leggete per imparare ad affrontare ogni tipo di classe e ogni tipo di alunno. Buona parte delle vostre difficoltà – se ce la state già mettendo tutta- non è colpa vostra. 
Sentitevi in colpa se non siete preparati, se i ragazzi si annoiano a morte e sbadigliano o si mettono a chiacchierare. Ma non sentitevi in colpa se non riuscite a gestire una classe di venticinque o trenta alunni dove ci sono anche cinque o sei meleducati ai quali nessuno ha insegnato a rispettare voi e gli altri. Non sentitevi in colpa se non riuscite a gestire una classe in cui ci sono molti alunni ai quali nessuno ha spiegato che non si prende in giro, non si offende e non si insulta, non si risponde male, non si picchia.

E ai genitori – a certi genitori, non a tutti - dico: se l’insegnante non riesce a gestire la classe, è perché ha a che fare con un numero eccessivo di bambini (o ragazzi) educati male. E forse vostro figlio è uno di loro.
E ai genitori –tutti- dico: aiutate gli insegnanti. Cercate di capirli e di appoggiarli.

Leggete anche i post che seguono, per favore. 
Capire è importante per riuscire a comprendere. E forse per cominciare a cambiare le cose.



Il burnout degli insegnanti. Prima parte.

Il burnout degli insegnanti. Seconda parte.

Bambini difficili e maestre demoralizzate. Prima parte

Bambini difficili e maestre demoralizzate. Seconda Parte

"Storia di una insegnante distrutta". Prima parte

"Storia di una insegnante distrutta". Seconda parte 

mercoledì 18 gennaio 2017

Che cosa possiamo fare per chi sta vivendo il terremoto? 603° post

Ho scritto queste parole nel 2011. Non è cambiato nulla.

Ho bisogno di credere che tutto si aggiusterà. 

Essere circondati da tutto questo sfacelo senza essere in guerra è terribile. Guardiamoci intorno: non c’è nulla che si salva.
La furia degli elementi distrugge oggetti, case, vite e ricordi, e ci rammenta che l’Uomo può essere spazzato via da quella Natura che giorno dopo giorno lui violenta e uccide per i suoi interessi. Ogni tanto, sotto forma di alluvione, di terremoto, di epidemia, spazza via tutto e costringe l’Uomo ad interrogarsi.
E mentre questo accade, i politici si accusano a vicenda e si mostrano addolorati e coinvolti. Ma per loro, in realtà, non cambia assolutamente nulla. Mai.
Diluvia. E intorno a noi un amico è disoccupato, un fratello è sottoccupato, una zia è stata licenziata, le tasse aumentano e le pensioni calano, le tasche sono vuote. I figli non vogliono più studiare e forse abbiamo una figlia, laureata, che ha dovuto fare la cassiera al supermercato.
Il futuro fa paura. Quello dei nostri figli. Il nostro. Non sappiamo nulla di quello che ci aspetta. Non sappiamo se andremo in pensione prima che la nostra vita sia finita. Sappiamo che i nostri figli ci andranno chissà quando. Sappiamo che dovremo mantenerli noi perché non troveranno lavoro.
Questa è l’Italia in cui i nonni lavoreranno e i giovani staranno a casa.
Togliere i sogni a una persona è togliergli tutto. E questa è l’Italia in cui i ragazzi non potranno più sognare.
L’Italia dei privilegi, degli ammanicati, dei disonesti, degli sfruttatori e l’Italia delle ingiustizie, dei soprusi e degli sfruttati.
L’Italia delle fregature colossali.
E la fregatura più grossa è quella che ricevono questi nostri sfortunati figli, che avrebbero dovuto vivere in un mondo migliore di quello della guerra e che si trovano ad essere specchio del mondo sporco che abbiamo loro lasciato in eredità. Li hanno resi incapaci di affrontare le difficoltà e adesso li fanno vivere in un mondo pieno zeppo di problemi. Hanno instillato in loro il demone del consumismo, togliendo subito dopo la possibilità di acquistare.
E l’altra grossa fregatura è per noi, che abbiamo lottato tanto – molto tempo fa – per un mondo migliore. E abbiamo ottenuto solo di diventare schiavi, legati al posto di lavoro come cinesi negli scantinati.
In nome di una ipotetica speranza di vita ci tolgono la speranza di vivere la nostra vita.
E mentre i politici gozzovigliano, fingono di litigare, o litigano per le poltrone, godono di privilegi assurdi e, senza vergogna, chiedono a noi i sacrifici per porre rimedio ai danni che proprio loro hanno procurato all’Italia, noi vediamo sfumare tutti i nostri progetti per il futuro: prima di tutto vedere i nostri figli lavorare, costruire la loro vita onestamente, migliorando la loro condizione, e subito dopo poterci permettere un po’ di riposo, un luogo dove vivere in modo confortevole, dopo aver lavorato tutta la vita.
Se avevamo rinunciato a tante piccole soddisfazioni per mettere da parte un gruzzoletto per le necessità e per la vecchiaia, ora ci dicono che forse andrà in fumo e non varrà più nulla, o forse dovranno metterci mano, o forse dovremo usarlo per mantenere noi e i nostri figli perché non ci sono più soldi per le nostre pensioni. Per le loro, invece, ci sono.
Ho bisogno di credere che dopo i temporali e le alluvioni tornerà il bel tempo. Che la gente tornerà ad essere onesta. Che i privilegi verranno cancellati e l’Italia diventerà finalmente un Paese più giusto, più bello.
Ho bisogno di credere che il peggio è passato, che sta per cominciare una nuova era, che la gente tornerà a fare progetti e a sorridere, e che tutto si aggiusterà.
Incrociamo le dita. Ma facciamo qualcosa per ribellarci a questa situazione."

Il  terremoto che continua a flagellare l'Italia è un fenomeno naturale, ma le persone che lo vivono, giorno dopo giorno, vivono un incubo.
Che cosa possiamo fare per loro? Avevo detto che avrei lasciato passare un po' di tempo e poi avrei lanciato una raccolta fondi per aiutare i bambini di una scuola. Non la scuola, per comperare banchi, sedie o lavagne LIM, ma i bambini: astucci, penne, matite colorate, zaini, libri da leggere. Qualcosa che possano portarsi a casa.
Adesso è arrivato il momento. Vorrei che qualcuno mi aiutasse a contattare telefonicamente il dirigente di una scuola terremotata ben precisa, in modo che io possa chiamare e  poi organizzare una raccolta con la certezza che i soldi vadano dove devono andare. E ci vanno, se li mandiamo a una scuola.
C'è qualcuno che può aiutarmi? O che ha delle idee precise ? Qualcuno di quei posti, ovviamente.

Fatemi sapere
professoressamilani@alice.it

Grazie! Aspetto

martedì 17 gennaio 2017

Insegnanti disperati. Prima parte . 602° post

Ci sono lettere, come queste, alle quali vorrei rispondere subito e non mi riesce. Avrebbero bisogno di pagine e pagine di risposta e allora rimando, mi riprometto di scrivere un intero post e così passa il tempo. Ricevo diverse lettere come queste. Se qualcuno non capisce perché insegnare è così difficile  e che cosa significa “burnout” (“bruciarsi”, provare un intenso stress legato al lavoro), può capirlo da queste lettere. Tutti i lavori possono essere faticosi, faticosissimi, ma non molti portano al burnout e alla disperazione. Chi non è insegnante paragona spesso il lavoro che fa con quello che pensa che sia quello dell’insegnante e arriva alla conclusione che sia ugualmente faticoso. Io credo di no. Credo che quella che può provare un insegnante che non riesce a fare il suo lavoro sia disperazione e non stanchezza. Disperazione e umiliazione. E non per mancanza di impegno. Proprio perché insegnare può essere difficilissimo. Specialmente oggi in cui non abbiamo più l’appoggio dei genitori. Anzi, spesso il nostro lavoro viene reso ancora più  difficile sia dall’assenza di regole nell’educazione familiare che dall’iperprotezione dei genitori.
Scelgo due lettere fra quelle degli insegnanti che mi hanno scritto negli ultimi mesi. Una ha 24 anni e nessuna esperienza e l’altra ne ha 52 e vent’anni di esperienza. Non è questione di età e non è questione di esperienza.

Leda mi scrive:

“Buongiorno Isabella,
sono davvero disperata, sono al limite, sul fondo e non so a chi chiedere consiglio. Inizio dal principio. Ho 24 anni, a luglio mi sono laureata, ho trovato lavoro come maestra d'asilo e poi, da un giorno all'altro, come prof. di lettere alle medie in un istituto paritario. Ho subito accettato perché è da sempre quello che avrei voluto fare. Con le lacrime agli occhi mi sono licenziata dall'asilo ed ho iniziato a lavorare alle scuole medie, letteralmente da un giorno all'altro. Mi sono rimboccata le maniche dal primo giorno: non volevo fallire. Ho sempre voluto insegnare, ma non avrei mai immaginato che mi sarei trovata così male. Mi hanno telefonato un sabato ed il lunedì ero già in cattedra: due classi di trenta alunni alle medie. Ero partita con tanta buona volontà, ma spesso passo i pomeriggi a piangere perché mi sento una fallita. Non ho problemi con le spiegazioni, le attività, le domande, ma ho dei problemi a gestire le classi, in particolare una. Il punto è che mi sento davvero lasciata in balia di me stessa, un’inetta che non sa fare questo mestiere che ho sempre invece voluto intraprendere. Ogni mattina mi sveglio scontenta e vado a scuola sperando nel minore dei mali. A volte mi sento impotente e guardo con invidia i colleghi che mi sembrano tutti più bravi di me. Non mi sento né adeguata, né all’altezza. Ai colloqui i genitori mi dicono che i figli sono contenti del mio modo di insegnare, ma allora non capisco perché non possano fare meno baccano. Ti giuro che mi sforzo di rendere le lezioni appassionanti, di rispondere a tutti i loro dubbi. Faccio fare ricerche che loro amano, sono riuscita a fare amare a molti la storia, raccontandola in modo avvincente, hanno fatto miglioramenti in grammatica, ma nel complesso sento di non stare andando per niente bene per via del loro comportamento. Sono stanca, frustrata, insoddisfatta, infelice.
I ragazzi parlano, ridono e si distraggono in continuazione, benché alcuni mi dicano che le mie lezioni sono interessanti e belle. In una classe, poi, non studiano, non fanno i compiti ed un’attività piacevole come la lettura di un libro diventa impossibile. Certi genitori mi hanno detto che i ragazzi a casa sono contenti della nuova insegnante di italiano, che spiega bene e che rende interessanti storia e geografia. Sono sempre stata abituata a lavorare sodo e a cogliere i frutti, sono sempre stata brava in tutto ciò che ho fatto e non accetto di non essere in grado di tenere una classe.
Ho vergogna a stare con i miei colleghi perché temo che loro sappiano della mia inettitudine e la preside mi sta “con il fiato sul collo” perché forse pensa pure lei che io sia incapace. Ho un carattere timido e riservato ma quando serve, mi trasformo in un leone. In classe sono sempre in piedi, scrivo alla lavagna, faccio domande, approfondimenti, faccio ragionare.  Ma non è abbastanza. Quando ho un’ora buca mi fermo fuori dalle porte per sentire come i colleghi fanno lezione e non trovo significative differenze dalla mia, però hanno di certo più silenzio. Pensi che dall’inizio dell’anno mi sarò seduta in cattedra tre volte: sono sempre sull’attenti e la tensione mi sta consumando. Sto lavorando sull'autorevolezza come c'è scritto sul suo libro. In classe faccio così, ho una bella voce sicura e profonda, mi muovo tra i banchi, cerco di trasmettere passione, se qualcuno non si comporta bene lo sgrido, se necessario metto note. Ma non è abbastanza. Il punto è che in classe cerco di essere rigida: ho detto quali sono le regole da rispettare, chi disturba riceve una nota o un compito extra. Ma nulla serve a qualcosa.
Un’ora stanno buoni e l’ora dopo è l’inferno. A volte i ragazzi parlano e schiamazzano; sento di essere imperfetta, di non sapere sempre cosa fare, percepisco che a volte mi manca la fermezza e la capacità di controllare tutto e spesso sento che la situazione mi scivola dalle mani. L'altro giorno è entrata in classe un'ape e i ragazzi hanno urlato. La preside mi riprende in continuazione perché dice che i ragazzi non mi rispettano, ma su 10 lezioni 7 scorrono senza problemi e la preside è magicamente presente solo in quelle dannate tre in cui i ragazzi sono stanchi. Perché, tra l'altro, ho sempre le seste ore. I continui richiami della preside, la parola "licenziamento" che serpeggia nei suoi rimproveri, mi stanno consumando l'anima.
Al mattino, quando sono in macchina, mi viene sempre da piangere perché non so cosa potrà accadere quel giorno. Pensavo di aver realizzato il mio sogno, ma invece sto vivendo un incubo. Mi stanno divorando.
Sono davvero stanca. Non ce la faccio più. La prego, mi dia qualche consiglio.
Grazie di cuore e perdoni lo sfogo. Leda"

Eleonora mi scrive:

“Buonasera.
Sono un'insegnante di sostegno di scuola primaria. Ho 52 anni e venti anni di servizio. Quest'anno la tragedia è iniziata il 20 settembre, quando un mio alunno HC di quarta , per vendicarsi di un mio rimprovero, ha detto a suo padre che" lo avevo strozzato". Famiglia disfunzionale, padre perennemente disoccupato, violento, pazzo. Madre depressa con malattia psichiatrica. Il padre quindi è venuto a scuola minacciandomi: non era la prima volta, né la prima volta che il bambino inventava qualcosa, le prime settimane di ogni anno scolastico ha sempre inventato che la collega o io lo picchiavamo (seguivo il bambino sin dalla prima). Quest'anno ho dato un alto là, non ne potevo più, senza contare che sua moglie per tutta l'estate mi aveva tormentata al telefono a tutte le ore, dalla mattina presto alla sera tardi, otto dieci quindici volte al giorno e tutti i giorni. Ero esasperata: il padre lo sapeva che non era vero, ma mi sono sentita offesa e qualche giorno dopo quando l'ho incontrato fuori dalla scuola e ha cercato di fermarmi mi sono rifiutata di parlare con lui e l'ho invitato a prendere un appuntamento o a rivolgersi al dirigente. La reazione è stata immediata: mi ha gridato dietro che mi avrebbe tolto il figlio e così ha fatto. E' andato dalla dirigente chiedendole di togliermi dalla classe e ha portato il bambino al servizio SMREE a parlare con la psicologa: qui il bambino ha ripetuto la storia dello strozzamento e ha detto alla dottoressa che non voleva più lavorare con me. E' iniziato l'inferno. In quella classe seguivo anche un altro bambino, ho avuto tutti gli alunni e i genitori dalla mia parte, la collega mi ha appoggiata ma non ho potuto fare altro che scegliere di lasciare la continuità sulla classe e prendere altri casi. Tutto questo mentre venivo insultata infangata e minacciata su facebook. Ho fatto molto per quel bambino e per tutti i bambini che ho seguito sin dall'inizio della mia carriera. Ho sempre studiato molto, mi sono sempre aggiornata e formata, non avrei mai immaginato di finire in un incubo simile. Ho deciso di dimettermi. Non so cosa farò, ma non ce la faccio più. Per gli insegnanti sono momenti bui: troppe riforme capestro e troppe ingerenze sul lavoro. Troppi problemi di mancanza di rispetto, gli alunni sono intrattabili, le famiglie impossibili, le classi numerose. C'è troppa ignoranza e violenza, non si può continuare così.
Sono disperata, non riesco più a lavorare. Eleonora”

Continua


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