La professoressa Isabella Milani è online

La professoressa Isabella Milani è online
"ISABELLA MILANI" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy dei miei alunni, dei loro genitori e dei miei colleghi. In questo modo ciò che descrivo nel blog e nel libro non può essere ricondotto a nessuno.

visite al blog di Isabella Milani dal 1 giugno 2010. Grazie a chi si ferma a leggere!

SCRIVIMI

all'indirizzo

professoressamilani@alice.it

ed esponi il tuo problema. Scrivi tranquillamente, e metti sempre un nome perché il tuo nome vero non comparirà assolutamente. Comparirà un nome fittizio e, se occorre, modificherò tutti i dati che possono renderti riconoscibile. Per questo motivo, mandandomi una lettera, accetti che io la pubblichi. Se i particolari cambiano, la sostanza no e quello che ti sembra che si verifichi solo a te capita a molti e perciò mi sembra giusto condividere sul blog la risposta. IMPORTANTE: se scrivi un commento sul BLOG, NON FIRMARE CON IL TUO NOME E COGNOME VERI se non vuoi essere riconosciuto, perché io non posso modificare i commenti.

Non mi scrivere sulla chat di Facebook, perché non posso rispondere da lì.

Ricevo molte mail e perciò capirai che purtroppo non posso più assicurare a tutti una risposta. Comunque, cerco di rispondere a tutti, e se vedi che non lo faccio, dopo un po' scrivimi di nuovo, perché può capitare che mi sfugga qualche messaggio.

Proprio perché ricevo molte lettere, ti prego, prima di chiedermi un parere, di leggere i post arretrati (ce ne sono moltissimi sulla scuola), usando la stringa di ricerca; capisco che è più lungo, ma devi capire anche che se ho già spiegato più volte un concetto mi sembra inutile farlo di nuovo, per fare risparmiare tempo a te :-)).

INFORMAZIONI PERSONALI

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La professoressa Milani, toscana, è un’insegnante, una scrittrice e una blogger. Ha un’esperienza di insegnamento alle medie inferiori e superiori più che trentennale. Oggi si dedica a studiare, a scrivere e a dare consigli a insegnanti e genitori. "Isabella Milani" è uno pseudonimo, scelto per tutelare la privacy degli alunni, dei loro genitori e dei colleghi. È l'autrice di "L'ARTE DI INSEGNARE. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi", e di "Maleducati o educati male. Consigli pratici di un'insegnante per una nuova intesa fra scuola e famiglia", entrambi per Vallardi.

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domenica 29 gennaio 2012

“Non voglio avere ragazzi in presidenza. Le classi dovete saperle gestire voi!” . 278°

Augusto mi scrive:
“Gentilissima professoressa Milani, questo è un po’ uno sfogo e nello stesso tempo la richiesta di un suggerimento. Sono appena al mio terzo anno di insegnamento (secondo di ruolo) come docente di scuola media e non sono giovane. Quest’anno, lavoro in una scuola difficile e ho ben 10 classi (contratto di 20 ore).
Tutto il corpo docente ha difficoltà nel farsi rispettare perché l’ineducazione è forte e imperante e in particolare le classi più difficili sono risultate ….. le prime! Io invece ho grossi problemi in due seconde. Ho cambiato varie e sempre meno valide strategie didattiche ma il risultato non è cambiato. Nonostante i forti richiami e le numerose note (solo note relative al mancato e reiterato rispetto degli altri e dell’ insegnante. e mai sui doveri scolastici) che scrivo solo a seguito di comportamenti che non possono essere tollerati per chi ha un minimo di dignità professionale e non solo, non ottengo nessun risultato soprattutto perché, prima il coordinatore, poi vicaria e Dirigente non le ritengono così gravi da prendere provvedimenti. In realtà ultimamente anche coordinatori e vicaria stanno dimostrando esasperazione.
Alla fine della mia primissima ora in una delle due seconde (un’ora e non sarà la sola, di totale inferno!) ho trovato un mio quaderno personale a terra con tutti i fogli sparsi per l’aula; un'altra volta sono statobloccato in classe per impedire di chiamare il bidello per far chiamare i genitori di un alunno; un ragazzo seduto accanto alla cattedra si permette di fare linguacce al compagno interrogato e dopo essere stato severamente richiamato sferza pure un calcio sempre all’interrogato; alunni escono senza permesso e non rientrano in classe; un alunno assente si presenta a metà della quarta ora col solo scopo di aizzare confusione urla e fischi (come ha fatto ad entrare a scuola ed arrivare in classe?); non si riesce a fare lezione a scapito di quei pochi che invece vorrebbero fare qualcosa. Io trascrivo tutto sul registro soprattutto quelle situazioni che potrebbero compromettermi, ma ripeto scrivo solo i fatti gravi. Questi non sono comportamenti degni di adeguati e severi provvedimenti disciplinari? Gira voce (ma molti mi dicono che sono solo scuse) che i ragazzi non hanno accettato il nuovo insegnante perché legati al vecchio se pure quest’ultimo mi risulta altrettanto severo. Ma questo non può giustificare il non rispetto sferzante dell’insegnante! Ora anche i genitori ti chiudono il telefono in faccia e il dirigente cosa ti risponde? “È così e sarà sempre peggio!; non voglio avere ragazzi in presidenza, le classi dovete saperle gestire voi! Le note gravi sono solo sue e per questo non faccio un consiglio straordinario.” Ma il dirigente in classe non c’è ed anzi non è neanche a scuola perché facciamo lezione di pomeriggio dovendo dividere le aule con le elementari e la dirigente viene a scuola solo di mattina, raramente si fa vedere di pomeriggio e non ha mai assistito all’infernale uscita dei ragazzi.
Ho messo in discussione la mia inesperienza (eppure finora, nelle altre scuole, sono stato elogiato per il mio rigore morale e la mia severità che comunque alla fine ha prodotto un rapporto di stima reciproca con gli alunni) ma in ore di compresenza con insegnanti con lunghi anni di attività nella stessa scuola ho assistito a comportamenti di pari gravità; se passi per i corridoi nell'ora libera è tutto un rumore di urla, fischi proveniente dalle classi e di ragazzi per i corridoi e bagni che passeggiano tranquillamente. Metto anche in discussione il disagio logistico; ma come ci si può adeguare ad un tale fallimento professionale e sociale? Non crede che il dirigente stia venendo meno ai suoi doveri? Non dovrebbe collaborare con i docenti a tutelare il lavoro di questi e degli alunni che vengono a scuola per apprendere? Con quali forme posso invitare il dirigente a prendersi le responsabilità che gli competono e tutti insieme cercare di riprendere la situazione?
I colleghi? Hanno buttato la spugna e arrancano sempre più stanchi. Io non voglio fare l’eroe, voglio solo che mi si diano gli strumenti per poter insegnare ai ragazzi che vogliono apprendere e recuperare almeno in parte bulli e maleducati. Un mio desiderio pratico? poter mandare immediatamente a casa, lezione per lezione, anche con l'aiuto delle forze dell'ordine, i ragazzi che ti impediscono di lavorare: prima o poi i genitori dovranno pur stufarsi di averli tra i piedi. La ringrazio. Augusto”
Caro Augusto, hai letto il mio libro? Hai letto il resto del blog? Mi sembra di no. Ci sono molte indicazioni, che non vorrei dover ripetere. Ti farò, però, notare alcune cose.
Un concetto che devi tener sempre presente è questo: non devi aspettarti aiuto dal dirigente, soprattutto per la gestione della classe. Non glielo devi chiedere, perché non è compito suo. Tu sei andato a chiedergli di intervenire e lui ti ha risposto: “È così e sarà sempre peggio!; non voglio avere ragazzi in presidenza, le classi dovete saperle gestire voi! Le note gravi sono solo sue e per questo non faccio un consiglio straordinario.” Non c’è da stupirsi: è vero. Spesso sono molto critica con il dirigente che si lava le mani di fronte alle grane, ma in questo caso no. Non è suo dovere tenere la disciplina nella tua classe. E’ compito tuo. Se il consiglio di classe non si lamenta, perché vuoi che il dirigente convochi tutti? Vuoi che se lo mangino? Vuoi che si mangino te per averli fatti andare a scuola perché tu non riesci a tenere la disciplina? Nella scuola c’è un regolamento: applicalo. Se i colleghi non ritengono di dare provvedimenti disciplinari devi chiederti perché. Forse sono consapevoli del fatto che se non riescono a tenere la disciplina è colpa loro. Forse la confusione che senti è considerata fisiologica da quei docenti. Perché non ne parli con loro, chiedendo perché non prendono provvedimenti, visto che c’è confusione anche nelle loro ore?
Tu scrivi: “Nonostante i forti richiami e le numerose note”. Non va bene. Le note non servono. Tante note equivalgono a nessuna nota. Se sei costretto a fare tante note devi chiederti perché ti mancano di rispetto. I comportamenti che hai descritto sono gravissimi. Non solo hanno dato un calcio ad un compagno in tua presenza, ma sono arrivati ad aggredirti fisicamente, impedendoti di andare a chiamare il bidello. Sì, è un’aggressione fisica, non c’è dubbio. Ma scherzi? Devi reagire come si reagisce ad una aggressione grave: devi diventare furibondo! Ma, attenzione, non devi perdere la calma, o, peggio, urlare con la voce rotta dalla rabbia o, ancora peggio, offenderli. Devi apparire offeso, sconvolto dalla sorpresa: devono capire di averla fatta grossa. Se questo non accade non puoi più recuperare nulla. E poi: volevi chiamare addirittura i genitori di un alunno, Augusto? Per dimostrare così anche a loro che non sei capace di tenere a bada un ragazzino? Se lo ritieni necessario li convochi un altro giorno. Mettiti dalla parte dei ragazzi che vedono che il professore non riesce a gestire il ragazzino e va a chiamare la mamma (la sua, ma è come se chiamassi la tua). Ti hanno dimostrato che temono i genitori e non il tuo giudizio.
Concludi dicendo “Un mio desiderio pratico? poter mandare immediatamente a casa, lezione per lezione, anche con l'aiuto delle forze dell'ordine, i ragazzi che ti impediscono di lavorare: prima o poi i genitori dovranno pur stufarsi di averli tra i piedi”. Caro Augusto, credo che questi tuoi sentimenti (sostanzialmente di rifiuto) verso i ragazzi difficili traspaiano chiaramente. Credimi, probabilmente questo contribuisce a rovinare il tuo rapporto con loro, perché lo percepiscono: semini vento e raccogli tempesta. Tu (e deve essere chiaro anche per i ragazzi) devi volerli aiutare, se vuoi essere un buon insegnante. Anche se ti fanno arrabbiare. Anche se sono difficilissimi. Il lavoro dell’insegnante non è “mandare immediatamente a casa, lezione per lezione, anche con l'aiuto delle forze dell'ordine, i ragazzi che ti impediscono di lavorare”. Tu stai lavorando quando li tieni in classe e li aiuti. Se li cacci via non stai più lavorando. Se ti fosse permesso di mandarli a casa li avresti rifiutati. Non è questo il lavoro dell’insegnante. A tutti noi è capitato di arrabbiarci di fronte ai ragazzini difficili, ma solo superficialmente. Poi ha il sopravvento la ragione e ci ricordiamo che è il nostro lavoro e dobbiamo insegnare loro a comportarsi correttamente.
Caro Augusto, spero di averti aiutato, anche se non è questo che avresti voluto sentirti dire. A volte, però, per aiutare qualcuno gli si devono fare notare gli errori.
Fammi sapere.

P.S. leggete (o rileggete) questo mio provocatorio post.

venerdì 27 gennaio 2012

Giornata della memoria: perché dobbiamo ricordare. 277°

Le parole che seguono non sono mie. Sono parole di chi ha vissuto la Shoah, direttamente o indirettamente. Leggetele ai ragazzi, perché non dimentichino. Leggetele oggi, che è la giornata della memoria. Ma anche in un giorno qualsiasi dell’anno. E ricordiamo loro che tutti i genocidi, di tutti i colori – fascisti, nazisti, comunisti, o di altra origine – sono una barbarie da non dimenticare.

"Sorgono allora delle domande: perché dobbiamo ricordare? E che cosa bisogna ricordare?

Bisogna ricordare il Male nelle sue estreme efferatezze e conoscerlo bene anche quando si presenta in forme apparentemente innocue: quando si pensa che uno straniero, o un diverso da noi, e' un Nemico si pongono le premesse di una catena al cui termine, scrive Levi, c'e' il Lager, il campo di sterminio." Vittorio Foa

°°°°

"Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare."
Rev. Martin Niemoller

°°°°

"... sentii gridare e vidi Bruna correre verso la rete ad alta tensione. Dall’altra parte il figlio stava a guardarla.
Vieni dalla tua mamma! - gridava Bruna con le braccia tese. - Vieni dalla tua mamma, Pinin! Corri!
Il ragazzo ebbe un attimo di esitazione. Ma la madre seguitò a chiamarlo, e allora si precipitò verso la rete invocando: "Mamma! Mamma!". Raggiunse i fili, e nell’istante in cui le piccole braccia si saldavano a quelle della madre, ci fu uno scoppiettio di fiamme violette, un ronzio si propagò sui fili violentemente urtati, infine si sparse intorno un acre odor di bruciato...
Prima di allontanarmi mi voltai: Bruna e Pinin erano ancora là strettamente abbracciati e la testa della madre posava su quella del figlio come volesse proteggerne il sonno."

Liana Millu Il fumo di Birkenau , Firenze, Giuntina, 1995

°°°°

Elie Wiesel, La notte

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, ed i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai."

°°°

Mercoledì 8 luglio 1942
Nasconderci! dove dovremmo nasconderci, in città, in campagna, in una casa, in una capanna, quando, come, dove…? Erano problemi ch'io non dovevo pormi, e che tuttavia continuamente riaffioravano. Margot e io cominciammo a stipare l'indispensabile in una borsa da scuola. La prima cosa che ci ficcai dentro fu questo diario, poi arricciacapelli, fazzoletti, libri scolastici, un pettine, vecchie lettere; pensavo che bisognava nascondersi e cacciare nella borsa le cose più assurde. Ma non me ne rammarico, ci tengo di più ai ricordi che ai vestiti.

Venerdì 24 dicembre 1943

Cara Kitty,
quando viene qualcuno di fuori, col vento negli abiti e il freddo nel viso, vorrei ficcare la testa sotto le coperte per non pensare : " Quando ci sarà di nuovo concesso di respirare un po' d'aria fresca?" […]
Credimi, quando sei stata rinchiusa per un anno e mezzo, ti capitano dei giorni in cui non ne puoi più.
Sarò forse ingiusta e ingrata, ma i sentimenti non si possono reprimere .
Vorrei andare in bicicletta, ballare, fischiettare, guardare il mondo, sentirmi giovane, sapere che sono libera, eppure non devo farlo notare perché, pensa un po', se tutti e otto ci mettessimo a lagnarci e a far la faccia scontenta, dove andremo a finire ? A volte mi domando : " Che non ci sia nessuno capace di comprendere che, ebrea o non ebrea, io sono soltanto una ragazzina con un gran bisogno di divertirmi e di stare allegra ?

molto strano che io non abbia abbandonato tutti i miei sogni perché sembrano assurdi e irrealizzabili. Invece me li tengo stretti, nonostante tutto, perché credo tuttora alla bontà dell'uomo. Anne Frank". Dal “Diario di Anna Frank”.

°°°°

"Alla radio scrivo un giorno una lettera per partecipare a un gioco, forse un concorso. Sono ancora nel cerchio di mia madre e così corro a fargliela leggere, prima d’imbucare il foglietto nitido dove ho sforzato la scrittura al meglio.
"Cara radio" comuncia la letterina, sono una bambina ebrea…". Mia madre legge e con grande gesto come di teatro comincia a strappare il foglio scritto in pezzi sempre più piccoli. La guardo sbalordita: che grande errore ci può mai essere? E anche se c’è da correggere, perché questo insolito rompere tutto? Dispetti così la mamma non li aveva mai fatti. Mamma non sembra arrabbiata, anzi, è quasi allegra e butta i pezzetti del mio lavoro come se fossero coriandoli di carnevale. La guardo irosa e offesa. Anche mamma mi guarda, ma con una specie di ilare indulgenza: "Non sei una bambina ebrea, hai capito? Hai capito? Sei una bambina e basta". Da “Una bambina e basta” di Lia Levi

***

L'arrivo al campo.

“Sono stato arrestato a Roma con la mia famiglia. La notte del 17 maggio del ’44 ci misero in 64 in un vagone. Fu un viaggio allucinante, tutti piangevano, i lamenti dei bambini si sentivano da fuori, ma nelle stazioni nessuno poteva intervenire, sarebbe bastato uno sguardo di pietà. Le SS sorvegliavano il convoglio. Viaggiavamo nei nostri escrementi: Fossoli, Monaco di Baviera, Birkenau-Auschwitz I. arrivammo dentro il campo di concentramento, dalle fessure vedevamo le SS con i bastoni e i cani. Scendemmo, ci picchiarono, ci divisero. Formammo due file, andai alla ricerca dei miei fratellini, di mia madre, noi non capivamo, lei sì: mi benedì ala maniera ebraica, mi abbracciò e disse “andate”. Non l’ho più rivista. Mio padre, intanto, andava verso la camera a gas con mio nonno. Si girava, mi guardava, salutava, alzava il braccio. Noi arrivammo alla “sauna”, ci spogliarono, ci tagliarono anche i capelli. E ci diedero un numero di matricola. “Dove sono i miei genitori?”, chiesi a un altro sventurato. E lui rispose: “Vedi quel fumo del camino? Sono già usciti da lì”.

Testimonianza di Piero Terracina, deportato ad Auschwitz. Liberato il 27 gennaio 1945.

°°°

"…Viene quindi requisito uno spazzolino da denti, un servizio di posate comprendente 38 posate , n° 15 bicchieri di cristallo, una radio, una bambola con testa ed arti in porcellana, un cavallo a dondolo in legno, un trenino di ferro (una locomotiva, 4 vagoncini e relativi binari) una bandiera con stemma sabaudo…" Da un documento.

martedì 24 gennaio 2012

Eccoci arrivati di nuovo al giorno della Memoria. 276°

27 gennaio. “Giorno della Memoria”. Abbiamo dovuto istituire un giorno apposta, per ricordarci di non dimenticare.

Noi insegnanti di Storia lo spieghiamo ogni anno, che cosa è stata la Shoah. I ragazzi devono sapere, perché il ricordo collettivo svanisce, se non lo si richiama alla mente. È nostro dovere, farlo.

E per me, ogni volta, è come la prima volta. Ogni volta provo lo stesso dolore, la stessa rabbia, la stessa incredulità, e non so spiegarmi come sia potuto accadere. Ho urgenza di raccontare tutto ai miei alunni perché provo anche paura, perché so che quello che è accaduto una volta, anche soltanto una volta, può accadere di nuovo. È questo che dobbiamo insegnare ai nostri figli e ai nostri alunni. Ad aver paura dell'odio.

Devono sapere che quello che è accaduto durante la seconda guerra mondiale nei campi di sterminio accade ancora in certe parti del mondo. Anche in questo momento, mentre mangiamo un cioccolatino, mentre leggiamo o scriviamo queste parole. E non lo sappiamo. O, se lo sappiamo, non facciamo nulla. Almeno, quindi, cerchiamo di fare in modo che si sappia che l’Essere umano è capace di queste atrocità, se gli si permette di dare sfogo al suo egoismo e alla sua pazzia.

Per capire che cosa è davvero accaduto e che cosa accade ogni volta che qualcuno picchia, o stupra, o umilia, o affama o toglie la libertà a un suo simile, pensiamoci bene. Dedichiamo un momento ad immedesimarci nella situazione.

C’è un uomo che guarda con disprezzo e odio un altro uomo perché è ebreo. O nero. O arabo. O gay. O comunista. Non gli ha fatto nulla. Non lo conosce. Qualcuno ha deciso che lo deve odiare e lui lo odia, con tutto se stesso. Desidera fargli del male, allontanarlo, picchiarlo, umiliarlo, deriderlo, annientarlo, ucciderlo. Senza un vero “perché”. E lo fa.

Gli ebrei sono stati strappati alle loro case. Ditelo ad ogni ragazzo, uno per uno.

Immagina che un giorno arrivi qualcuno che dice che tu e la tua famiglia dovete andarvene dalla vostra casa. Così, come siete. Vi portano via, brutalmente e senza nessuna giustificazione se non quella assurda di un odio fine a se stesso.

L’intolleranza porta all’odio, e l’odio può portare alla violenza e allo sterminio.

Il ricordo delle sofferenze dei campi di concentramento e di sterminio, del freddo, della fame, delle umiliazioni, della morte, sono per me meno dolorose dell’immaginare anche solo per un attimo il dolore atroce del momento in cui con un secco ordine ti urlavano “Gli uomini di qua e le donne di là!” e ti strappavano dall'abbraccio le persone che amavi, il marito, il fratello, la madre, il figlio, la figlia, indifferenti alle tue urla e alla tua disperazione. E ancora più terribile è immaginare la disperazione del vederti portare via i tuoi bambini piccoli, e sapere che li avrebbero condotti a morire.

La pietà è un sentimento indispensabile per un Uomo civile. Altrimenti l'Essere umano è ancora allo stato ferino.

Allora, mi raccomando, non dimenticate che è indispensabile ricordare.

Non dimentichiamo, e insegniamo ai ragazzi che l’intolleranza porta all’odio, e l’odio può portare alla violenza e allo sterminio. Ce lo insegna la Shoah. E non solo.


Rileggete anche questo post, a complemento.


sabato 21 gennaio 2012

Si chiamava Thomas Alberto Costilla Mendoza. 275°

Si chiamava Thomas Alberto Costilla Mendoza. Un nome lungo e importante, come tutti i nomi sudamericani, ma assegnato a un semplice addetto alle pulizie che ha finito la sua vita sulla Costa Concordia, fra gli scogli dell’isola del Giglio, nelle acque del bellissimo mare italiano.

Thomas Alberto, detto Beto. Lo troviamo su facebook.

Era nato e viveva in Perù, a Trujillo. Aveva studiato al Colegio Antonio Raymondi. Il suo libro preferito era “Il Codice Da Vinci”. Amava i film d’azione, le notizie e gli sport, soprattutto il calcio a cinque e la pallacanestro.

Adesso lavorava per Costa Crociere. Sarà stato contento, anche se aveva promesso alla sua amica Carla Paola Naranjo Sandoval di non imbarcarsi più.

Aveva 76 amici.
Nell’era di facebook il libro delle facce a volte diventa un po’ anche il libro dei morti.

I profili di facebook di chi muore rimangono lì per chissà quanto, seppelliti nel web come in una tomba virtuale, conservando foto, battute, commenti, “mi piace”, fermi ad un certo giorno.

Il 27 ottobre 2011 alle 2,25 di notte, forse in una pausa delle pulizie, aveva condiviso la foto della sua amica Sheyla Reyes e le aveva scritto un allegro “Hola Sheyla”. Anche Sheyla, peruviana come lui, era un membro dell'equipaggio del Costa Concordia. Se c'era, lei si è salvata.

Thomas Alberto Costilla Mendoza era un uomo di circa cinquant’anni, un po' tarchiato, basso come un peruviano tipico. Capelli neri, occhiali e occhi da indio.

Nessuno potrà più diventare suo amico.

I suoi amici, Harry, Juan Julio, Edson, Carlos, Eduardo, Victor Roman e Francisco Javier, che sorridono con lui nelle foto, avranno già saputo la notizia.

Altri stanno cominciando ad arrivare sulla sua pagina facebook, dove sono venuti a cercarlo alla notizia della sua morte. E scrivono qualche frase sulla sua bacheca, o a commento delle sue foto, nella speranza che qualcosa ci sia, e che gli arrivi il messaggio, là dove è andato a finire.

“Per noi sei stato, e sarai sempre il migliore dei figli, fratello, zio.” “Per noi sarai sempre nel nostro cuore. Non sei andato via, sei qui con noi, presente nella nostra mente e nel nostro cuore”. “Ora sei vicino al tuo vecchietto, che amavi tanto. Lui sarà contento perché sei già vicino a lui”.

“Riposa in pace, mio caro amico. Ti porterò sempre con me”.

Si chiamava Thomas Alberto Costilla Mendoza. Solo ora so che è vissuto.

Gli ho chiesto l’amicizia, anche se so che non potrà più confermare.

Quando succedono queste tragedie non muoiono dei numeri, dei nomi sulla carta.

Muoiono delle persone, delle vite.

giovedì 19 gennaio 2012

Sbatti il mostro in prima pagina (senza farti troppi problemi). 274°

Il mostro sbattuto in prima pagina è il comandante della Costa Concordia, Francesco Schettino.
Ovviamente trovo inqualificabile il suo comportamento. Ma non è su questo che voglio riflettere.
In questo momento, se digito “Francesco Schettino” su Google, mi escono più di 12 milioni di risultati; per “comandante Schettino” sono 80.000, per “vada a bordo, cazzo”, ce ne sono 1 milione e 300.000.
I mezzi di informazione – giornalisti della carta stampata, della televisione e di internet; presentatori di programmi televisivi fatti apposta per sviscerare tutto lo sviscerabile delle malefatte delle persone comuni (ma non dei pezzi grossi) - hanno dato in pasto agli italiani e al mondo il comandante Schettino perché potessero spolparlo vivo.
La società assomiglia sempre di più a una enorme arena dove i potenti offrono al popolino spettacoli cruenti: la gente si eccita e con morbosa curiosità urla e punta il dito per sostenere il gladiatore preferito e per scommettere su chi soccomberà.
Oggi non ci sono gladiatori, tigri, leoni. Ci sono conduttori televisivi e giornalisti che danno in pasto alla folla notizie studiate apposta per far sentire l’odore del sangue, il dolore, la crudeltà. E quando gli spettatori sono eccitati, inferociti, disgustati ben bene, chiedono loro che cosa ne pensano. Che cosa ne pensano? Pensano quello che vogliono i media, è evidente!
Di uno pensano che è un assassino, di un altro che è un eroe. Poi c’è la vittima innocente. La vittima salvata dal bruto, e così via. Tutto già deciso.
Ogni assassinio, ogni sequestro di persona, ogni stupro, ogni terremoto o tsunami è oggi l’occasione per un’inchiesta, per infiniti servizi giornalistici, esercitazioni poliziesche da dilettanti.
Accade qualcosa e immediatamente “infuriano le polemiche” e “si cerca il colpevole”.
Lo spettatore viene sollecitato a dare pareri e giudizi, come se fosse un grande esperto. Si intervista il passante per sapere che idea si è fatto di Cosima, di Michele, di Sabrina, della casa della vittima e della dinamica del fatto; gli si chiede chi è l’assassino, chi ha ucciso Samuele, che cosa ne pensa di Cogne, di Olindo e di Rosa, chi ha rapito e ucciso Tommy.
Ogni spettatore viene illuso di essere il giudice di un enorme processo mediatico. E crede che il suo parere sia importante, e per questo lo dà a tutti e in tutte le sedi: dal parrucchiere, dal panettiere, al bar e soprattutto su internet, su facebook, su twitter.
Invece, del parere di un perfetto sconosciuto, che non sa niente altro che quello che i media gli hanno voluto dire, e far vedere o ascoltare, ma chi se ne importa? Che cosa dovrebbe interessarci sapere quale idea si è fatto del delitto di Sarah Scazzi un macellaio del quartiere di una città qualsiasi? Che valore può avere per l’Italia il parere dato da un operaio di Gallarate o da un commerciante di Jesolo o da un insegnante di Viterbo su chi è l’assassino? E cosa può esserci di più ridicolo di uno che, alla domanda del giornalista “Secondo lei chi ha ucciso il bambino?” risponde con sicurezza, “È stato lo zio!”. Ma che cosa significa?
Allora adesso veniamo al comandante Francesco Schettino.
Guardiamo la sostanza: è successo un disastro. Un naufragio assurdo con morti assurde. Sembra proprio che sia stato causato dal fatto che la nave fosse troppo vicina alla costa. Errore stupido e imperdonabile. Ci sono stati dei morti, dei feriti e dei dispersi. Una tragedia assurda. Ma le cause esatte dovranno essere stabilite dai periti, che potranno farlo dopo aver esaminato tutto, interrogato tutti, preso visone di tutta la documentazione.
Il comandante ha abbandonato la nave. Errore imperdonabile. Un comandante non deve mai abbandonare la nave. Lo sanno tutti. È un errore previsto dalla Legge. E, per questo, quale punizione meriterà dovrà deciderlo un tribunale. È compito della Legge.
I media, invece, hanno deciso che ci si potevano vendere tanti giornali, e trasmissioni, pubblicità trasformando il comandante in un mostro con il quale giocare a “lincia il mostro” e trasmormando il naufragio del “Concordia” in un “Gioca al piccolo detective”.
E hanno deciso che serviva anche un eroe, trasformando in eroe il comandante della Capitaneria di Porto di Livorno Gregorio De Falco, che invece è solo un bravo comandante che ha fatto semplicemente il suo lavoro. Bene, ma ha fatto il lavoro per cui viene pagato. E hanno trasformato in eroe il batterista della band della nave, Giuseppe, un ragazzo che ha lasciato il suo posto sulla scialuppa ad un bambino, probabilmente rimettendoci la vita. E se non glielo avesse voluto cedere? Non si è sempre detto, proprio sulle navi “prima le donne e i bambini?”. In quest’ottica, Giuseppe è un eroe o è solo un bravo ragazzo che ha seguito l’indicazione antica che prima dovevano essere messi in salvo i bambini?
Bruno Vespa si sarà fregato le mani. E con lui i produttori di modellini di nave. Lo stesso avranno fatto i direttori dei quotidiani e delle riviste. Ci sarà la caccia ai sopravvissuti per invitarli a rilasciare interviste o a vendere le foto del prima e del dopo. Si intervisteranno i vicini di casa di Schettino. Forse si chiederà alla sua professoressa delle medie se già a scuola era un po’ stronzetto. O vigliacco. O bighellone.
Ma non ci saranno servizi ssul presidente di Costa Crociere, che ha piagnucolato in diretta, non per i morti, ma per il "grande gigante venuto a morire qui davanti".

Su internet c’è un vero e proprio linciaggio morale nei confronti di Schettino, che va da magliette stampate in fretta e furia con frasi come “vada a bordo, cazzo”, “Ma c’è buio!” a “Vuole andare a casa, comandante?”; di parodie in musica, di titoli di giornale in cui si definisce vigliacco, codardo, incompetente, negligente, incapace.
Ma se possiamo benissimo pensare che meriti tutto questo, mi sembra che questo accanimento non gli lasci nessuna via d’uscita, non gli permetta di immaginare la possibilità di vivere una vita in qualche modo dignitosa, dopo aver “pagato il suo debito alla Giustizia”, come si suol dire. A me sembra che molti, nella sua situazione, potrebbero suicidarsi.
Spero che Schettino sia una persona insensibile, un menefreghista e che venga condannato alla prigione. Perché altrimenti non so se ce la farà.
Voglio che paghi per i suoi errori, non che muoia. Sono contro la condanna a morte.
Anche l’istigazione al suicidio è un reato.

sabato 14 gennaio 2012

L'eBook va forte!

L'eBook sta andando forte perché costa meno e arriva immediatamente.
Lo avete visto? Pubblicizzatelo! Grazie :-)







sabato 7 gennaio 2012

Qualche suggerimento di lettura.

Cari amici e lettori, ho pensato di mettere su Anobii qualche suggerimento di lettura, dato che mi è stato più volte richiesto. Piano piano metterò tutto quello che può essere utilizzato per interessare gli alunni, per motivarli a studiare e ad ascoltarvi, e per avere una preparazione al passo con i tempi :-) Trovate tutto nella mia libreria su Anobii
Sono solo all'inizio, naturalmente.
Fatemi sapere.

venerdì 6 gennaio 2012

La tragedia di chi non ha un lavoro. Di chi teme di perderlo. Di chi lo perde. 273°

“Il lavoro nobilita l’uomo” è una frase inventata da chi vuole costringere i poveracci a fare lavori umili. O pericolosi. O sottopagati. O precari. Un po’ come il “Arbeit macht frei” dei campi di concentramento. Una bugia colossale e disonesta.
Il lavoro è una necessità che si è sostituita alla caccia, alla pesca dei tempi andati. È cambiato il modo di procurarsi il cibo. Tutto qui.
Tanto per semplificare, direi che ci sono tre modi per procurarti quello che serve per vivere: 1. lavori per qualcuno; 2. fai lavorare gli altri; 3. rubi.
Chi lavora per gli altri a volte viene trattato con rispetto. Altre volte – tante – viene semplicemente sfruttato per tutta la vita. Perché è partito svantaggiato, perché figlio di una famiglia povera, perché non è stato abbastanza intelligente da studiare, perché ha studiato, ma non ha saputo scegliere che cosa, perché non ha avuto le conoscenze giuste, ecc.
Chi fa lavorare gli altri a volte conosce personalmente i suoi dipendenti e non li sfrutta. Altre volte - tante – non sa nemmeno chi lavora per lui e semplicemente trova giusto arricchirsi sfruttando il lavoro degli altri. In nome del fatto che lui ha quello che il suo dipendente non ha: famiglia ricca, intelligenza, possibilità, opportunità.
Poi ci sono i disonesti che vivono e si arricchiscono rubando agli altri. In tanti modi, anche approfittandosi dell’ignoranza, della debolezza, dell’incapacità di reagire. Anche facendo leggi inique. Anche semplicemente aggirando le leggi giuste. Non pagando le tasse.

Il lavoro è indispensbile, per vivere. Come agli albori della storia lo era poter cacciare. Chi non sa procurarsi il cibo/denaro non mangia. La società lo rifiuta, perché lo considera un parassita. Non importa sapere perché non lavora. Lo abbandona al suo destito e se ne lava le mani.
È con dolore che leggo che ci sono tante persone che si suicidano perché non hanno lavoro. O hanno il terrore di perderlo. O lo perdono.
La società che non assicura un lavoro a tutti, che lo toglie, che costringe le persone, giovani e meno giovani, a vivere nella precarietà è una società tremendamente ingiusta.
La società rende il lavorare difficilissimo: ti prepari a saper fare qualche cosa, e poi scopri che non c’è più mercato per quella cosa; le industrie ti assumono oggi perché hanno tanto lavoro – non so, vendono tante automobili- e poi scoprono di aver sbagliato i calcoli e ti licenziano. O pretendono di sfruttarti ancora di più. Altrimenti chiudono la fabbrica e buonanotte.
Se vuoi sbarcare il lunario vendendo panini fuori dallo stadio o sulla spiaggia, non puoi: non hai il permesso. Ci devi pagare su le tasse. Se vuoi aiutare un negoziante a scaricare degli scaffali non puoi: non sei assicurato e non hai il permesso. Se vuoi vendere gli oggetti che hai a casa non puoi: devi pagare le tasse per l’occupazione del suolo pubblico. E così, devi solo aspettare e sperare. E in quella situazione ti conviene ringraziare quello che ti assume in nero, perché meglio in nero che niente. Perché non sapere come comperare il cibo per te, per tua moglie, per i tuoi figli è una cosa che manderebbe nel panico tutti. Guardi la saponetta e ti domandi con che soldi comprerai la prossima. Arriva il freddo e sai che non avrai di che pagare l’affitto e il riscaldamento. Ma la società se ne frega, di tutto questo. Tutti continuiamo la nostra vite e se il nostro vicino disoccupato non paga il condominio diciamo “È uno che non paga il condominio”.
E la gente che ce l’ha, il lavoro, dice anche “Ah, il lavoro c’è, se uno ha voglia di lavorare!”. Vergogna.
E intanto le tasse devono aumentare, perché ci sono i ricconi, quelli disonesti, che non pagano. E se qualcuno controlla i proprietari di Ferrari a Cortina e scopre che dichiarano di essere nullatenenti, si arrabbiano e protestano, perché vogliono continuare a fare tranquillamente i loro comodi. In altre parole, vogliono continuare a sfruttare e a non pagare.
E intanto si legge che la crisi economica ha provocato un suicidio al giorno. Un altro modo di morire per il lavoro. Oltre a tutte le morti sul lavoro causate dalla mancanza di rispetto delle norme sulla sicurezza.
Uomini e donne, uno al giorno – un numero terribile- si sono trovati tanto disperati per il fatto di essere senza lavoro o per la paura di perderlo, che non hanno trovato altra soluzione che quella di andarsene da questo mondo, togliendosi anche la vita.
Qui vicino un quarantenne con moglie, figli piccoli e mutuo da pagare è stato licenziato. Gli avrebbero portato via anche la casa. Si è buttato giù dal terrazzo. Qualcuno farà qualcosa per la sua famiglia? Oltre a togliergli la casa, dico.
E si legge che anche certi imprenditori onesti si uccidono. Costretti a licenziare, non accettano la barbarie di lasciare senza lavoro dei padri e delle madri di famiglia.
Il lavoro è un diritto. Che società è quella che toglie questo diritto?

domenica 1 gennaio 2012

Buongiorno 2012! 272°

Buongiorno 2012, e benvenuto! Ti aspettavamo da tempo.
Buongiorno e auguri, cari amici e lettori del blog.
Sento che il 2012 sarà bello. Nonostante la crisi, nonostante i disfattisti, nonostante i rassegnati, i rinunciatari, i disonesti. Svegliamoci e ribelliamoci. Smettiamola di parlare davanti ai nostri figli e ai nostri alunni di come vanno male le cose. Vanno male – questo è certo -, ma non possiamo presentare loro un futuro così nero, dopo aver fatto loro credere che tutto era facile. Altrimenti togliamo loro la voglia di impegnarsi, di faticare e di lottare per un mondo migliore. Il mondo è ancora in mano nostra e abbiamo il dovere di fare qualcosa per migliorare. Cominiciamo da oggi a fare qualcosa per noi, per ritrovare la fiducia nella vita, per non lasciarci abbattere.
Oggi è il giorno perfetto per cominciare una nuova vita. Vi invito a fare con me questi riti.
1. Fate un giro per la casa e cercate qualcosa di vecchio e inutile. Più cose trovate e meglio è. Prendete tre sacchetti: in uno mettete le cosa da buttare, in un altro le cose da riciclare e nell’altro quelle da regalare.
2. Andate in cucina e guardate lo stato dei vostri canovacci. Se sono in buono stato, bene. Altrimenti prendeteli, metteteli nel sacchetto del riciclabile e cominciate a chiamarli “stracci”. Probabilmente da qualche parte ne avrete uno nuovo per sostituire il vecchio. Altrimenti ne comprerete uno nuovo.
3. Andate in bagno e guardate lo stato dei vostri asciugamani. Se sono in buono stato, bene. Altrimenti prendeteli, metteteli nel sacchetto del riciclabile e cominciate a chiamarli “stracci”. Probabilmente da qualche parte avete quelli nuovi, che non usate perché “se viene qualcuno, ecc.”: decidete che voi siete quelli che devono goderseli.
4. Guardate lo stato dei piatti che usate tutti i giorni. Se sono in buono stato, bene. Altrimenti prendeteli, metteteli nel sacchetto delle cose da regalare e prendete i piatti belli, quelli che avete da parte, che non usate perché “se viene qualcuno, ecc.”: decidete che voi siete quelli che devono goderseli.
5. Appena riuscite ad essere soli, staccate i telefoni. Sedetevi sul divano più comodo e mettetevi a pensare alla vostra vita. Prendete un foglio e scrivete un elenco di tutte le persone, vicine e lontane, con le quali avete a che fare nella vostra vita: moglie, marito, fratelli e sorelle, madre, padre suocera, colleghi, clienti, amici, vicini, ecc. Insomma, tutti. E tutti con i loro nomi. Compresi gli animali, che, anche se non sono persone, sono molto importanti. Accanto al nome di ognuno scrivete la vostra decisione: voglio dedicargli più tempo, voglio telefonargli più spesso, voglio andare a trovarla, perché è anziana e sempre sola, mi ha stufato, non voglio più avere a che fare con lei, ho capito che è un opportunista, non lo chiamerò più, voglio parlargli, lo lascio perdere, lo voglio invitare a cena, ecc.
6. Poi passate a tutte le attività che svolgete: il negozio, l’ufficio, il libro che sto scrivendo, il lavoro a maglia, la pittura, facebook, il blog, il calcio in televisione, la collezione di francobolli, il gioco delle carte, la pesca, le passeggiate, ecc. Scrivete la vostra decisione. Smetto perché mi porta via troppo tempo. Continuo perché mi rilassa. Mi limito. Lo faccio più spesso. Eccetera.
7. Telefonate oggi stesso a quelli ai quali vi siete ripromessi di telefonare, specialmente se sono persone sole.
8. Riflettete sulla vostra salute e su come trattate il vostro corpo. Fumo: continuo o smetto? Mangio molto: vado da un dietista, da un nutrizionista? Non faccio movimento: mi iscrivo a una palestra, o non posso proprio, cercherò di camminare, ecc.
9. Andate in giro e cercate un negozio che abbia biancheria speciale: comperate qualcosa che vi piace tanto e che finora non avete comperato perché “ho già tanta roba”. Poi andate a casa e usatela subito.
10. Appena cominciano i saldi andate in giro e comperate qualcosa che vi piace, perché questo è l’inizio di una vita migliore e bisogna festeggiare. Dovete trattarvi bene, per sentirvi di buon umore.
11. Guardatevi allo specchio e sorridetevi.
12. Fate qualcosa per voi, e decidete che da oggi sarete più sorridenti, anche quando non ne avrete voglia. E decidete che troverete ogni giorno un momento per coccolarvi.
Buongiorno e auguri, cari amici e lettori del blog. Fatemi sapere se vi sentite meglio.

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