Il
termine “buonismo” viene scagliato contro tutti gli insegnanti in generale. È
la diagnosi spicciola che molti fanno al capezzale della Scuola malata.
Le frasi ricorrenti espresse da chi ragiona in modo semplicistico sono queste: “La
Scuola non è più com'era prima del Sessantotto”, ” “I ragazzi sono ignoranti”,
“I bambini non sanno più leggere, scrivere e far di conto”, “I ragazzi sono
maleducati”, “Il Sessantotto ha rovinato la Scuola”, ecc.
Diagnosi:
“è il buonismo dilagante (e portato dal Sessantotto), che ha rovinato la Scuola.
E gli insegnanti sono degli incapaci, buonisti, che vogliono promuovere tutti”.
Le
parole possono essere diverse ma il concetto è questo.
Gli
insegnanti che esprimono questi concetti vengono considerati come “quelli che
hanno finalmente avuto il coraggio di dire la verità”, mentre quelli che
cercano di dare delle spiegazioni ai risultati scadenti e all’abbassamento
delle conoscenze e delle competenze dei nostri alunni (che riscontriamo ogni
anno di più) vengono chiamati “buonisti”. Lo hanno detto anche a me pochi
giorni fa.
Secondo
quelli che spiegano tutto con il “buonismo”, se capisco bene, la colpa è sempre
dei bambini (anche se hanno sette anni) e dei ragazzi. Dare la colpa a qualcun
altro è da smidollati buonisti (di solito a “buonisti” si associa, come offesa
“comunisti”).
“La
colpa è dei ragazzi, che sono svogliati e maleducati, e l’unica soluzione è
quella di castigarli ben bene, di bocciarli, di isolarli.” Ci vorrebbe un po’
di “cattivismo”, insomma. Credo che riceverei degli applausi dai cattivisti, se
in un mio post o in un libro scrivessi che ai bambini ci vorrebbero le orecchie
d’asino e delle belle e sane bacchettate sulla punta delle dita. Oltre a delle sonore
bocciature, è ovvio. E, se alla fine delle elementari ci fossero ancora bambini
che non hanno imparato l’educazione e l’impegno, si dovrebbe passare, dalle
medie, a qualche bella doccia gelata (nelle palestre di solito ci sono le
docce) e, naturalmente, a punizioni, sospensioni e bocciature finché non imparano
come si sta a scuola.
Per
quanto riguarda gli alunni che hanno dei disturbi specifici dell’apprendimento,
credo che i cattivisti offrirebbero questa soluzione: “non sanno l’ortografia? non
sanno leggere bene? non sanno scrivere senza fare errori di ortografia?
Bocciateli! Così imparano ad impegnarsi di più. In fondo, basterebbe un po’ più
di attenzione, che diamine! E poi, basta con tutte queste parole - disgrafico,
disortografico, dislessico, e chi più ne ha più ne metta – che servono solo a
camuffare la parola “somaro”!”
“Per
gli alunni affetti da deficit dell’attenzione con o senza iperattività ci vuole
la bocciatura. Fanno perdere un mucchio di tempo. Non possiamo stare dietro a
loro che, in fin dei conti, sono dei ragazzacci violenti; altro che “deficit
dell’attenzione e iperattività”! Se sono così la colpa è dei genitori che al
momento opportuno non gli hanno dato due belle sberle.”
“I
bambini e i ragazzi che hanno una vita familiare difficile? Basta, con questo
scusare tutto, giustificare tutto! Se stiamo a vedere tutto, cresceranno
ignoranti! Via, si bocciano e il problema è risolto. A che cosa serve che
studino tutti? Che vadano a fare i muratori! La manodopera manca. Così non
dovremmo neanche assumere tutti quegli stranieri!”
Spero
che nessuno dei cattivisti dica che quello che ho immaginato non sia vero,
perché altrimenti significherebbe che non riflettono su quello che dicono.
Perché
è questo che accade nelle scuole: siamo talmente impegnati ad aiutare, a
recuperare, a rimettere sulla retta via, a colmare delle lacune, che non
abbiamo tempo per ottenere grandi risultati. Ma qual è l’alternativa? Ignorare
le fasce deboli, cioè tutti i bambini e i ragazzi che hanno un problema?
Smettere di cercare di capire i motivi dell’insuccesso scolastico di molti
alunni? Abbandonare l’idea di offrire a tutti (e non soltanto ad un’elite) la
possibilità di studiare? Tentare un ripristino configurazione del sistema –
come facciamo con il PC- per ritornare al momento in cui tutto funzionava
perfettamente? Ed ecco il primo punto: prima – prima del Sessantotto, per
esempio e ancora prima – tutto funzionava perfettamente? Ma scherziamo? La
Scuola, un tempo, era “un ospedale che cura i sani e respinge i
malati", una Scuola solo per i “Pierini del dottore” come diceva Don
Milani. La Scuola era solo per i bambini che economicamente potevano
permettersi di andare all’Università, o per i ragazzi molto bravi, che potevano
usufruire di borse di studio. Pochi. Poi, con il Sessantotto, c’è stata una
lotta per aprire la Scuola davvero a tutti. È stata una rivoluzione. Ed ecco il
secondo punto:
-
ci sono quelli che credono giusto dare a tutti la possibilità di studiare, di
imparare quello che serve per avere un buon lavoro (che non passa
necessariamente attraverso l’università). Quelli che credono che la Scuola non
sia preparata a offrire un vero allargamento della cultura, perché lo Stato non
dedica a questo scopo risorse neanche lontanamente sufficienti.
-
E ci sono quelli che sostengono che è sbagliato che studino tutti, e che i
ragazzi che “non hanno le basi”, che “non sono portati”, “che non hanno voglia
di andare a scuola”, o “hanno dei problemi” debbano essere forzati. Sono
destinati ad essere muratori, evidentemente, ed è giusto che non rallentino il
cammino dei “Pierini del dottore”.
Certo,
è più facile stroncare tutti i tentativi di migliorare la Scuola definendoli
“buonismo” e proponendo la soluzione del “cattivismo”, dell’intransigenza,
della selezione spicciola, indistintamente, nella scuola dell’obbligo e in
quella del post obbligo. È molto più facile che faticare, gestire classi
difficili, e “portare avanti” ragazzi recalcitranti nella speranza che si
salvino, che la loro vita migliori e che, insieme, migliori la Società tutta.
Ed
infine c’è il terzo punto: chi propone il “cattivismo” crede che gli
insegnanti, quando non bocciano un alunno lo facciano perché sono troppo buoni.
Errore. Nella Scuola dell’obbligo se si decide che non è necessaria la
bocciatura di un alunno che non ha raggiunto una preparazione sufficiente è
perché sappiamo che si deve porre particolare attenzione al percorso evolutivo,
perché il bambino sta crescendo, è una persona in evoluzione e deve essere
valutato nella sua interezza e non soltanto per le sue competenze.
Non
tener conto di questo vuol dire non sapere che cosa significa essere un
insegnante, un educatore.
Alle
Superiori non è vero che non si boccia. Si boccia, eccome. Ma la Scuola non
prevede la “bocciatura parziale”, solo per una o due materie. O lo promuovi in
tutte le materie o lo bocci in tutte. Che cosa si dovrebbe fare? Bocciare un
alunno che non sa nulla di latino, o non sa scrivere, o non conosce la
letteratura e ha sufficienze in tutte le materie?
Credo
che sarebbe molto importante che ci rendessimo conto del fatto che se nella
Scuola ci sono tante promozioni non si tratta di buonismo. Gli insegnanti si
trovano di fronte a situazioni per le quali la promozione appare come la
soluzione meno dannosa, meno ingiusta.