D'AUTORE
È il caso di fare ancora le
gite scolastiche?
Le gite – i viaggi di istruzione o le visite guidate – servono?
È il caso di farle ancora, dopo che recentemente ci sono stati incidenti
mortali? Su ilLibraio.it la riflessione controcorrente di Isabella Milani
(pseudonimo di un’insegnante e blogger che ha trascorso la vita nella scuola,
in libreria con "L’arte di insegnare")
“Ragazzi, che cosa vi è piaciuto della gita?”. “Il
viaggio in pullman e quando eravamo in camera”. È la risposta di alunni di
terza media tornati da una gita. Se scavate un po’ oltre quello che dicono per
farci contenti, esce fuori questo.
I ragazzi non vanno in gita per la Cupola del
Brunelleschi, né per la Pietà di Michelangelo, né per il Maschio Angioino, né
per la Mole Antonelliana, e ancora meno per la visita a un prosciuttificio. Sì,
quando sono lì magari guardano, ma non sono lì per quello. I bambini e
soprattutto i ragazzi amano la gita per stare insieme, lontani da casa, per
dormire in albergo in quattro o cinque per camera, per il viaggio in pullman, o
in treno, o in traghetto, con la musica, il cellulare, le risate, gli scherzi,
le foto, i selfie, gli insegnanti che in gita sono sempre migliori di
come sono in classe. Anche i professori vanno in gita per gli
alunni, perché anche gli alunni sono migliori di come sono in classe,
e si scopre con piacere che la timidissima Alice canta benissimo, e che il
taciturno Samir sa fare le imitazioni e che Cristian, il bulletto della classe,
è pieno di attenzioni verso il compagno sulla sedia a rotelle.
Quando si parla dei viaggi di istruzione dobbiamo
chiederci se sono ancora utili e chi deve decidere se è opportuno farli o no.
I viaggi di istruzione servono perché
costituiscono un’esperienza umana molto importante, sia per loro
che per i loro insegnanti. Servono perché ci sono luoghi dove insieme ai
genitori forse non andranno mai. Servono perché sono esperienze indimenticabili
a ogni età. Per i più piccoli sono le prime volte lontano dai genitori, per i
più grandi è la possibilità di visitare luoghi lontani o per conoscere meglio
una ragazza o un ragazzo. Le gite servono, quindi. Ma – soprattutto in
questo periodo di crisi – non tutto quello che serve si può fare, purtroppo.
Nella Scuola come nella vita.
C’è un “ma”, infatti, ed è la responsabilità che viene
data agli insegnanti. Una responsabilità accettabile solo se non si pensa alle
notti quasi insonni, alla paura che qualcosa vada storto, alla fatica fisica e
alle conseguenze di eventuali incidenti.
Il vero problema sono le gite di più giorni, che
prevedono il pernottamento in albergo: possono gli insegnanti garantire
un controllo ventiquattro ore su ventiquattro?
Ragioniamoci, passo a passo: i ragazzi vengono
affidati agli insegnanti. Non possono essere più di quindici per ogni
insegnante. Troppi. Se sono piccoli, possono scappare, cadere, litigare e farsi
male; se sono più grandi possono raccogliere una siringa usata, e giocare a
tentare di infilzare i compagni. Se sono quasi maggiorenni possono calarsi
dalle finestre, fumare marijuana, ubriacarsi.
Anche trenta, quarant’anni fa i ragazzi
in gita potevano fare delle pazzie.
Ma accadeva solo nelle ultime classi
delle scuole superiori. Alle elementari a nessuno sarebbe venuto in mente di
allontanarsi dalla fila e alle medie nessuno avrebbe portato un liquore. Oggi
può accadere di tutto.
Se succede un incidente, se un ragazzo
muore, la colpa di chi è?
Dell’insegnante, che magari in quel
momento stava rispondendo alle domande dell’autista o stava dormendo perché
erano le quattro di notte? O la responsabilità è del genitore che non ha
insegnato a suo figlio che non si raccoglie una siringa per strada, non si
fanno giochi pericolosi, non si beve alcool e non si fa uso di sostanze
stupefacenti?
Che cosa dovrebbero fare gli insegnanti?
Correre continuamente come palle da
tennis da una parte all’altra della fila o da un piano all’altro dell’albergo?
Stare svegli tutta la notte davanti alle camere? Fare i turni fuori
dall’albergo per controllare che non escano dalle finestre? Entrare a sorpresa
nelle camere, con la certezza di essere fotografati e poi denunciati per
violazione della privacy o peggio? Frugare nelle valigie con la certezza di
essere denunciati dai genitori per perquisizione e ispezioni personali
arbitrarie o per abuso di potere? E se succede qualcosa, si sente dire
immancabilmente: “Ma i professori dov’erano?”. “Dov’erano?” Ma
scherziamo?
In caso di incidenti gli insegnanti
hanno noie legali per molti anni:
parcelle di avvocati, raccomandate, convocazioni per difendersi dalle accuse,
notti insonni. Quindi: chi deve decidere se abolire o no le gite? I genitori e
gli alunni decidono già se partecipare o no. Chi? Il Ministro dell’Istruzione?
E perché mai? Li accompagna lei forse? Devono assolutamente decidere gli
insegnanti. Personalmente, sono dell’opinione di non fare più viaggi di
istruzione. Almeno finché non si risolverà il problema delle esagerate
responsabilità sulle spalle degli insegnanti. Non è una questione di
soldi. Il riconoscimento economico viene solo dopo.
L’AUTRICE – Isabella Milani è lo pseudonimo di un’insegnante e blogger che
ha trascorso la vita nella Scuola. Per Vallardi ha pubblicato L’arte di
insegnare – Consigli pratici per gli insegnanti di oggi. Qui il suo blog.