PRIMA PARTE qui.
Cara
Carmen, vorrei sottolineare qualche altra frase, fra quelle che hai scritto:
- “avendo sempre avuto nel cuore l'insegnamento”
- “essendo laureata in
ingegneria”
- “Voglio insegnare perché mi piace e perché
so di poter trasmettere qualcosa.”
Dunque, Carmen, hai studiato molto, ami
insegnare e sai di poter trasmettere qualcosa.
Il problema è: che cosa?
Ecco, devi riflettere su questo: in che cosa
consiste quello che devi trasmettere? È la matematica? È la fisica? Sì, ma la
matematica e la fisica sono solo una parte di quello che devi trasmettere.
Un insegnante, prima di tutto, deve trasmettere
la voglia di imparare. Imparare che cosa? Tutto. Tutto quello che capita, di
cui la matematica è solo una parte. Prima della matematica viene la vita. Tu,
insegnante, devi educare, devi trasmettere anche come si affronta la vita, perché bisogna
studiare, perché bisogna lavorare, perché non bisogna arrendersi di fronte alle
difficoltà; devi trasmettere l’onestà, il senso di solidarietà, il senso di
giustizia, l’amore per la vita, l’interesse verso gli altri, verso il mondo,
verso le cose. Anche verso la matematica e la fisica. Devi insegnare che cosa è
essenziale e che cosa è superfluo, quali
sono le priorità e perché è meglio mettere certi valori in cima alla scala e
certi altri in fondo.
Per essere una buona insegnante, prima di
insegnare a cucinare e a gustare dei piatti, devi fare venire loro appetito e
voglia di cucinare.
Detto questo, Carmen, passiamo a riflettere sugli
errori che puoi avere commesso. Scusami se, per aiutarti, devo essere molto
esplicita.
Sintetizzo: i ragazzi ti ignorano (“è come se non fossi presente il aula”)
e non ti rispettano come persona (“quando entro io in aula sembra che arrivi la scema del villaggio”) e, di conseguenza, neppure come
insegnante (“non
stanno attenti, chiacchierano tra di loro e giocano col cellulare, non mi
considerano proprio, prendono in giro (anche
volgarmente), urlano, tirano sedie per terra facendo un fracasso tremendo,
corrono in aula io anche se li richiamo, è come se non fossi presente il
aula”).
Cara Carmen, tu per prima non ti rispetti.
Proprio non ti consideri degna di rispetto. Tanto è vero che hai chiamato in
aiuto qualcuno che hai dato per scontato che sarebbe stato rispettato più di te:
il preside, la vicepreside. Hai “mandato
uno dei rappresentanti di classe a chiamare la vicepreside”. Mi chiedo che cosa
hai detto. “Vai a chiamare la vicepreside e dille di venire subito perché la
classe non mi ascolta”? Qualcosa così? Hai certificato la tua inferiorità. La
vicepreside è arrivata e tu hai ascoltato in silenzio. Che cosa avrà detto?
“Vergognatevi! Dovete stare zitti anche con la professoressa!” (E questo
“anche” significa parecchio…) Non dici che cosa hai detto quando “appena se n'è
andata tutto è ricominciato…”. Spero che tu non abbia chiesto ai ragazzi come
mai cinque minuti prima stavano tutti zitti…
Hai accettato che
intervenissero i colleghi delle classi vicine, che “non riuscivano a far
lezione a causa del rumore”. Immagino che sarai stata zitta, mentre loro
(quelli che agli occhi degli alunni saranno apparsi come i “veri” insegnanti)
rimproveravano la classe. Ovviamente, non puoi pensare di essere sembrata
un’insegnante autorevole.
Le hai provate
tutte, passando dal massimo della severità al massimo della tolleranza,
calpestando da sola la tua dignità (facendo “lezione al muro facendo
finta che loro seguissero mentre invece parlavano tra di loro” e facendo “finta di non
sentire quando mi urlano improperi”.)
Ti sei chiesta che cosa c’è che non va in te
(dando tu stessa per scontato che in te ci sia qualcosa che non va) e ti sei risposta che
forse hai un aspetto fisico che “li irrita” (“sono antipatica come persona”, “sembro molto più giovane, sono
bruttina e vesto sempre in jeans e maglione”), oppure che le tue lezioni “non sono ritenute interessanti”.
Cara Carmen, il mio consiglio è questo: prima
di tutto devi chiarire bene a te stessa chi sei e che cosa ci fai in cattedra.
Ricordati di tutto quello che hai studiato e di tutto quello che desideri
insegnare. Convinciti del fatto che – come ho scritto sopra- la matematica non
è l’unica cosa per cui entri in classe.
Poi, appena avrai guadagnato finalmente il
rispetto di te stessa, devi diventare furibonda. Furibonda con i ragazzi, con
la loro maleducazione, con la loro mancanza di rispetto. Se sono arrivati alle
superiori così, tocca a te farli cambiare. “Con gli altri sono agnellini, si alzano in piedi
quando entrano in classe e non si sente volare una mosca...”? Arrabbiati,
rivendica – prima di tutto con te stessa- il diritto di essere rispettata come
gli altri. Tu hai studiato tanto e loro non ascoltano neanche una parola? Tu
hai un posto di lavoro e rischi di perderlo perché i signorini ti trovano
antipatica, poco interessante? “Li irrita” il tuo
aspetto fisico? E da quando gli insegnanti devono piacere fisicamente agli
alunni? Sembri molto più giovane, sei bruttina e vesti sempre in jeans e
maglione? E – per dirla senza tanti giri di parole - chissenefrega? Ma ci mancherebbe altro! E come
è l’insegnante “giusta”? Dobbiamo reclutare le insegnanti scrivendo “Trentacinquenne
bella, alta, 90-60-90, elegante, cercasi per intrattenere classi di adolescenti
maleducati. Costituisce titolo preferenziale, ma non indispensabile, un diploma
o una laurea in qualcosa”?
Devi diventare furibonda.
Ma solo superficialmente. Perché in realtà, se
loro sono arrivati alle superiori così – maleducati, insensibili e ingiusti- sei
tu quella che deve insegnare loro che stanno comportandosi male. Devi essere
severa e non transigere su nulla.
Mi chiedi: “Ma perché fin dalle elementari la
scuola non li mette in riga questi maleducati?” Ti rispondo: perché a ognuno di
noi tocca una parte di vita dell’alunno, e ognuno contribuisce a costruire
qualcosa che possa servirgli per proseguirla al meglio.
Cara Carmen, devi avere molta più fiducia in
te stessa, essere sicura di quello che fai e del perché lo fai, per trasmettere
questa sicurezza ed essere rispettata.