Noi insegnanti ce ne siamo già accorti: è tornata la povertà.
L’Istat ci dice che i bambini poveri sono sempre di più. Lo sapevamo. Lo vediamo a scuola, nella Scuola dell’obbligo, dove vengono, bene o male, ancora tutti. Poi, i poveri, smettono di andare a scuola e vanno a lavorare. In nero.
I bambini e i ragazzi che vivono in condizioni di povertà sono 1.756.000. Un milione e settecentocinquantaseimila minori che hanno vestiti rammendati, di puro acrilico puzzolente , che non hanno libri, perché quando arriva il buono del Comune spendono i soldi per mangiare, che se sbagliano troppe volte non hanno i soldi per comperare un altro quaderno, che non portano il buono della mensa.
Bambini e ragazzi con genitori disoccupati che vivono alla giornata e che non sempre hanno da mangiare quello che serve per stare in salute. Piccole fiammiferaie e piccoli Oliver Twist italiani, che vivono nel paese dei Balocchi degli altri. Bambini poveri che saranno sempre di più, se l’Italia non cambia rotta.
Lo scorso inverno un neonato di ventitré giorni è morto di stenti perché i genitori non avevano una casa dove tenerlo al caldo. Povero bambino, che è stato duecento settanta giorni, al calduccio nel grembo di sua mamma e poi, uscito nel mondo, nel nostro mondo italiano, è riuscito a sopravvivere soltanto ventitré giorni.
Bisognerà che ci decidiamo a prendere coscienza di questo fatto terribile: in Italia ci sono tanti poveri e tantissimi bambini e ragazzi poveri. La povertà, quella di cui ci parlavano i nostri nonni, e che sembrava sconfitta dal boom economico è tornata.
Il benessere, a lungo andare, produce anche malessere.
I ricchi diventano sempre più ricchi. I poveri diventano sempre più poveri. Anche i bambini e i ragazzi. I nostri alunni, quelli che abbiamo davanti ogni giorno, ai quali chiediamo di acquistare questo o quello. E ai quali si chiede di portare un contributo per un ben non specificato “funzionamento didattico”, come se non fosse lo Stato quello che deve far funzionare la scuola dell’obbligo. E lo chiamano “volontario”, ma ci constringono a rimproverarli se non lo portano, perché, evidentemente, lo Stato non lo ha ancora accettato, questo ritorno della povertà.
Smettiamo di dire che i ragazzi di oggi hanno tutto, perché in realtà molti non hanno nulla. Da un po’ i ragazzi non hanno i genitori a casa, costretti a lavorare tutti e due; non hanno nessuno con cui giocare perché sono sempre soli. Adesso i genitori, disoccupati, sono a casa e litigano, perché la povertà non fa bene alla coppia, e non hanno più neanche il necessario per vivere in modo spensierato. I bambini imparano il senso di precarietà, che chissà ancora per quanto farà loro compagnia. Imparano che non sempre quando si ha fame si può mangiare o quando si ha sete si può bere. E a volte il cappotto è diventato piccolo, ma è obbligatorio metterselo ancora perché i soldi non ci sono.
A scuola facciamo le ricerche sulla povertà nel mondo e la povertà ce l’abbiamo davanti, al primo banco, nel banco in fondo a destra, nel terzo banco vicino alla porta.
Continuiamo a dire che i ragazzi si comportano male. Ma vorrei vedere noi e i nostri figli, se, tornando a casa stanchi e affamati, spesso non ci fosse nulla sul tavolo e nulla nel frigo.
I ragazzi poveri non hanno voglia di studiare, perché sono infelici e hanno ben altro a cui pensare.
Tutti i poveri sono uguali, ma i bambini poveri sono più poveri.