Franco mi scrive:
“Gentile professoressa Milani, si ricorda di me? Sono
quel Franco che le scrisse fresco vincitore di concorso, neoassunto con zero
ore di insegnamento alle spalle e di conseguenza abbastanza terrorizzato
dall'impatto con l’insegnamento e con le proprie nove classi.
Desidero scriverle nuovamente per fare un punto dopo
tre mesi di insegnamento, coincidenti con le vacanze natalizie e la fine del
trimestre. Il terrore di insegnare è svanito sin dal primo giorno, man mano che
passavano le ore di quel lunghissimo lunedì 15 settembre; quella che non è
svanita affatto è la fatica di insegnare, fatica notevole specie quando si
entra in classe senza avere a disposizione il 110% delle proprie energie
psicofisiche.
Desidero scriverle soprattutto della Scuola, intesa
come istituzione. Come lei forse ricorderà insegno tecnologia alle medie, che
io lasciai 30 anni fa; mi aspettavo di trovare una Scuola corrispondente
al racconto che se ne fa nei telegiornali e nei media in generale, cioè
strutture antiquate, dotazioni insufficienti, professori anziani e demotivati…
tutto vero, almeno in parte, ma non è questo l’aspetto che mi ha colpito di
più.
Sin dai primi giorni mi sono reso conto che la scuola
del 2014 è profondamente diversa da quella del 1984: innanzitutto i ragazzi,
casinisti come allora, non rispettano più i professori come ai miei
tempi. Non solo chiacchierano e si distraggono, ma non si fanno alcun
problema a rivolgersi in maniera insolente ai propri docenti, a fare
rivendicazioni a nome della classe, a pretendere agevolazioni e trattamenti di
favore. Poi, cosa ancora peggiore, hanno un livello di preparazione
notevolmente più basso di trent'anni fa. Arrivano dalle elementari ignorando
molte nozioni disciplinari di base che avrebbero invece dovuto conoscere, non
sanno stare in classe, alzare la mano, parlare uno alla volta, scrivere i
compiti sul diario, studiare su un libro, fare un riassunto, scrivere un tema o
un semplice pensierino: non sanno nemmeno accettare un sei o un sette, mal
abituati dai dieci delle elementari. Continuano le medie per inerzia e non
recuperano le “competenze” e le “conoscenze” carenti: la maggior parte di loro
mantiene un italiano scadente, limitato nei vocaboli e nei migliori dei casi
colloquiale, con errori di sintassi, di ortografia, grammaticali, di logica e
così via. Si figuri che, dopo due mesi di lezioni sui materiali, uno di loro ha
scelto come materiale a piacere in una verifica scritta l’orso polare… E in una
terza, pochi giorni or sono, solo un alunno su 25 sapeva indicare
correttamente, seppur colloquialmente, il significato della parola
“conformismo”.
Ma non è neanche l’ignoranza o l’indisciplina degli
alunni l’aspetto peggiore della scuola media del 2014. Già nella seconda
settimana, a fine settembre, mi è capitato di entrare in aula e trovarla vuota:
i ragazzi, a mia insaputa, erano andati a un “campo scuola sportivo”, una
settimana presso un centro sportivo in una non indimenticabile località del sud
Italia. E per tutto il trimestre, malgrado l’accelerazione dei tempi che esso
comporta rispetto al classico quadrimestre, mi sono trovato classi in uscita
per teatri, chiese, mostre, convegni, pellegrinaggi, attività di giardinaggio,
open-day di altre scuole e chi più ne ha più ne metta. Potendo farlo avevo
infatti scelto, come sede dell’anno di straordinariato, una scuola “di buona
fama”: e “buona fama”, come ho imparato a mie spese, significa una scuola che
offre di tutto e di più tra le attività cosiddette “extra-curricolari”. Niente
di male portare i ragazzi fuori quando l’avanzamento delle normali attività didattiche
è a posto, le competenze sono raggiunte, il livello della classe è buono. Ma
oggi la gita, anzi l’uscita didattica, è diventata un diritto dei ragazzi,
qualunque sia la loro preparazione e qualunque sia lo stato di avanzamento del
“programma” (parola innominabile) che il professore ha deciso di svolgere.
L’importanza data a gite, attività teatrali, concorsi,
gare matematiche, pesche di solidarietà e via danzando va di pari passo all'irrilevanza che stanno via via assumendo l’insegnamento e l’apprendimento.
I ragazzi devono essere motivati, coinvolti, divertiti più che invogliati allo
studio: in poche parole vanno intrattenuti per le sei ore, e poco importa di
quanto riescano a imparare. Avendo due ore a settimane per classe, spesso in un
solo giorno, mi è capitato di perdere fino a 6-7 ore di insegnamento sulle 26
totali previste nel primo trimestre, cioè quasi 1/4. Ho gentilmente fatto
qualche rimostranza in merito al dirigente scolastico, che mi ha risposto con
una domanda: ma per tuo figlio preferiresti che perdesse una uscita didattica o
due ore di tecnologia? Questo è l’andazzo, che coinvolge anche i presidi: la
scuola deve essere appetitosa per l’utenza, quindi presentare una amplissima
offerta didattica e non, divertire e non punire, svagare più che insegnare,
essere luccicante e piena di mostrini più che essere autorevole, solida e
SERIA. Del resto la collega che mi aveva preceduto aveva un metodo coerente con
questa impostazione: nessuno studio teorico o esperienza informatica (pur previsti
dalle Indicazioni Nazionali), ma solo disegni, disegni facili, valutati con
grande generosità, svolti nelle due ore settimanali in classe al ritmo della
musica ascoltata dai ragazzi nelle loro cuffiette. Il mio tentativo di essere
serio, di portare i miei alunni a un livello accettabile alle superiori,
malgrado tutta la mia inesperienza e le mie difficoltà, appare anche a me
stesso patetico, tanto più se rapportato alla scarsa rilevanza che viene
attribuita alla materia che insegno.
Mi scuso per essermi dilungato, ma era un racconto che
mi sentivo di dover fare, ben più importante delle mie difficoltà nell'insegnamento, delle mie ore spese a preparare lezioni e a correggere
compiti e disegni, dei resoconti di surreali consigli di classe e così via.”