Ogni anno, il primo gennaio, faccio
le stesse cose: indosso qualcosa di nuovo perché porta fortuna, mangio
lenticchie perché portano soldi, apro l’armadio e decido di regalare o buttare
qualcosa.
Ogni anno mi
rimprovero perché continuo a usare canovacci e asciugamani vecchi e lascio nei
cassetti quelli nuovi, molto più belli. Allora forzo la mia natura di formica
che fa le scorte e comincio a usare due asciugamani e due canovacci nuovi.
Poi, seguendo il motto "Anno nuovo, vita nuova!", faccio i buoni propositi per l’anno nuovo: il primissimo è “mettermi a dieta” e credo che
questo – un po’ per tutti - sia il
proposito numero uno dopo le abbuffate dei giorni precedenti. Poi mi riprometto
di fare qualcosa di speciale, qualcosa che renda il prossimo anno un anno migliore
del precedente: trovare più tempo per leggere di più, per camminare di più, per
stare con le mie amiche; e soprattutto, per scrivere. E mi riprometto di cambiare qualcosa della mia vita. Credo che la cosa più
importante da fare, ogni anno, sia quella di cambiare. Se si cambia sempre
qualcosa nella propria vita, non si invecchia mai e non ci si annoia mai. È così
che ho fatto tanti cambiamenti, anche a scuola. Oggi vorrei farvi un esempio di qualcosa che si può e si deve cambiare.
Leggete questa notizia, se non lo avete ancora
fatto. Sono le parole che Leelah Alcorn, una ragazza dell’Ohio, ha lasciato
prima di suicidarsi. O meglio, Joshua, un ragazzo dentro il quale viveva Leelah,
una ragazza che avrebbe voluto essere come le altre. Ma non le è stato permesso.
“Se state
leggendo questo messaggio, vuol dire che mi sono suicidata e ovviamente non ho
cancellato questo post dalla lista di quelli programmati.
Per favore, non
siate tristi. E’ meglio così. La vita che avrei avuto non vale la pena di
essere vissuta… perché sono transgender. Potrei scendere nei particolari per
spiegare perché mi sento così, ma questo messaggio sarà già abbastanza lungo
senza che lo faccia. In parole povere, mi sento come una ragazza intrappolata
nel corpo di un ragazzo e mi sono sentita in questo modo dall’età di quattro
anni. Non sapevo che ci fosse una parola per questo modo di sentire, né che
fosse possibile per un ragazzo diventare ragazza, perciò non l’ho detto a
nessuno e ho continuato a fare le cose tradizionalmente “da maschio” per
cercare di essere accettata.
Quando avevo 14
anni, ho imparato che cosa significa “transgender” e ho pianto di felicità.
Dopo 10 anni di confusione, avevo finalmente capito chi sono. L’ho detto subito
a mia madre ma lei ha reagito in modo estremamente negativo, dicendomi che
stavo attraversando una fase e che non sarei mai stato una ragazza, perché Dio
non fa errori ed ero io che sbagliavo. Se state leggendo questo messaggio,
genitori, per favore non parlate così ai vostri figli. Anche se siete cristiani
o siete contrari ai transgender, non dite mai una cosa del genere a qualcuno,
specialmente a vostro figlio. Non avrà alcun risultato se non quello di far si’
che odi se stesso. E’ quello che è successo a me.
Mia madre ha
iniziato a portarmi da un terapista, ma solo da terapisti cristiani (pieni di
pregiudizi) perciò non ho mai ricevuto la terapia che mi serviva: per la depressione.
Invece, mi è toccato ascoltare altri cristiani che mi dicevano che sono egoista
e che sbaglio e che dovrei chiedere aiuto a Dio.
Quando avevo 16
anni mi sono resa conto che i miei genitori non avrebbero mai capito e che
avrei dovuto aspettare di avere 18 anni per poter iniziare un trattamento di
transizione, e questo mi ha completamente spezzato il cuore. Più aspetti, più
difficile è la transizione. Mi sono sentita senza speranza: sarei stata un uomo
vestito da donna per il resto della mia vita. Nel giorno del mio sedicesimo
compleanno, quando i miei genitori non mi davano ancora il loro consenso, ho
pianto e piano e alla fine ho preso sonno.
Ho assunto una
sorta di atteggiamento di sfida nei confronti dei miei genitori e ho detto a
tutti a scuola che sono gay, pensando che in questo modo sarebbe stato meno
scioccante più avanti rivelare che sono trans. Anche se la reazione dei miei
amici è stata positiva, i miei genitori erano arrabbiati. Si sentivano come se
stessi minando la loro immagine, per loro ero fonte di imbarazzo. Volevano che
fossi il loro perfetto ragazzino cristiano, e questo non era ovviamente quello
che volevo io.
Perciò mi hanno
fatto lasciare la scuola pubblica, mi hanno tolto il computer portatile e il
telefono e mi hanno proibito di usare i social media, isolandomi completamente
dai miei amici. Questo è stato probabilmente il periodo più infelice della mia
vita, il periodo di più profonda depressione e sono sorpresa di non essermi
uccisa allora. Sono stata in completa solitudine per cinque mesi. Nessun amico,
nessun supporto, nessun amore. Solo la delusione dei miei genitori e la crudeltà
della solitudine.
Alla fine
dell’anno scolastico, i miei genitori finalmente hanno cambiato idea e mi hanno
restituito il telefono e il permesso di usare i social media. Ero eccitata,
finalmente avevo di nuovo i miei amici. E anche loro erano estremamente
eccitati di potermi vedere e di poter parlare con me, ma solo all'inizio. Mi
sono resa conto alla fine che anche a loro non interessava granché di me e non
mi sono mai sentita così sola. Gli unici amici che pensavo di avere erano
contenti di vedermi solo quando succedeva cinque volte la settimana.
Dopo un’estate
praticamente senza amici, più il peso di dover pensare all'università, dover risparmiare per poter andare a stare via da casa, continuare ad avere buoni
voti, andare in chiesa ogni settimana e sentirmi una merda perché tutti erano
contrari a tutto ciò per cui vivevo, ho deciso di averne abbastanza. Non
riuscirò mai ad avere una vera transizione, nemmeno quando andrò via da casa.
Non sarò mai felice del modo in cui appaio. Non avrò mai abbastanza amici. Non
avrò mai abbastanza amore. Non troverò mai un uomo che mi ami. Non sarò mai
felice. La scelta è tra vivere il resto della mia vita come un uomo solo che
vorrebbe essere una donna, oppure vivere come una donna ancora più sola che
odia se stessa. Non posso vincere. Non
c’è via d’uscita. Sono già abbastanza triste e non ho bisogno che la mia vita peggiori
ancora. La gente dice che col tempo la situazione migliora, ma non è vero nel
mio caso. Diventa peggio. Ogni giorno è peggio.
Questa è la
situazione, ed è per questo che voglio uccidermi. Mi spiace se secondo voi non
è una buona ragione, ma lo è per me. Per quanto riguarda il mio testamento:
voglio che il 100% delle cose che mi appartengono vengano vendute e i soldi
(insieme ai soldi che ho lasciato in banca) vengano donati ai movimenti per i
diritti civili e ai gruppi di sostegno per i trans, non mi importa a quale
gruppo in particolare. Potrò riposare in pace solo se un giorno i transgender
non verranno trattati nel modo in cui sono stata trattata io, ma da esseri
umani, con sentimenti validi e diritti umani. Le questioni di genere devono
essere insegnate a scuola, prima possibile. La mia morte deve significare
qualcosa. La mia morte deve essere contata nel numero dei transgender che si
sono uccisi quest’anno. Voglio che qualcuno si renda conto di quel numero e
dica che è una fottuta ingiustizia e sistemi le cose. Correggete la società.
Per favore.
Addio, (Leelah)
Josh Alcorn”