Il dolore che non vediamo è il dolore degli altri.
Un terremoto sconquassa terre e vite lontane. Ci colpisce, rimaniamo fortemente scossi per il tutto il tempo in cui vediamo le immagini terribili. Dieci minuti? Venti? Ogni tanto, durante il giorno, ci pensiamo e commentiamo con qualcuno quanto è terribile quello che sta succedendo. Regaliamo qualche spicciolo - non tutti, tra l’altro – e poi riprendiamo la nostra vita.
Il dolore degli altri, in realtà, ci sfiora appena. Di fronte a notizie e ad immagini come quelle che vediamo (da molto lontano) attraverso i mezzi di comunicazione, di fronte a centinaia di migliaia di morti e feriti, a interi paesi e villaggi spazzati via dallo tsunami, a vite distrutte, a donne che urlano per la morte dei figli, se quello che vediamo ci colpisse davvero profondamente, bisognerebbe portare il lutto, piangere, disperarsi, smettere di mangiare, non andare al cinema e non festeggiare l’anniversario di matrimonio o il compleanno. Dovremmo rinunciare almeno al superfluo e mandare tutto l’aiuto che possiamo. Invece continuiamo la nostra vita come al solito. Diciamo che non mandiamo niente perché chissà dove vanno a finire i nostri soldi. Oppure ci sentiamo buoni perché componiamo un paio di volte il numero verde dedicato agli aiuti alle vittime del terremoto o dello tsunami.