È di nuovo primavera.
L’aspettavo. Come l’ho aspettata ogni anno della mia vita. Mi sembra l’inizio di qualcosa di bello. Qualcosa che può fermare le guerre, riparare i danni di tsunami e terremoti, mondare tutto ciò che è marcio, ripulire lo sporco, far rinascere quello che è morto.
Non posso fare a meno di ripensare, in questo inizio di primavera, ai versi di Carducci, quelli che ha dedicato al suo bambino morto. L’albero di melograno continua a fiorire anche adesso che suo figlio non c’è più.
Ritorna la primavera, tutto rinasce, ma anche le persone che io amavo, che sono morte, non ritornano più. Come il bambino di Carducci.
Eppure penso alla primavera e a quello che significa. La vita rifiorisce. Nonostante tutto. Anche se da qualche parte è tutto morte, dolore e desolazione. Vicino a noi o lontano da noi.
La vita è più potente della morte, dopo tutto. C’è un senso più grande nella morte, ed è il ciclo della vita.
La primavera ne è la prova.
Avrei voglia di canzoni cantate in coro in mezzo alla campagna. Di passeggiate all’aria aperta, di violette profumate raccolte nelle piane, sotto gli ulivi. Distese di primule gialle. Profumo di fiori, erbe che nascono, venticello tiepido e leggero.
Vorrei dedicarmi ad osservare le gemme che si affacciano sui rami, e guardarle ogni giorno, finché tutto l’albero sarà fiorito. Avrei tanta voglia di un giardino con tulipani, primule, frittillarie, narcisi e giacinti, camelie, ortensie, rododendri, e piantine di nontiscordardime, cespugli di lobelia e distese di trifoglio.
A primavera mi piacerebbe odorare l’aria che profuma di erbe e fiori, riempirmi gli occhi di colori, e pensare che la vita è tutta in questo immancabile risveglio.
Ma la primavera è tutta nella mia mente, perché la vita che rinasce è altrove.
Io sono circondata da palazzi. Tutt’al più da qualche piantina nel vaso. Magari un vaso di plastica.