Marianna mi scrive:
“Gentile Professoressa,
come si fa a non far vivere
come una sconfitta la bocciatura?
Sono la mamma di un ragazzo di
15 anni che è stato bocciato in terza media. Era già stato bocciato in prima
media, bocciatura un po' a sorpresa, perché pensavamo che avrebbe avuto dei
"debiti" ma sarebbe stato ammesso alla classe successiva.
Durante l'anno avevo più volte chiesto agli
insegnanti che mi aiutassero a seguire il bambino a casa, perché il più delle
volte, quando lui tornava a casa e io chiedevo "cosa avete fatto a
scuola?" la risposta era "niente", quindi con tanta fatica (mia,
ma anche del bambino) recuperavamo i compiti da fare e studiavamo a casa, ma
gli insegnanti dopo avermi detto "si, si può fare" in effetti non
mutarono nulla nel loro modo di procedere. Avevo chiesto nello specifico che
stessero un pochino attenti che Mirko scrivesse sul diario di scuola i compiti
e che cosa si era fatto il giorno a scuola. Nulla di più.
Mirko soffrì tantissimo della
bocciatura, oltretutto inaspettata fino alla visione dei quadri.
L'anno successivo lo tolsi dal
tempo prolungato e lo cambiai di sezione, cambiando tutto il corpo docente. Il
primo anno, sempre fra alti e bassi andò benino e fu ammesso in seconda.
In seconda ancora una volta si ripresentarono gli stessi problemi: il riuscire
a capire che cosa mio figlio facesse a scuola, che lezioni venissero fatte
giorno per giorno e i compiti assegnati. Ogni sera dovevamo chiamare vari
compagni di classe (perché uno non bastava: alcuni non sapevano nemmeno loro
cosa era stato assegnato, oppure avevano indicazioni sbagliate). Ogni sera
studiava con me o con mia madre (insegnante della scuola primaria, in pensione)
e seppure con tantissimi debiti, fu ammesso alla terza.
Quest'anno mi ha chiesto di
poter studiare da solo. Durante l'estate non ha fatto i compiti richiesti per
poter recuperare le insufficienze. Premetto che le insufficienze erano in
materie anche di differenti aree: matematica, geografia, musica, tecnica,
storia...
Durante l'estate abbiamo anche
fatto controlli specialistici perché abbiamo pensato che avesse un qualche
disturbo dell'apprendimento, quello che ne scaturì dall'indagine è che il
ragazzo soffre di assenza di autostima e ansia da prestazione. Parlai con gli
insegnanti di questo e almeno con la professoressa di italiano storia e
geografia si riuscì a penetrare dentro la corazza di Mirko, da lei veniva
interrogato a tu per tu alla cattedra, senza esposizione davanti al resto della
classe, gli venivano "spezzettate" le interrogazioni in più volte e
qualche risultato si è ottenuto.
Per alcuni mesi ogni settimana
andavo a scuola a chiedere copia del registro di classe, per sapere che cosa
veniva fatto, cosa che serviva a ben poco visto che gli insegnanti non sempre
scrivevano i compiti assegnati o gli argomenti trattati. Ancora una volta
chiesi di seguire Mirko più nello specifico per aiutarmi a seguirlo a casa e mi
fu risposto che "il ragazzo deve diventare autonomo".
Sono subentrati anche dei
problemi familiari, e Mirko è diventato nei riguardi della scuola completamente
indifferente. Un mese fa si è anche ammalato di bronchite, è mancato da scuola
per 20 giorni e in questo periodo non c'è stata nessuna preoccupazione né dalla
scuola né dai singoli insegnanti sul motivo per cui mio figlio mancasse così a
lungo.
Ora quindi dopo aver letto
tanti dei suoi articoli le chiedo come faccio a far capire a mio figlio che la
bocciatura non è una cosa di cui vergognarsi? Non è una punizione, non è un
fallimento suo quando invece questo è esattamente quello che gli è stato
ripetuto dall'inizio dell'anno (e in quelli precedenti)?
La ringrazio tantissimo e mi
scuso se mi sono dilungata oltremodo. Ma sono decisamente disgustata da quello
che è diventato il sistema -scuola...o per non fare di tutta l'erba un fascio,
della scuola che purtroppo mio figlio ha frequentato. Marianna”
Gentile Marianna, capisco quello che prova e perciò
cercherò di spiegarle il punto di vista degli insegnanti.
Se lei ha letto alcuni miei post, per esempio l’ultimo, vedrà che i
problemi che gli insegnanti devono affrontare sono molti.
Lei e molti genitori che mi scrivono in questi giorni
vorreste che l’insegnante seguisse ogni singolo alunno. In una classe ci sono
di solito dai 20 ai 30 alunni. Vorreste che l’insegnasse, alla fine della
lezione, controllasse che tutti i ragazzi abbiano scritto. Operativamente
questo significherebbe concludere la lezione almeno venti minuti prima: dieci
per assegnare i compiti, rispondere alle domande di chi non ha capito a che
pagina, per quando, su che libro, ecc. E altri dieci, almeno, per passare tra i banchi e controllare a uno a
uno i diari, correggere eventuali errori, nel caos che si svilupperebbe nel
frattempo. L’alternativa sarebbe controllare solo quello di suo figlio, ma
sarebbe come dirgli “Controllo il tuo perché non sei capace di fare da solo”. E
certo la sua autostima non aumenterebbe. Gentile Signora, non si può fare.
Sarebbe possibile se ogni classe avesse un insegnante di appoggio (non di
sostegno) che per esempio potesse portare fuori dalla classe l’alunno per
aiutarlo a organizzarsi.
Ma anche se si potesse, sarebbe sbagliato farlo. Quello
che le è stato detto – che il ragazzo deve diventare autonomo – è vero. Se
avesse me come insegnante sarei ancora più esigente. Il ragazzo deve capire che
deve studiare e deve fare da solo. La mancanza di autostima è un problema che
nasce fuori dalla scuola. Lei pensa di aiutarlo, ma non lo aiuta:
<< L'anno successivo lo
tolsi dal tempo prolungato e lo cambiai di sezione, cambiando tutto il corpo
docente.>>
<< Con tanta fatica (mia,
ma anche del bambino) recuperavamo i compiti da fare e studiavamo a casa
>>
<< Ogni sera dovevamo
chiamare vari compagni di classe (perché uno non bastava: alcuni non sapevano
nemmeno loro cosa era stato assegnato, oppure avevano indicazioni sbagliate). Ogni
sera studiava con me o con mia madre (insegnante della scuola primaria, in
pensione)>>
Abbiamo un quindicenne che ogni
giorno viene seguito a casa non da una ma da due persone. È come dirgli “Non
sei capace di fare da solo”. Da dove dovrebbe nascere la sua autostima? Lo so
che lei e sua madre lo fate per aiutarlo, ma traspare chiaramente che non lo
credete in grado di fare da solo quello che – tra l’altro – fanno tutti gli
altri.
Immagino quello che pensano gli
insegnanti di una mamma che << per
alcuni mesi ogni settimana va a scuola a chiedere copia del registro di classe,
per sapere che cosa veniva fatto, cosa che serviva a ben poco visto che gli
insegnanti non sempre scrivevano i compiti assegnati o gli argomenti
trattati.>>
È lui che a quindici anni deve
informarsi, non la mamma. E sappia che moltissimi insegnanti non scrivono sul
registro quello che assegnano per casa, compresa me. Sul registro di classe c’è
una sola riga: come potrei scrivere tutto quello che assegno? E a che cosa
serve, in realtà? Perché perdere tempo a scrivere? Eppure a lei sembra assurdo.
<< Come si fa a non far
vivere come una sconfitta la bocciatura?>>
Credo che la bocciatura sia una
sconfitta prima di tutto per lei. Lei dice << Mirko è diventato nei
riguardi della scuola completamente indifferente>>
Probabilmente suo figlio ha
finito per considerarsi fuori dal gioco, visto che se ne occupa lei. Se fossi
in lei gli direi: <>
Credo che ammetterà di non aver
studiato. E allora lei continui: <da solo
, più che
puoi. È meglio che ti lasci fare da solo. Magari fai meglio. Ricorda che se ti
impegni verrai promosso. È una decisione tua.>> Gli parli, lo lasci
parlare, senza rimproverarlo e senza fare dei ricatti affettivi né di altro
genere.
Poi lo lasci studiare (o non
studiare) da solo. Soffra in silenzio, ma lo lasci fare quello che decide di
fare. Se non studia, pazienza. È compito degli insegnanti quello di cercare di
motivarlo allo studio. Compito suo è quello di farlo diventare sicuro di sé.
Cosa che non avverrà, se continuerà a fare lei quello che dovrebbe fare lui.
Probabilmente, gli trasmette (con le migliori intenzioni, lo so) l’idea che
deve studiare per fare contenta lei. Si sforzi di non farlo. Lo apprezzi per
quello che sa fare a casa, e gli faccia capire che a lei interessa lui, anche
se non riesce a studiare, ma che lo studio gli serve per la vita ed è suo
dovere impegnarsi.
La bocciatura è il risultato di
molti fattori. Non dia la colpa agli insegnanti, perché da quello che mi dice
non ne hanno. Non dia la colpa né a suo figlio né a se stessa. Se suo figlio
fosse stato capace di impegnarsi lo avrebbe fatto. Evidentemente non ne è
capace. E non era compito suo quello di far promuovere suo figlio. Cerchi di rifletterci
sopra. Mi faccia sapere!