Io amo discutere, e
perfino litigare, se occorre. Mi piace dibattere e spaccare il capello in
quattro per cercare di arrivare a una conclusione. Mi piace confrontarmi.
Ma c'è un
"ma". Non con tutti e non sempre. E spiego perché, anche se non è
facile. Vediamo se ci riesco.
La parola
"discutere" deriva dal latino "discutĕre",
composto di "dis-" e "quatĕre" che
significa "scuotere": nel senso di agitare, scuotere le idee, le
opinioni, finché non emerge la verità. Questo è quello che mi piace.
Ma sono convinta che
per avere diritto di partecipare a una discussione bisogna avere dei requisiti:
essere persone corrette ed essere preparate sull'argomento di cui si discute.
Invece che cosa accade oggi? Tutti si sentono in grado di discutere di
qualsiasi argomento, anche senza avere alcuna preparazione al riguardo: tutti
si sentono medici, avvocati, allenatori, enologi, politici, economisti, critici
e, soprattutto, esperti di didattica e psicologi. Tutti rivendicano con forza
il diritto di dire la loro su qualunque argomento. Credo che la convinzione
secondo la quale "ognuno ha il diritto di dire la sua, perché tutti hanno
il diritto di esprimere le proprie opinioni" sia il frutto di un
malinteso. Manca il concetto che dovrebbe essere sottinteso "se conoscono l'argomento". La presunzione di avere sempre “voce in capitolo” (cioè di “avere
autorità, credito per intervenire in una discussione o nel prendere una
decisione”, come dicono i vocabolari) nasce in buona parte dai venditori
di prodotti, di carta stampata, e di programmi televisivi, che hanno capito che
per vendere bisogna coinvolgere i potenziali acquirenti e che il mezzo migliore
per farlo consiste nel chiedere loro delle opinioni. Intervistatori fermano i passanti per chiedere "Che cosa ne pensa della riforma della Scuola?", o "secondo lei come si esce dalla crisi?", convincendo tutti che basti avere una bocca per intervenire nelle grandi questioni del mondo.
In televisione le giurie dei vari programmi comprendono spesso anche persone non competenti in materia (presentatori o attori giudicano cantanti, cuochi, ballerini), per fare in modo che gli spettatori possano identificarsi e appassionarsi. Ho visto dibattiti sulla Scuola ai quali partecipavano anche veline o cantanti. Ha senso?
Gli italiani, da qualche
decennio, sono diventati tutti esperti tuttologi e offrono, senza farsi alcun problema di opportunità, opinioni
e punti di vista su qualsiasi aspetto della società.
Questa presunzione generale
si riflette anche sui ragazzi, che pensano che la loro opinione (per esempio su
che cosa si deve studiare, su come si deve farlo, sulle interrogazioni, sui
voti, su qualsiasi aspetto del mondo della scuola) abbia esattamente lo stesso
valore di quella dell’insegnante. E di questo sono ancora più convinti i
genitori. E perfino chi non ha nulla a che vedere con il mondo della Scuola
vuole dire la sua su tutto, come se il fatto stesso di essere andati a scuola
anni prima, o di conoscere qualche figlio di amici che ci va fosse sufficiente a certificarli come esperti. Qualche decennio fa chi non sapeva era consapevole della sua ignoranza e
prudentemente taceva e ascoltava. Ora no.
Qualsiasi fatto
politico-economico viene commentato – spesso ferocemente - da migliaia di
persone. Su internet c’è il trionfo dell’insulto e della critica senza
fondamento perché tutti hanno la possibilità di dire la loro, comprese e
soprattutto le persone che sostengono le loro idee con la convinzione senza
dubbi tipica degli ignoranti. Gente che magari non ha mai letto un libro di economia, che non conosce le problematiche che stanno dietro alle crisi economiche,
spiega a tutti (anche a fior di economisti) che cosa si dovrebbe fare, basandosi su dei sentito dire, sui
racconti di un cugino, sulle proprie impressioni, su idee nate sul momento.
A me piace parlare con
tutti, perché da tutti si può imparare qualcosa, ma preferisco discutere solo
con chi ha competenza dell’argomento. Come non mi permetterei mai di
intervenire su una discussione di economia politica, vorrei che non si
pretendesse di esporre opinioni critiche senza avere nessuna preparazione
specifica sull'argomento “scuola”, perché, contrariamente a
quello che si pensa, non bastano le impressioni. La gente entra nel merito
di metodi e contenuti degli insegnanti senza sapere nulla né dei metodi né dei
contenuti. E' come entrare nel merito delle scelte di un medico.
Ognuno dovrebbe
esprimere le proprie opinioni liberamente sugli aspetti della realtà per
giudicare i quali non occorrono competenze specifiche: in quella pizzeria si
mangia bene, mi piace di più il calcio della pallacanestro, sono contrario alle
corride, quel quadro mi piace e quell’altro no, quel film mi piaciuto molto,
quell’altro mi ha annoiato. Bisognerebbe ripristinare il concetto che quello
che non capiamo non è necessariamente da scartare e da giudicare negativamente, che “mi piace” non significa “vale” e che “non mi piace” non significa “non vale”.
Bisognerebbe umilmente chiedersi, prima di intervenire in una discussione, se
si hanno le competenze giuste per offrire un parere valido.
Questo blog non è un
forum, perché parla di Scuola ed è aperto a tutti: ho scelto questa forma
perché desidero condividere quello che ho imparato e che ho capito della
Scuola. Se desidero confrontarmi entro in qualche forum di insegnanti, come
quelli ai quali ho partecipato in passato con grande interesse, o leggo i
commenti interessanti e imparo quello che c’è da imparare.
Nella vita quotidiana
mi confronto con chi, come me, dedica molto tempo alla Scuola o ad altri argomenti
interessanti. Ma fatico parecchio a sopportare di dover discutere su questioni
sulle quali mi sono molto documentata, con chi pensa a quelle questioni solo in
quel momento o quasi, sostenendo le sue idee con impressioni estemporanee e
luoghi comuni. Allora insisto, mi arrabbio, e probabilmente vengo guardata come
chi non accetta il confronto e vuole avere sempre ragione. Se, per esempio, un
collega mi dice che quella della dislessia è solo una moda, io pretendo di non
discutere con lui come se la sua fosse la sintesi di chissà quali studi. Credo
che non meriti risposta o che meriti un semplice “Ma che cosa dici??”. E questo
non significa che voglio avere sempre ragione e che non accetto il confronto.
Bisognerebbe smettere
di parlare pur di parlare e prendere l’abitudine di discutere solo dopo essersi
documentati. E sarebbe bene insegnarlo anche ai ragazzi, ai quali, a volte, un
po’ di umiltà farebbe davvero bene.