Martina mi scrive:
“Gentile Professoressa Milani, tempo di vacanze e di
riposo, tempo che posso finalmente dedicare a scrivere questa lettera alla
quale penso da un po’.
Sono un’insegnante precaria di italiano alle medie,
sebbene abilitata e fortunatamente sempre occupata.
Quest’anno sono anche molto contenta delle classi in cui
insegno, mi reco a scuola felice e impaziente di entrare in classe per iniziare
la giornata con i miei ragazzi.
Credo che parte del merito di un clima così positivo si
debba sicuramente ai ragazzi e alle loro famiglie ma forse una parte si deve
anche al continuo sforzo di cercare di proporre i “soliti” argomenti con
attività nuove, che coinvolgano direttamente i ragazzi attraverso un approccio
che sia prima pratico e poi teorico.
Per far questo, come suggerito nel suo libro, cerco di
aggiornarmi, passo molto tempo anche su internet alla ricerca di idee e
suggerimenti nei tanti, molto spesso ben fatti, blog dei colleghi.
Il problema è che questo genera delle tensioni nella mia
famiglia. Ho un bimbo piccolo, che richiede e al quale amo dare attenzioni e
tempo e così spesso mi ritrovo a lavorare di sera. A quel punto mio marito, che
è libero professionista, comincia però a lamentarsi del fatto che non rimane
tempo per noi e a chiedermi quante ore al giorno dedico a preparare le lezioni
e come mai non riesco a concludere il mio lavoro nelle ore in cui nostro figlio
è all'asilo nido. Da lì il suo conto è molto rapido e afferma
che per quello che mi pagano, lavoro troppo, che il mio “stipendio orario” è
risibile.
Io cerco di spiegargli che questo tipo di ragionamento,
assolutamente corretto per la sua professione, non posso applicarlo al mio
lavoro…. Eppure una parte di ragione gliela riconosco, alla fine con un mutuo
da pagare, un figlio da mantenere e un altro
bimbo all'orizzonte quando si tratta di decidere chi dei due lavora
il sabato pomeriggio o la domenica e chi resta con il bambino, succede
sempre che lui lavora e io gioco con mio figlio perché questo è ciò che di
fatto ci permette di arrivare a fine mese. Questa situazione ha l’innegabile
vantaggio per me di poter dedicare più tempo a mio figlio ma poi mi costringe a
ritmi assolutamente frenetici durante la settimana o a discussioni sul numero
di ore serali utilizzate per lavorare e, a volte, per quanto mi dispiaccia, a
scegliere di non fare qualche attività con i ragazzi a scuola perché non ho il
tempo per prepararla.
Le sto raccontando questo come riflessione sul fatto che
uno stipendio, almeno un po’ più alto, risolverebbe, almeno in parte, questa
situazione in cui il nostro lavoro, per una certa parte del tempo, diventa
volontariato e come tale necessita di una disponibilità che in una famiglia non
sempre è facile ritagliare.
So che la percezione della società è molto diversa, mio
padre stesso, che non conosce molto del mio lavoro, afferma che “ti pagano
anche troppo”, nella convinzione che il mio lavoro coincida solo con le 18 ore
passate a scuola. E da qui nasce il mio sogno, che so che potrebbe rivelarsi
anche molto impopolare: io sarei felicissima se ci fosse richiesto di fermarci
a scuola il pomeriggio per preparare le lezioni, in tal modo sarebbe più facile
costruire dei progetti comuni con i colleghi o comunque “fare squadra”, il
nostro lavoro sarebbe più riconosciuto e avremmo spazi e strumenti assicurati
per le nostre necessità.
La ringrazio per l’attenzione e le auguro buone
feste…Martina”
Cara Martina, solo chi vive nella Scuola sa che chi fa
bene il suo lavoro è impegnato per moltissime ore. Il riconoscimento sociale di
queste ore “sommerse” è assente perché purtroppo questo è un lavoro che si
potrebbe fare (male) anche limitandolo strettamente alle ore in classe e alle
riunioni, lasciando tutto il resto al caso, all’improvvisazione e alla
ripetizione degli stessi identici argomenti per ogni classe e per ogni anno. E
proprio chi non lavora racconta in giro che fa poco e che quindi lo stipendio è
anche troppo. Fra la campana che dice “sono stanco morto” e quella che dice
“per quello che facciamo ci danno anche troppo” la gente crede alla seconda.
Fare quello che consiglio comporta un impegno costante:
per mettersi in discussione (ci vuole tempo anche per decidere quello che non
va), per aggiornarsi, per leggere e studiare i libri che possono renderci più
interessanti, più efficaci, e che possono rendere più accattivanti le nostre
lezioni; ci vuole tempo per navigare fra i blog alla ricerca di idee e per
studiare gli esercizi da proporre agli alunni.
Chi ha bambini piccoli ha il grosso problema di avere agli
occhi degli altri “tutto il pomeriggio libero” e di doversi giustificare per il
tempo dedicato al lavoro.
Cara Martina, spesso le colleghe che hanno bambini piccoli
se ne stanno a scuola a correggere i compiti e a studiare. Dicono a casa che
sono impegnate, e coinvolgono i nonni o la babysitter per tenere i bambini.
Solo così chi sta a casa crede che insegnare comporti del lavoro oltre alle
diciotto ore. Credo che l’idea funzioni.
Prova! Non è una bugia! Per il resto, bisogna che tu trovi
dei compromessi: parla a tuo marito e spiegagli che sei obbligata a prepararti
per riuscire a gestire e a interessare gli alunni. Cerca di organizzarti il
lavoro domestico, per esempio preparando prima dei piatti che poi puoi
congelare e tirare fuori all’occorrenza. Non è il massimo ma si può fare. Così
potresti riservare del tempo ai bambini e a tuo marito. Seleziona bene le
attività da svolgere a scuola e accetta il fatto che non puoi dedicare tutto il
tuo tempo libero agli alunni: scegli le attività più importanti e rinuncia alle
altre. Privilegia le attività che insegnano un metodo, in modo che i ragazzi
possano fare altre attività seguendo un certo modello.
Per quanto riguarda il lavoro pomeridiano, non sei la sola
che troverebbe più logico fare 36 ore. Recentemente, per esempio, mi ha scritto
un lettore del blog:
“Nutro una profonda ammirazione e un attento rispetto per
il lavoro degli insegnanti. Nondimeno, da genitore di tre figlioli (in ogni
ordine e grado), vivo tutto il disagio della scuola nel nostro Paese, a
cominciare dal rapporto tra prof e genitori. Nei fatidici "colloqui"
e "ricevimenti", credo che la scuola dia il peggio di sè (dalle
file alle sette del mattino per segnarsi nella lista di attesa, ai giorni di
ferie al lavoro per parlare con uno o due insegnanti).
Perché allora non impiegare i prof nelle stesse 36 ore
settimanali di tutti gli altri impiegati pubblici (fermo restando le 18 ore di
lezione frontali in aula), da svolgere sempre negli Istituti, ma utilizzando le
altre 18 per tutte le altre attività (colloqui con i genitori, correzione
compiti, approfondimento, preparazione dei materiali e sussidi didattici,
aggiornamento, formazione, ecc.)? Chissà, forse riusciremmo anche a
rendere più vive ed animate le nostre scuole, su orari più ampi, a tutto
vantaggio delle comunità locali, scolastiche e non.”
Rispondo a te e a lui.
36 ore? Noi lo diciamo spesso: dateci uno spazio
attrezzato e fateci lavorare 36 ore alla settimana. Sì, piacerebbe a molti
entrare e uscire senza aver nulla da fare alla fine delle otto ore: ognuno
dovrebbe avere il suo piccolo ufficio con scrivania, lampada da tavolo,
computer, libri ecc., e potremmo finalmente smettere di consumare il nostro PC,
la nostra stampante, ecc. Ma nelle scuole non c'è nulla che permetta di
lavorare così: non ci sono soldi, non ci sono spazi, non c’è un PC per ogni
insegnante; le stampanti e le fotocopiatrici sono poche e spesso fuori uso. Noi
a casa usiamo il nostro computer e i nostri libri. Certo non possono chiederci
di portarlo a scuola e lasciarlo lì senza controllo (personalmente, poi, scrivo
sempre su un computer fisso con uno schermo molto grande, e uso il portatile
solo eccezionalmente perché per me è troppo piccolo). Nelle scuole, inoltre, ci
sarebbe bisogno di un riscaldamento adeguato o di aria condizionata, perché non
viene garantita una temperatura ottimale: o è troppo caldo o è troppo freddo.
Attualmente, quindi, non c'è nessuna possibilità di fare 36 ore.
Ma ci piacerebbe. Parte delle ore potremmo farle anche
fuori, ovviamente, per parlare con gli assessori, con gli assistenti sociali,
con gli psicologi; potremmo fare riunioni fra di noi, ecc.
A questo punto però le 18 ore in classe sarebbero troppe.
Quando usciamo da scuola siamo molto stanchi. Le ore in classe – soprattutto in
una classe difficile - sono paragonabili ai lavori che prevedono un rapporto
con il pubblico (un pubblico esigente) in cui il flusso di gente è costante e
non c’è nessun tempo morto. Un po’ come se in un negozio fosse sempre Natale e
ci fosse un via vai continuo di gente da servire. Oggi possiamo farlo perché
poi andiamo a casa e ci riposiamo la voce, le orecchie, e soprattutto il
cervello.
Perché noi non siamo "come tutti gli altri
impiegati". Non facciamo un lavoro di ufficio. Non riempiamo dei moduli,
non passiamo delle carte, non prepariamo dei preventivi, non eseguiamo gli
ordini di qualcuno. E, soprattutto, non siamo baby sitter che devono
tenere occupati bambini e ragazzi perché i genitori non sanno dove
metterli. Il nostro è uno dei lavori che prevedono che aiutiamo altre persone:
gli alunni e i genitori. Educhiamo, insegniamo, prepariamo per la vita. Siamo
dei professionisti laureati. Siamo come i medici, come gli avvocati. È
un lavoro stressante e usurante. Perciò anche lo stipendio dovrebbe essere
adeguato.
Ma potremo mai ottenere questo? Ne dubito.
Buon lavoro, Martina!