Enrica mi scrive:
“Cara professoressa Milani,
di solito sono contenta di andare
a scuola (insegno in un istituto superiore), sono contenta di incontrare i miei
alunni e di passare del tempo in mezzo a loro.Mi sembra di essere disponibile
ad ascoltarli, ad aspettarli, a "recuperarli" in tutti i modi- Ma
comincia ad insinuarsi prepotente un sentimento di noia, di inutilità. E mi
viene spontaneo pensare: ma che cosa ci faccio qui, perché devo essere sempre io ad essere interessante,
coinvolgente, accattivante? Va bene, fa parte della mia professione, ma di
fronte ai muri di gomma, di fronte a chi non si fa scalfire, toccare da nulla e
alza le spalle, e continua a dire "e va be' (si scrive così?)",
"ma sì, poi studio" mi viene proprio da pensare: braccia sottratte
all'agricoltura! Non sono i ragazzi che vivono situazioni disagiate, che hanno
famiglie veramente sfasciate, dove la povertà culturale è agghiacciante! No,
sono pigrissimi ragazzi "normali", viziati, riveriti, con la
"mamma che mi cancella il libro usato perché così è sicura che faccio gli
esercizi"!!!! Ed è normale per loro che sia così, che siano gli altri a
darsi da fare per loro: si limitano ad osservare queste formiche impazzite che
fanno i clown per attirare la loro attenzione, che preparano verifiche,
recuperi, corsi pomeridiani, gli preparano gli zaini...No, devo cambiare
qualcosa, ma cosa? Saluti e grazie! Enrica”
Cara Enrica,
non c’è dubbio che, soprattutto
alle superiori, molti ragazzi – la maggioranza, forse – sono “ragazzi
"normali", viziati, riveriti". Ed è normalissimo che sorga in te
– in noi – il senso di frustrazione di cui parli. Il difficile del nostro
lavoro, non è insegnare, preparare le lezioni, correggere i compiti, spiegare.
Il difficile è vivere il senso di impotenza che proviamo quando ci rendiamo
conto che di quello di cui avrebbero bisogno i nostri alunni possiamo dare solo
una piccola parte. O quando non riusciamo in nessun modo a risvegliare in loro
la volontà di studiare. In ogni ordine di scuola il problema è lo stesso, anche
se appare in forme diverse. Tu insegni in una scuola superiore. Parliamo delle
scuole superiori, dunque.
Se leggi quello che scrivo di
solito, saprai che la colpa profonda dei mali della Scuola non la do agli
alunni. La do agli adulti: prima di tutto allo Stato, che li mette in scuole
fatiscenti, al freddo o al caldo, secondo la stagione. Banchi rotti, o troppo bassi o troppo alti, scomodissimi. Spazi ristretti. Spifferi, sole negli occhi. Bagni maleodoranti,
con porte senza chiavistelli e senza carta igienica. E in ogni regolamento c’è
qualcosa come “eventuali danni alle attrezzature e alle suppellettili devono
essere risarciti dai responsabili.” Certo, non si devono provocare danni, ma,
quando uno pensa a certe attrezzature e le suppellettili, sinceramente, viene
da ridere. Questa è mancanza di rispetto.
Poi la do di nuovo allo Stato,
quando penso alle classi affollate, alle lavagne vecchie, al personale sempre
più ridotto (e sempre più vecchio), ad un sistema scolastico arretrato e inadeguato, nei contenuti e
nelle forme.
Subito dopo la do alla società dei
consumi, e ai grandi imprenditori, che fanno vivere bambini e ragazzi in un
mondo dove “sei ciò che hai”, dove “tutto devi procurartelo subito”, dove ruba
bene chi ruba ultimo e dove “devi comperare comperare comperare altrimenti non
vali nulla”.
Poi le responsabilità vanno
scemando: sono colpevoli (ma anche vittime loro stessi) i genitori che si
prestano a diventare complici della società dei consumi, lasciandosi
imbambolare dai media. E sono colpevoli perché spesso iscrivono i loro figli
(non tenendo in alcun conto i consigli degli insegnanti delle medie) a scuole
per le quali non sono portati o preparati (“vogliamo che faccia lo Scientifico
perché mio marito vorrebbe che diventasse ingegnere”).
Gli insegnanti sono colpevoli
soltanto di non sapersi ribellare.
Gli alunni – bambini, adolescenti
e ragazzi –sono colpevoli solo superficialmente. I ragazzi sono il risultato di
come li abbiamo educati, di quello che abbiamo dato e, soprattutto, di
quello che non abbiamo dato loro. Sono come sono, perché sostanzialmente dovevano risultare così. Hanno ricevuto troppo denaro, poca attenzione o troppa attenzione, poche
indicazioni di vita, pochi valori, troppi oggetti, pochi pensieri. Sono pigri
perché noi non abbiamo preteso nulla da loro; sono viziati perché li abbiamo
viziati noi genitori. E noi insegnanti, quando ci troviamo di fronte a genitori
che viziano i figli (moltissimi) non abbiamo la forza (e neppure la voglia) di
entrare in contrasto con loro portando avanti un altro tipo di educazione: se i
ragazzi sprecano perché sono i genitori che comperano due tre cento penne, noi
stiamo zitti perché “i genitori sono liberi di educarli come vogliono”, “perché
poi vengono a scuola a protestare”, “e chi me lo fa fare di affrontare un
braccio di ferro infinito? Che si arrangino”. E se, alle superiori arrivano
ragazzi che non sanno nulla, che non studiano, che non hanno voglia di fare
neanche un piccolo sforzo, cerchiamo in ogni modo di “tirarli su”, di
“premiarli”, di “salvarli”. E allora? Converrai con me, Enrica, che la colpa
non è dei bambini, degli adolescenti, dei ragazzi.
Che cosa fare con questi ragazzi,
alle superiori? Se non frequentano più la scuola dell’obbligo, facciamoci un
esame di coscienza serio: sono preparata? sono capace di
interessarli, di motivarli? (per carità, non diciamo più che dobbiamo entrare
in una classe e loro devono essere “già motivati”, com'era – forse - tanto
tempo fa!), spiego in modo chiaro? sono riuscita a motivare la maggioranza?
Se rispondo affermativamente a
tutte queste domande ho la coscienza a posto.
Ma se spiego male e poi do 4 al
ragazzo perché non ha capito? Se sono noiosa, e poi do 4 perché sbadiglia? Se
so il minimo indispensabile della materia che insegno, e poi do al massimo 7 perché
non voglio sbilanciarmi? Se voglio che mi ripetano tutto a memoria, perché
altrimenti non so capire se quello che dicono è giusto? No, in questo caso non devo avere la coscienza
a posto.
E in questo caso devo riflettere bene per decidere qual è la cosa
giusta da fare: bocciare chi non sa, anche se magari, con un insegnante
migliore avrebbe avuto altri, e migliori, risultati? Non bocciarlo, consapevole
delle mie manchevolezze? In tutti e due i casi il risultato è negativo.
Se ho la coscienza a posto,
quando un alunno ha assolto all'obbligo scolastico, devo essere esigente. Non
si possono mandare avanti tutti, solo perché fermarli potrebbe significare
perdere una classe o affrontare genitori furiosi o avere la possibilità di
qualche grana. Diventeranno ingegneri, medici, elettricisti: non posso essere complice di eventuali loro disastri lavorativi.
Alle superiori si accede
liberamente, ma non tutti scelgono la scuola giusta. Hanno altri tipi di intelligenza (dei nove che esistono), diversi rispetto a quelli che servono in quella scuola? Sono lontani mille miglia dall'idea di faticare e quindi di studiare
(anche se – lo ripeto- non è colpa loro)? Si decidono a studiare solo a marzo
perché si delinea più chiaramente la possibilità di ripetere l’anno o –
peggio!- di rovinarsi l’estate con la sospensione del giudizio?
Cara Enrica, ti chiedi che cosa
cambiare: fai del tuo meglio, ma non essere una delle “formiche impazzite che
fanno i clown per attirare la loro attenzione”; decidi che cosa pensi e agisci
di conseguenza, costi quel che costi. Anche se non è colpa dei ragazzi, perché
sono il risultato di una società che li vuole scansafatiche, quelli che non
sanno cogliere le occasioni che vengono loro offerte a sedici, diciassette,
diciotto anni, devono essere risvegliati bruscamente dal torpore e messi
davanti alle loro responsabilità. Non possiamo (e non dobbiamo) fare
altrimenti. E non importa se questo scombussolerà la loro vita, o quella dei
genitori, dei fratelli, delle sorelle, e di tutta la corte che ruota intorno a
lui, principino svogliato. Si devono svegliare anche loro.
Fammi sapere!