Molti danno per scontato che per gli stranieri la vita in Italia sia di gran lunga migliore di quella che conducevano nella loro terra e che ci debbano della riconoscenza perché permettiamo loro di vivere qui. Migliore? Ne dubito.
Stamani ho incrociato per strada, solo per un attimo, lo sguardo triste di una giovane donna nera e ho percepito la sua grande nostalgia.
Gli stranieri sono tristi lontani dalla loro terra, anche se è povera o poverissima. Anche se qui mangiano perché li facciamo lavorare (magari in nero).
Immaginate una spiaggia africana. Immaginate una giovane donna nera che cammina nel verde. Mare azzurro, cielo terso, sabbia. Abiti coloratissimi, rossi, gialli, azzurri, sulla pelle nera, vecchi sotto l’albero delle parole, musica, silenzi.
Una ragazza si sdraia sulla sabbia. Ride con i denti bianchissimi. Lava, cucina, accarezza una capretta, si lega in testa un fazzoletto bianco e verde a mo’ di turbante.
Portate in Italia quella ragazza, mettetele un cappotto nero, sostituite il sole e i colori della sua terra con la nebbia di Milano, datele da mangiare un panino di McDonald’s e poi pensate ancora che sicuramente qui in Italia ci sta bene.
Là, a casa sua, tanto lontano, si svegliava con il sole e finiva la giornata con le stelle. Là c'erano i suoi amici, la sua famiglia, i suoi figli.
Qui non c’è il rumore del vento, non ci sono colori; c’è freddo, ghiaccio, neve, confusione, traffico, malignità, cattiveria, disonestà, egoismo, bunga bunga. Soprattutto, c’è tanto freddo. Spesso anche nei cuori. Non ci sono sguardi per loro, per quegli stranieri che sono venuti qui chissà da dove e chissà per quali loschi affari. Stranieri che rubano il lavoro agli italiani. "Che se ne tornino a casa loro!". Lo farebbero subito, se potessero.
La gente passa e li ignora. Non importa a nessuno quello che pensa quella ragazza nera dallo sguardo triste, e quali erano i suoi sogni. Era povera, e questo deve bastare. È fortunata ad essere qui in questa nostra bella Italia piena di tesori artistici e di turisti. Le deve piacere, l’Italia.
Altrimenti, perché non se ne va?