Rispondo alla lettera del post 488° **
Cara Mariangela, mi sembra
che tu abbia capito come devi fare. Quello che ti manca è capire che ci vuole
tempo e pazienza. Molto tempo e molta pazienza. Con gli alunni veramente
difficili di solito ci vogliono anni e, soprattutto, spesso non si riesce a
gestirli perché non è soltanto una questione di educazione: hanno atteggiamenti
che derivano da problemi psicologici, quando non psichiatrici, e se un alunno è
psicotico, per esempio, (certificato o, più spesso, non certificato) non puoi
farcela. A volte ti riesce e a volte no, dipende dalla giornata e dal momento.
Magari a casa, al mattino, ha avuto uno scontro con la mamma e arriva a scuola
già destabilizzato. Devi imparare a
distinguere fra un maleducato e uno che ha problemi di autocontrollo, di
gestione della rabbia, e di disturbi patologici, che lui stesso non riesce a
gestire e per i quali occorrerebbe un supporto psicologico o psichiatrico.
Con un ragazzo semplicemente
maleducato, cioè male educato, esigi che impari presto a comportarsi
civilmente. Gli spieghi quello che è giusto fare, qual è il comportamento
corretto e perché (se è stato male educato non lo sa) e poi esigi che si
adegui.
Ma se sai che un ragazzo ha
alle spalle una vita difficile, non è questo il modo giusto per ottenere
qualcosa.
Se un ragazzo che ha un
passato di abusi, di violenza e di abbandono, comincia a urlare in classe o nel
corridoio della scuola; se scappa dalla classe; se picchia senza motivo; se ostenta
menefreghismo e aggressività – per esempio urlandoti frasi come “mettimi la
nota, chissenefrega!” non è certo guardandolo male o mettendogli una nota sul
registro che potrai fargli cambiare atteggiamento. Se reagisce con rabbia e aggressività per
qualsiasi parola che a lui sembra – a torto – offensiva, è perché probabilmente
viene trattato così a casa o per la strada. Se un ragazzo ha un comportamento
assurdo e reazioni sproporzionate è perché qualcuno – fuori dalla scuola- tiene
con lui un comportamento assurdo e ha reazioni sproporzionate. Se un ragazzo,
quando perde le staffe, urla frasi che ti ricordano le frasi di una adulto
violento, pensa che ci sono buone probabilità che stia ripetendo le frasi che
urlano a lui, e che stia restituendo il male che gli viene fatto.
La difficoltà consiste nel
saper distinguere un comportamento per il quale occorre rimproverare,
comunicare disapprovazione con lo sguardo, o anche lanciare un urlo come quello
che fai tu quando dici “Ma la pianti?!!”, da un comportamento che esprime
grande sofferenza, dolore, ribellione verso la vita. In quel caso, l’unica
speranza è quella di dare al ragazzo molta dolcezza, disponibilità, pazienza.
Bisogna fargli capire, con l’esempio, che esistono adulti equilibrati,
affettuosi, gentili, calmi, disponibili. È molto difficile conquistare la
fiducia di chi è stato scottato. Ma ci si può riuscire.
Questo significa – come
qualcuno starà semplicisticamente pensando mentre legge – che sono una
sostenitrice del “buonismo”? (tra l’altro, che parola antipatica!).
Assolutamente no. Bisogna essere fermissimi. Ma parlargli fuori dalla classe,
spiegargli che cosa vogliamo da lui, comunicargli – anche dicendoglielo
esplicitamente – che ci interessa, che teniamo a lui e vogliamo che sia felice.
Dobbiamo spiegargli molto bene che il suo comportamento non lo renderà felice,
e, anzi, gli procurerà un sacco di guai, nella Scuola e nella vita. Per capirci,
bisogna parlargli con il tono pacato e dolce che si usa con un mastino che
temiamo possa aggredirci e al quale ripetiamo “Buono…”, perché intuiamo che un
atteggiamento aggressivo avrà una risposta ancora più aggressiva. Quando
quell’alunno non sta alle regole bisogna rimproverarlo, ma senza mai fargli
perdere la faccia, altrimenti bisognerà ricominciare tutto da capo.
I ragazzi difficili
richiedono il massimo da noi, specialmente perché assorbono molte delle nostre
energie dal punto di vista emotivo e perché ci rendono difficilissima la
lezione. E perché con loro, più che con gli altri, non possiamo permetterci di sbagliare.
Un consiglio che ti do
senz’altro, perché è determinante, è quello di parlare ai suoi compagni di
classe quando lui non c’è. Devono capire che se non gli metti una nota sul
registro o sul diario, se decidi di mandarlo a fare le fotocopie o se gli
permetti di andare ai servizi più spesso di quanto fai con loro, è perché è un
ragazzo che ha difficoltà a comportarsi correttamente e tu lo stai aiutando.
Spiega bene che anche loro devono avere pazienza. Chiedi se secondo loro è
giusto aiutare chi ha più difficoltà o chi si comporta già bene. Chiedi se
trovano giusto aiutarlo o se invece pensano che – semplicemente - si debba
lasciarlo perdere, sospendendolo o bocciandolo. È molto importate che si
convincano della necessità di aiutarlo. E comunque spiega loro che tu non permetterai
che loro rovinino il lavoro che stai facendo per aiutarlo. Non permetterai che
loro ridano e neanche che sorridano quando lui fa delle battute fuori luogo, o
maleducate, perché ogni volta che lo fanno, lo incoraggiano a continuare a
comportarsi male. E precisa bene che se lo faranno tu li giudicherai, per
questo, come persone poco mature. Perché la maturità non significa fumare o
bere, ma anche rendersi conto dei problemi e cercare di risolverli. Infine fai
capire che il comportamento del loro compagno influisce anche sulla loro vita,
perché se loro ridono, tutta la classe perde tempo e nessuno impara. Se non si
impara, poi non si va avanti con il programma, non si riceve una buona preparazione
e in futuro sarà più difficile trovare lavoro. Quindi si tratta di un problema
di tutti, e tutti – insegnanti e alunni – devono aiutarlo.
Un’altra riflessione da fare:
molto spesso capita che ci siano colleghi che pensano solo a zittire, e a
punire i ragazzi difficili, convinti che “anche gli altri alunni hanno diritto
di seguire correttamente la lezione!” e pensano che l’unica soluzione sia
quella di sospenderlo per farlo stare a casa il più possibile, “fuori dalle
scatole”. O trovano come soluzione quella di mandarlo fuori dalla classe, come
ha fatto la tua collega. “Nel primo mese e mezzo di lezione è andato abbastanza
bene, abbiamo cominciato a lavorare, collaboravano tutti, anche quelli più
difficili”, dici. Il motivo per cui i tuoi ragazzi difficili, dopo il primo
periodo “hanno buttato la maschera” consiste nel fatto che all’inizio noi
insegnanti stiamo tutti attenti a studiare i ragazzi. Poi la rabbia ha il
sopravvento e qualcuno comincia ad aggredire il “disturbatore di turno”, provocando
le sue reazioni e buttandogli giù la maschera. E un alunno già molte volte
ferito reagisce subito, difendendosi con le unghie e con i denti a quella che
considera un’aggressione. E, come ho molte volte già detto, una volta che viene
fatta perdere la faccia a un alunno difficile, tutto diventa enormemente più
difficile. Per tutti, anche per te che sei stata attenta, perché non si fida
più di nessuno.
È indispensabile, quindi,
convincere i colleghi, oltre che i compagni di classe che l’idea che sia giusto
“sacrificarne uno per salvare gli altri” non deve valere. I ragazzi difficili sono
persone, zavorra da sganciare per viaggiare più snelli.
Detto questo, manca l’ultima
importantissima cosa da fare. Se abbiamo uno o più alunni veramente difficili
dobbiamo fare di tutto perché vengano aiutati, perché, se sospettiamo che siano
vittime di violenza, vengano presi in carico dagli assistenti sociali; perché il
Comune, l’Asl e la scuola riservino per loro delle risorse per fornire un
supporto agli insegnanti e a lui.