Il
25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza
contro le donne. Si pensa soprattutto alle donne uccise e a quelle picchiate.
Ma ci sono anche tutte quelle donne che non vengono picchiate e non vengono
uccise, ma che vivono nella paura che “lui” si arrabbi e che le aggredisca con
gli insulti e con le minacce. “Lui”, se si arrabbia, le annienta
psicologicamente, facendole sentire inadeguate, “sbagliate”, incapaci. Le donne
vittime di un uomo padrone sono condannate a una vita infelice. A meno che non
imparino a ribellarsi. Ma per ribellarsi hanno bisogno di due cose: 1.
Diventare consapevoli del fatto che non è vero che hanno loro la colpa delle
urla e delle minacce del marito; 2. Essere aiutate.
Però
è molto difficile che queste due cose si realizzino perché anni di “non sei
capace di fare nulla!”, “sei una cretina!”, “non sai neanche educare i figli”,
“ormai sei diventata grassa”, “e vestiti bene! guarda come sono le altre
donne!”, “sei solo una spendacciona!”, “io mi sacrifico e guarda tu come mi
ripaghi!” sviluppano nella donna forti sensi di colpa e rendono impossibile
ribellarsi alla situazione. Bisogna che qualcuno la aiuti, anche se la donna di
un uomo padrone di solito non frequenta amiche, perché lui non glielo permette.
Ma
che cosa si può fare, allora?
Possiamo
fare qualcosa tutte noi: aiutiamo le nostre amiche a rendersi conto del fatto
che valgono, che non devono pensare che “meritano” le urla. Facciamo sentire
che non sono sole. Convinciamole ad andare da uno psicologo. O da un avvocato.
Ma
quello che possiamo fare davvero è prevenire queste situazioni.
La
lotta alla violenza sulla donna comincia nelle case e nelle scuole, quando i
bambini sono piccoli.
Voi,
genitori di bambini piccoli, e noi, insegnanti di bambini e ragazzi, dobbiamo
cogliere ogni occasione per spiegare che non si deve picchiare nessuno e che
quelli che lo fanno verranno disapprovati da tutti. Mettiamolo noi, questo
senso di colpa, perché non è vero che i sensi di colpa non devono esistere. Esiste
un senso di colpa “giusto”, che è quello che ci dice che stiamo sbagliando e
che il nostro comportamento non è accettato dalla società. Un tempo i bambini
venivano educati a forza di sensi di colpa ed erano condannati a una vita di
ansia. Ci si è ribellati a questo e la conseguenza è, oggi, la quasi assenza di
sensi di colpa dei bambini e dei ragazzi. Tutti noi – genitori e insegnanti-
abbiamo esperienza di bambini e ragazzi che trovano “normali” comportamenti per
i quali dovrebbero provare vergogna (“che cosa ho fatto? Stavamo scherzando...”)
Ecco:
rendiamoci conto del fatto che ci sono comportamenti che sono sbagliati,
inaccettabili per un vivere civile. Bisogna insegnare ai bambini che ci sono
delle regole di comportamento, nella società, e che la violazione di queste
regole li deve fare sentire in colpa. Non si prende in giro, non si umilia, non
offende, non si picchia, non si odia, non ci approfitta di chi è più debole,
non si ride delle disgrazie altrui, non si lascia solo chi ha bisogno di aiuto,
non si evitano le responsabilità, non si mente, non si imbroglia, e via
dicendo.
Contemporaneamente,
quando educhiamo, dobbiamo essere consapevoli del fatto che non possiamo
educare (come facevano un tempo le madri e le nonne) a forza di sensi di colpa,
perché ci sono dei sensi di colpa “cattivi”, che possono essere creati da
errori educativi e che vanno assolutamente combattuti: se non ubbidisci la
mamma piange, se ti comporti male non ti voglio più bene, se ti lasci picchiare
sei un buono a nulla, se continui a comportarti male a scuola mi farai morire
di crepacuore, se non hai la ragazza non sei un vero uomo, se hai delle
esperienze sessuali sei immorale, se sei omosessuale sei un pervertito, sei
malato, fai schifo.
Alla
mia generazione sono stati instillati molti sensi di colpa cattivi, soprattutto
per quanto riguarda la sfera sessuale. Ma ci ripetevano anche “La donna non si
picchia neanche con un fiore”, “guai a picchiare uno con gli occhiali!”, “se
picchi una donna sei un violento e un vigliacco”, “se porti via anche solo una
penna che non è tua sei un ladro!”. E ci ripetevano anche moltissimi “Devi!”.
Direi
che è il momento di darci da fare davvero a educare i figli e gli alunni alla
non violenza. Perché, anche se si può credere che nelle case e nelle cose
questo venga già fatto, se analizzate bene non lo facciamo con impegno, perché
consideriamo ovvi certi concetti. Il rispetto e la non violenza non sono
innati: bisogna insegnarli. Credo che sia più vicino allo stato di natura prendere
quello che si vuole con la forza e con la furbizia.
I comportamenti antisociali
si modificano solo con l’educazione. La violenza contro le donne si combatte a casa e a scuola.
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