Leda mi scrive:
“Gentile professoressa,
sono disperata. Ho cominciato ad insegnare
inglese nelle scuole primarie 6 anni fa perché ho sempre pensato che quello era
il mio lavoro, me lo sentivo. Ma il giovedì pomeriggio é una catastrofe.
Da tre anni insegno in una classe a tempo pieno
che mi rende la vita un inferno. Li ho fin dalla prima, e sempre di pomeriggio.
In questa classe c'é un bambino con una diagnosi di oppositivo-provocatorio,
più altri bambini con problemi abbastanza importanti, io direi da psichiatria.
Pensi che é tutto l'anno che i bidelli sostengono che alcuni di loro non
possono continuare a stare insieme, e lo sanno perché talvolta c'é bisogno di
contenerli e si vedono costretti ad intervenire.
Questo pomeriggio, ad esempio, il bambino con
diagnosi (Tommaso) ha preso dal cassetto della cattedra le figurine che la
maestra di matematica aveva sequestrato ad un altro bambino (Stefano). Questi,
che é figlio di una ragazza madre e vive con la mamma e la nonna, e ha reazioni
isteriche, si é messo a piangere come un disperato temendo che non avrebbe più
rivisto le figurine. Tommaso ha cominciato a gridare come un matto che le
figurine erano sue, sembrava che qualcuno lo stesse scuoiando vivo,
Stefano é corso fuori dall'aula piangendo (ma per fortuna si é fermato in
corridoio, non é scappato dalla scuola come qualche mese fa, che é stato
bloccato da una bidella mentre, come un fulmine, scavalcava la ringhiera). Io
avevo suggerito a Stefano di parlarne il giorno seguente con l'insegnante che
aveva sequestrato le figurine ma, giustamente, lui aveva paura di non rivederle
più. Alla fine ho costretto Tommaso a tirare fuori le figurine dalla tasca (non
ne voleva sapere!), i compagni hanno confermato che erano di Stefano, così
gliele ha restituite, ma ha cominciato ad urlare nuovamente contro Stefano
perché secondo lui gli aveva rubato una figurina (che invece Stefano sosteneva
gli fosse stata regalata). Voleva mettergli le mani addosso, e mentre il
bidello lo bloccava, io ho accompagnato gli altri bambini all'uscita perché
intanto era suonata la campanella, poi la lite é continuata in strada finché
non é riuscito ad ottenere la carta.
Queste sono le mie lezioni di inglese, non dico
sempre, ma spesso.
E non sono gli unici due casi di bambini con
problemi, purtroppo. Le altri insegnanti, pur sostenendo di non poterne più,
non hanno minimante i miei problemi. Due mesi fa hanno mandato Tommaso dal
preside con i genitori, ma non é servito a niente. L'insegnante di italiano
é quella che si lamenta di più, mentre quella di matematica riesce
persino a fare lezione con la porta aperta. E' un pezzo di ghiaccio, é
inavvicinabile sia dai bambini che dai genitori. Parlando con una mamma, a sua
volta maestra, mi diceva che se sua figlia esce continuamente dal posto e
viene alla cattedra a parlarmi é perché sente la possibilità di un pò di
confidenza, cosa che le é negata nelle altre ore. La stessa cosa mi dicevano
ieri altre due maestre parlando delle mie colleghe e sostenendo che i bambini
sono così terrorizzati che non appena vedono la via di fuga ne approfittano.
Quando mi vedono nei corridoi molti mi corrono incontro, mi chiamano, mi
salutano. E' bello, ma poi le pago tutte. Ovviamente Tommaso é il
burattino della classe, fa ridere i compagni, parla a loro mentre la maestra
sta spiegando, se qualcuno lo guarda storto (e qualcuno lo fa appositamente),
gli si lancia contro, lo prende per il collo e gli fa male, si sposta
continuamente, lancia oggetti, non fa niente di quello che gli chiedi,
stuzzica e disturba in continuazione. A parte qualcuno, non sono ancora
riuscita a far leva sul resto della classe perché lo isolino (cosa invece che é
riuscita all'insegnante di italiano).
Sono veramente stanca, non so se l'anno prossimo
tornerò in questa scuola, ma non posso pensare di poter resistere un anno
ancora.
La mia domanda é: non voglio essere il pezzo di
ghiaccio, ma come posso essere sufficientemente cordiale senza che si verifichi
tutto questo? Ho paura che ormai la situazione sia compromessa, purtroppo...
Grazie per l'attenzione. Cordiali saluti, Leda”
Cara Leda, capisco benissimo le tue difficoltà.
Quella che descrivi (un bambino con disturbo di oppositivo-provocatorio, altri
bambini con problemi comportamentali, reazioni isteriche, urla, litigi,
provocazioni, pianti, fughe dalla classe) è davvero una situazione molto
difficile. Si può affrontare? Come affrontarla? C’è da precisare il fatto che
se una maestra, o una insegnante ha poche ore, certo la situazione è ancora più
difficile. È vero che chi sta tante ore in una classe così si stressa molto, ma
almeno ha la speranza di fare delle
prove e di trovare un sistema per imparare a gestirla. Dunque che cosa fare?
Lasciarli fare? Chiacchierare? Ridere con loro? Essere “pezzi di ghiaccio”?
Cercare di intimorirli o di “terrorizzarli”?
Dici “Quando mi vedono nei corridoi molti mi
corrono incontro, mi chiamano, mi salutano”. Cara Leda, non so se è sempre
segno di stima un atteggiamento come questo. Perché devono correrti incontro,
chiamarti, salutarti, magari a gran voce? Conosco insegnanti che non riescono a
fare lezione a causa del caos che regna sovrano, ai quali i ragazzi mancano di
rispetto spesso e volentieri, ma che vengono accolti con gridolini e saluti a gran
voce quando entrano. Ma i ragazzi poi dichiarano che non li rispettano.
Se quando entro in classe qualche alunno mi
accoglie con esclamazioni di giubilo gli dico “Smettila di fare della scena!
Non siamo allo stadio. Non c’è bisogno di urlare per salutarmi”. Perché vedi,
Leda, non c’è bisogno che gli alunni ti corrano incontro, per vedere se ti
apprezzano o no. L’apprezzamento io lo vedo quando stanno attenti alla lezione,
quando mi salutano con voce calma, senza corrermi incontro e senza saltare
intorno a me. Se mi salutano in modo plateale stanno già facendo confusione.
Ogni insegnante, con l’esperienza, trova qualche
“strategia di sopravvivenza” nelle classi difficili. La freddezza è una di
queste. La freddezza è molto più efficace delle urla, se è un fatto temporaneo.
Bisogna vedere, però, che cosa intendi con “freddezza”. L’insegnante dovrebbe
essere “caldo”? Affettuoso? Allegro? Spiritoso? Non lo so. Dipende. So, però,
che non deve essere “amicone”. Può essere “freddo”, se questa è una fase per
prendere in mano le redini della situazione. ”Freddo”, nel senso di non dare
confidenza, non certo nel senso di essere distaccato, di mostrare insofferenza o addirittura disprezzo.
L’importante è che si tratti di una falsa
freddezza, che sia recitazione e non sostanza. Perché gli alunni, di tutte le
età, devono percepire che li accetti, che li capisci, che li vuoi aiutare.
Anche se appari fredda, anche se li rimproveri, anche se non concedi
confidenza. La confidenza (che però non deve mai essere troppa, perché tu non
sei un’amica né un familiare) deve venire dopo che l’alunno ha capito qual è la
sua posizione e qual è la tua. Il rapporto fra insegnante e alunno, come ho già
detto, deve essere asimmetrico. Tu sopra, che insegni, lui sotto, che impara.
La mamma, anche lei maestra, che ti dice “che se
sua figlia esce continuamente dal posto e viene alla cattedra a parlarti è
perché sente la possibilità di un pò di confidenza, cosa che le é negata nelle
altre ore”, secondo me, sta solo giustificando la figlia. Così, mi sembra che
facciano le altre due che sostengono che “i bambini sono così terrorizzati che
non appena vedono la via di fuga ne approfittano.”
Le maestre non devono terrorizzare, né
giustificare i bambini (figli o alunni che siano) sostenendo che devono avere
confidenza con la maestra.
Questo, in
generale. Nel caso specifico dell’alunno al quale è stato diagnosticato un
disturbo oppositivo provocatorio, si tratta un caso a sé, molto difficile da gestire.
Il bambino con disturbo oppositivo provocatorio è un bambino per il quale ci
vorrebbero interventi specialistici, come quelli di uno psicoterapeuta, o un
insegnante proprio per lui, che lo aiutasse a gestire le sue difficoltà di
relazione, in classe. È un bambino che sfida continuamente l’insegnante, non
rispetta le regole e lo dichiara, non
riesce a farsi degli amici perché litiga con tutti, provoca, fa i dispetti, è
aggressivo, è collerico, si vendica, è intollerante. Di fronte ad atteggiamenti
di questo tipo è davvero difficile non perdere la calma e le staffe. Ma bisogna
riuscirci, pensando che il bambino non ha colpa di quello che fa. Si comporta in quel modo perché non riesce a gestire se stesso.
Tutti gli insegnanti devono concordare una linea
di comportamento. E i compagni di classe non devono essere spinti a isolarlo,
ma a capirlo e ad aiutarlo. In questo senso, si può spiegare loro, in un
momento in cui Tommaso non c’è, che non devono ridere di quello che fa, perché
quello che fa è sbagliato, ma non si accorge di farlo. Si può dire che Tommaso è
un bravo bambino, ma che non ha ancora imparato come ci si comporta, e perciò
bisogna avere pazienza e aiutarlo ad imparare. E aggiungi che non bisogna “guardarlo
storto”, e che se qualcuno lo farà appositamente, tu saprai che non vuole
aiutare Tommaso, e per questo lo rimprovererai.
Senti, cara Leda, pensaci bene, prima di
rinunciare a tornare in quella scuola. Se riesci ad ottenere dei successi,
avrai arricchito molto il tuo bagaglio come insegnante. Ti servirà molto,
vedrai. Sono le situazioni difficili quelle che insegnano di più. Le situazioni
difficili, se riuscirai a superare questa, non ti spaventeranno più.
Spero di averti aiutato. Fammi sapere!