Ogni
volta che una donna viene uccisa - a calci e pugni, a coltellate, bruciata
viva - tutti inorridiamo, ma non succede nulla di concreto per fare in modo che
non accada più.
Sara, una
ragazza di ventidue anni, che scappa, urlando, sbracciandosi per chiedere
aiuto; le auto che la vedono ma non si fermano perché sembrava "solo"
una lite fra innamorati, e perché avevano paura di rimanere coinvolti; lui, Vincenzo, che
"la ama tanto", che non si dà pace perché lei non lo vuole più, e che
la insegue e non si muove a pietà per quella ragazza che urla terrorizzata, probabilmente
piange e lo implora, ma la cosparge di benzina, le dà fuoco, la vede bruciare
e non fa nulla, e se ne va.
È terribile
e doloroso anche solo immaginare che possa essere accaduta una cosa del genere.
Eppure è accaduta davvero.
Qualcosa
non funziona nella mente di certe persone. O qualcosa rimane latente come una
bomba a orologeria, ed esplode quando si tocca un tasto sbagliato. A volte
il tasto è un “no!”.
Alla base
della gelosia c’è un “no” o anche soltanto la paura di un “no”. Questa
incapacità di accettare un rifiuto è statisticamente superiore da parte di
certi uomini, pronti anche ad uccidere, per placare la rabbia feroce che si
impossessa di loro come una pazzia.
Per certi
uomini il sesso è possesso, e la donna è una proprietà, una preda che nessun
altro può toccare. Non sono molto diversi da come viene immaginato l’uomo
preistorico, come uno che catturava le donne che voleva con la clava, trascinandole
poi per i capelli. Un troglodita. Certi uomini sono ancora dei trogloditi.
Ci dev'essere
qualcosa che si può fare perché non ci siano più donne che vengono picchiate o
uccise perché “hanno risposto male”, o “hanno tradito”. Personalmente credo che
si possa fare molto. Ma bisogna cominciare a insegnare che non si uccide chi
non ci vuole più, da quando i bambini sono piccoli piccoli. Sia i bambini che
le bambine. E poi continuare a insistere, finché non sono grandi.
Naturalmente
questo è solo un post e non posso scrivere tutto quello che vorrei, ma faccio
qualche riflessione su certi concetti che si insegnano a volte, involontariamente, e portano a credere che non si possa sopportare un rifiuto.
Prima di
tutto, basta con “sei una signorina”, “sei un ometto!”: ma che cosa significa?
Una signorina non urla? Un uomo non piange? E perché?
Basta con
il "rosa da femminuccia" e "l’azzurro da maschietto". Ma perché? Che cos’ha il rosa
che l’azzurro non ha? Da domani mettete il rosa ai maschi e l'azzurro alle femmine, indifferentemente. Così, in segno di protesta.
Basta con
“rifai il letto di tuo fratello che lui non lo fa”. Perché? Neppure alle donne
piace rifare il letto, se va per questo.
Basta con
“No, non ti compero la bambola perché è da femmina! Non sarai
mica finocchio?”. Perché? Gli uomini non dovranno prendersi cura dei bambini, quando saranno padri?
Basta con
questa parola, “finocchio”; non deve essere più pronunciata né seriamente né
nelle barzellette né nelle gag in televisione. Non sono parole che devono far
ridere. E non vale dirle e poi specificare "ma io scherzo". Che scherzo è?
Basta con
“ma che cosa fai? Ti metti a pettinare le bambole come una femmina?”. Perché, i
parrucchieri non sono spessissimo uomini?
Basta con
“ma ti vai a mettere con quella puttana? Ma non la vedi che va con tutti? Vuoi essere
un cornuto?”. Basta con questi concetti e anche con queste parole, “cornuto” e “puttana”. Né
seriamente né nelle barzellette né nelle gag in televisione. Neppure questa è
una parola che deve far ridere. Sono parole che nascondono il concetto “la
donna che va con un altro è una puttana” e “tu, se non reagisci, sei un cornuto”.
Basta, in
generale, con “questo è da femmina” e “questo è da maschio”. Ma che cosa
significa? Siamo ancora ai tempi in cui gli uomini guidavano il camion e le
donne facevano la sarta?
Basta con
“dai, facciamo la lotta, così ti fai i muscoli e diventi un ometto! Sembri una femminuccia!”.
Perché? La forza è “da uomini veri” e la debolezza è “da femmine”?
Poi:
basta con “se mi toccano mia madre non ci vedo più”; “lo devo picchiare perché
ha detto che la mia ragazza…”. Qualsiasi cosa abbiano detto della madre o della
ragazza non è ammissibile la violenza, neanche verbale. Non siamo più ai tempi in cui la Legge
giustificava il delitto d’onore.
Basta con
“io questo lo gonfio di botte”, “sono buono e caro ma se mi arrabbio lo mando
all’ospedale”. La violenza verbale può portare a quella fisica.
Basta con
tutti i servizi sull'uomo “maschio”, sui programmi televisivi in cui uomini
scelgono una donna fra tante dopo aver valutato la “mercanzia” che ognuna offre; basta
con i programmi che ricostruiscono con tanto di attori, storie di tradimenti e di
femminicidi come se fossero spettacoli da guardare seduti sul divano mangiando
popcorn.
Ma soprattutto,
basta assolutamente dire sempre “sì” ai figli, consolarli per ogni minima
perdita.
Ognuno di
noi deve fare i conti con i “no” e con le sconfitte della vita e bisogna che
insegniamo ai nostri figli come affrontarli.
Smettiamo
di ricomperare subito il giocattolo che si è rotto, la palla che è andata
perduta. Si dice “Pazienza, può capitare”.
Smettiamo
di intervenire per mettere pace fra nostra figlia e la sua amica. Nostra figlia deve imparare - da sola - che le relazioni si costruiscono e a volte finiscono.
Smettiamo
di criticare l’amico che non ha invitato nostro figlio alla cena. Può capitare
anche di non essere scelti, e dobbiamo insegnarglielo.
Smettiamo
di parlare dei “fidanzatini” di quindici anni, come se fossero già relazioni
che portano a matrimoni o convivenze. E smettiamo di fare una tragedia quando i
fidanzatini si lasciano. Lasciarsi è normale, anche se può essere molto
doloroso. Si sta insieme per vedere se ci si ama, se si può andare d’accordo,
se si hanno mentalità e caratteri compatibili. Se non va bene ci si lascia. O
uno dei due lascia l’altro. È normale.
Ed è
normale perdere le persone che si amano. Fa parte della vita.
Ed è questo
che va insegnato ai nostri figli. Prima, molto prima, di insegnare che chi ti
picchia non ti ama, che chi ti considera una proprietà non ti ama. Prima di
insegnare che se il tuo uomo ti picchia o ti minaccia, non ti ama, che devi lasciarlo
immediatamente, che devi raccontarlo a tutti i tuoi cari, e denunciarlo.
I rapporti
che finiscono in violenza, in tragedia sono il frutto di errori. Alcuni sono
evidenti: evitiamo almeno quelli.
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