Voglio assolutamente andare in pensione quando è ora.
Prima di diventare vecchia.
Prima di perdere la dignità.
Prima di fare danni.
Voglio andare in pensione. Ma questo non vuol dire che non mi piaccia il lavoro che faccio. O che non ho voglia di lavorare. No. E se osate anche solo pensarlo “vi si sfaccia la casa , la malattia v’impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi”, per dirla con Primo Levi.
Voglio andare in pensione quando è ora, perché sono stanca. Mi piace insegnare, ma sono stanca.
Sognavo di riprendermi la mia vita a sessant’anni. O prima.
Ho lavorato con il caldo e con il freddo. In mezzo al rumore assordante dell’adolescenza che sboccia. In mezzo a ragazzi bisognosi della mia attenzione costante. E l’ho fatto e lo faccio meglio che posso. Ma mi stanco. Nel fisico e nella mente. I ragazzi ti succhiano energie, se colgono che li vuoi aiutare. E tu li aiuti. Per anni e anni.
Ho dovuto cambiare ogni volta che a qualcuno è venuto in mente di cambiare: mi sono adeguata, anche se non ero d’accordo.
Ho dovuto affrontare le stupidaggini di tutti gli incompetenti che ho incontrato nella mia carriera, e sono stata costretta a eseguire ordini che non condividevo, contemporaneamente cercando di ovviare con grande fatica agli errori di chi li impartiva.
Sono stata tappata in casa, a una scrivania, per tutta la vita. Prima per studiare e poi per insegnare. E sono fortunata, perché c’è chi sta peggio di me. Il lavoratore che tutti i giorni entra alle otto ed esce alla sera, quando vive? E anche lui dovrà invecchiare al lavoro.
E quando saremo vecchi, spremuti, ci lascerannno andare, come rilasciano un carcerato che ha vissuto in prigione per quarantatré anni e che quasi quasi non vuole più uscire perché non sa più vivere libero.
Se avessimo ucciso, avremmo riavuto prima la nostra libertà. E non mi dite che esagero.
E poi: come si fa a lavorare fino a sessantasette anni? C’è qualche lavoro che si può fare a sessantasette anni. Il politico, per esempio.
Ma ci sono, oggi, tantissimi lavori che non si possono fare da vecchi. Non si può fare il calciatore fino a sessantasette anni. Ma neanche l’insegnante. Fare l’insegnante è difficile. È essenziale non perdere la dignità. Ma se ti fa cilecca la memoria la perdi. Se non hai la forza di rimproverarli quando serve, la perdi. Se ti scappa un bisognino e non riesci a trattenerlo perché i problemi alla prostata non vengono a trent’anni, perdi la dignità. Se sei tanto stanca da addormentarti in cattedra , la perdi, la dignità.
Se sei pieno di dolori e di acciacchi e non puoi scrivere, non puoi accompagnare i ragazzi in gita, ti ammali continuamente delle malattie degli anziani, non puoi più essere un bravo insegnante.
I ragazzi hanno diritto di avere insegnanti giovani e pieni di energie.
Non si può fare l'impiegato, e tenersi aggiornati con i programmi del computer; non si può fare l'infermiere e non sbagliare a distribuire le medicine, non si può fare il camionista e guidare dalla mattina alla sera , non si può fare il bidello e salire sulle scale. E non si possono più fare tantissimi lavori. O meglio, si possono fare se a più di sessant'anni sei ancora in efficienza. Ma gli altri?
Ma a loro – quelli che decidono – non interessa niente se non potremo più essere efficienti. Basta che ci sediamo sulle sedie a fingere di lavorare.
Ma se guidassi un aereo di linea (della loro compagnia e o di quella dei loro amici) non mi farebbero pilotare fino a sessantasette anni, perché se l’aereo cade i danni si vedono bene.
Se insegno e non sono più in grado di gestire la classe, di ricordare, di spiegare bene, gli alunni non precipitano da migliaia di metri per i miei errori, e perciò a chi importa? Sicuramente loro mandano in figli in una scuola privata piena di insegnanti giovani.
(continua nel post 267°)