Leggo che è morto un disabile nel carcere di Sanremo. Età mentale 3 anni. Peso: 1 quintale e 86 chili. Leggo ancora: 27 anni, avrebbe terminato di scontare la pena il 31 dicembre del 2011, e, soprattutto: era invalido al 100%, affetto da ritardo mentale, epilettico, semiparalizzato, incapace di parlare correttamente. Arrestato a 19 anni, per il furto di 3 palloni di cuoio in una palestra. Poi piccoli furti, ecc.
500 i disabili gravi nelle carceri italiane. 171 i detenuti morti nel 2010, di cui 65 per suicidio.
Nelle carceri italiane si danno i numeri: 500, 186, 27, 31, 20, 11, 19, 3, 171, 65. Ultimamente ci si suicida a tutto spiano, nelle carceri. Bisognerebbe dedicare un po' più di tempo a riflettere su queste notizie. Interrogarci. Indignarci.
Ma, insomma, che cosa ci faceva rinchiuso in una cella un ragazzo affetto da ritardo mentale, semiparalizzato, incapace di muovere le mani, di parlare correttamente, e di controllare gli stimoli fisiologici? Era colpevole, qualunque cosa avesse fatto?
Un bimbo di tre anni che ruba tre palloni viene rinchiuso in una cella insieme agli adulti. Ma che bella forza! Ha rubato? Va sbattuto in galera! Bisogna essere severissimi con i delinquenti, si sa. Implacabili, ma solo con i poveracci.
Leggo, infatti, anche di gente che ruba milioni, intrattiene rapporti d'affari con mafiosi, organizza grosse truffe, corrompe, e rimane fuori, sorridente e beffardo, perché paga squadre di avvocati che lo tirano fuori.
È il mondo alla rovescia. Almeno secondo la logica della giustizia. In questo nostro mondo italiano - alla rovescia, appunto- il colpevole è fuori, spesso addirittura riverito, e il non colpevole (in questo caso, sicuramente, perché di età mentale di tre anni) è sbattuto in prigione. E ci muore, a ventisette anni.
Povero Fernando, così grasso, così bambino e così sfortunato. Ha tolto il disturbo. Domani nessuno se lo ricorderà più. "Che cosa è successo?", qualcuno dirà. Per parafrasare Pirandello. "Niente, nella cella 45 è morto un tale."