Il tempo dell’italiano
Più ore di grammatica, dettati e analisi del testo: anche no, sostiene la «prof-tata» Isabella Milani, che boccia l’appello dei 600 accademici sugli erroracci degli studenti. Perché il punto è un altro.
La scuola di un tempo insegnava l’ortografia in modo militare, e l’appello dei 600 docenti sembra rimpiangerla. È qui il problema?
«Non è questione di metodi. Ma di tempo. I prof devono affrontare più interferenze, dall’ingerenza dei genitori al maggior numero di ragazzi con problemi disciplinari gravi, di cui si occupano prof- secondini».
Nell’appello, gli accademici chiedono «una scuola più esigente», più esercizi, dettati. Ma l’Italia è già in testa, per esempio, alle classifiche dei Paesi dove si danno più compiti. Quindi non servono?
«Gli studenti in Italia hanno troppi compiti, è vero – ma anche tante materie. Dove si prendono più ore per l’italiano se le giornate sono già così piene? In più, anche la politica fa il suo».
In che modo?
«Ogni nuovo ministro introduce una riforma con burocrazie sempre nuove, da imparare in appositi corsi: relazioni che nessuno leggerà, e così ogni giorno se ne vanno minuti e minuti. Infatti i dettati, o le letture “colte’’ che l’appello chiede di reinserire nei programmi, non si fanno quasi più perché manca tempo. E perché abbiamo classi numerosissime, quando il numero massimo dovrebbe essere venti».
La presenza di più alunni stranieri incide?
«In realtà sono perlopiù studenti bravi, e quello che davvero non parla italiano è uno su tanti. Per questi pochi, comunque, la scuola dovrebbe avvalersi di un mediatore. E invece anche questo è in capo al prof di italiano. Che così fa da mediatore culturale, guardiano della disciplina, burocrate... Nessuna sorpresa che il tempo per i dettati non ci sia più».