Ci sono lettere, come queste,
alle quali vorrei rispondere subito e non mi riesce. Avrebbero bisogno di
pagine e pagine di risposta e allora rimando, mi riprometto di scrivere un
intero post e così passa il tempo. Ricevo diverse lettere come queste. Se
qualcuno non capisce perché insegnare è così difficile e che cosa significa “burnout” (“bruciarsi”,
provare un intenso stress legato al lavoro), può capirlo da queste lettere.
Tutti i lavori possono essere faticosi, faticosissimi, ma non molti portano al
burnout e alla disperazione. Chi non è insegnante paragona spesso il lavoro che
fa con quello che pensa che sia quello dell’insegnante e arriva alla conclusione
che sia ugualmente faticoso. Io credo di no. Credo che quella che può provare
un insegnante che non riesce a fare il suo lavoro sia disperazione e non
stanchezza. Disperazione e umiliazione. E non per mancanza di impegno. Proprio
perché insegnare può essere difficilissimo. Specialmente oggi in cui non
abbiamo più l’appoggio dei genitori. Anzi, spesso il nostro lavoro viene reso ancora
più difficile sia dall’assenza di regole
nell’educazione familiare che dall’iperprotezione dei genitori.
Scelgo due lettere fra quelle
degli insegnanti che mi hanno scritto negli ultimi mesi. Una ha 24 anni e
nessuna esperienza e l’altra ne ha 52 e vent’anni di esperienza. Non è
questione di età e non è questione di esperienza.
Leda mi scrive:
“Buongiorno Isabella,
sono davvero disperata, sono
al limite, sul fondo e non so a chi chiedere consiglio. Inizio dal principio. Ho
24 anni, a luglio mi sono laureata, ho trovato lavoro come maestra d'asilo e
poi, da un giorno all'altro, come prof. di lettere alle medie in un istituto
paritario. Ho subito accettato perché è da sempre quello che avrei voluto fare.
Con le lacrime agli occhi mi sono licenziata dall'asilo ed ho iniziato a
lavorare alle scuole medie, letteralmente da un giorno all'altro. Mi sono
rimboccata le maniche dal primo giorno: non volevo fallire. Ho sempre voluto
insegnare, ma non avrei mai immaginato che mi sarei trovata così male. Mi hanno
telefonato un sabato ed il lunedì ero già in cattedra: due classi di trenta
alunni alle medie. Ero partita con tanta buona volontà, ma spesso passo i
pomeriggi a piangere perché mi sento una fallita. Non ho problemi con le
spiegazioni, le attività, le domande, ma ho dei problemi a gestire le classi,
in particolare una. Il punto è che mi sento davvero lasciata in balia di me
stessa, un’inetta che non sa fare questo mestiere che ho sempre invece voluto
intraprendere. Ogni mattina mi sveglio scontenta e vado a scuola sperando nel
minore dei mali. A volte mi sento impotente e guardo con invidia i colleghi che
mi sembrano tutti più bravi di me. Non mi sento né adeguata, né all’altezza. Ai
colloqui i genitori mi dicono che i figli sono contenti del mio modo di
insegnare, ma allora non capisco perché non possano fare meno baccano. Ti giuro
che mi sforzo di rendere le lezioni appassionanti, di rispondere a tutti i loro
dubbi. Faccio fare ricerche che loro amano, sono riuscita a fare amare a molti
la storia, raccontandola in modo avvincente, hanno fatto miglioramenti in grammatica,
ma nel complesso sento di non stare andando per niente bene per via del loro
comportamento. Sono stanca, frustrata, insoddisfatta, infelice.
I ragazzi parlano, ridono e
si distraggono in continuazione, benché alcuni mi dicano che le mie lezioni
sono interessanti e belle. In una classe, poi, non studiano, non fanno i
compiti ed un’attività piacevole come la lettura di un libro diventa
impossibile. Certi genitori mi hanno detto che i ragazzi a casa sono contenti
della nuova insegnante di italiano, che spiega bene e che rende interessanti
storia e geografia. Sono sempre stata abituata a lavorare sodo e a cogliere i
frutti, sono sempre stata brava in tutto ciò che ho fatto e non accetto di non
essere in grado di tenere una classe.
Ho vergogna a stare con i
miei colleghi perché temo che loro sappiano della mia inettitudine e la preside
mi sta “con il fiato sul collo” perché forse pensa pure lei che io sia
incapace. Ho un carattere timido e riservato ma quando serve, mi trasformo in
un leone. In classe sono sempre in piedi, scrivo alla lavagna, faccio domande,
approfondimenti, faccio ragionare. Ma
non è abbastanza. Quando ho un’ora buca mi fermo fuori dalle porte per sentire
come i colleghi fanno lezione e non trovo significative differenze dalla mia,
però hanno di certo più silenzio. Pensi che dall’inizio dell’anno mi sarò
seduta in cattedra tre volte: sono sempre sull’attenti e la tensione mi sta
consumando. Sto lavorando sull'autorevolezza come c'è scritto sul suo libro. In
classe faccio così, ho una bella voce sicura e profonda, mi muovo tra i banchi,
cerco di trasmettere passione, se qualcuno non si comporta bene lo sgrido, se
necessario metto note. Ma non è abbastanza. Il punto è che in classe cerco di
essere rigida: ho detto quali sono le regole da rispettare, chi disturba riceve
una nota o un compito extra. Ma nulla serve a qualcosa.
Un’ora stanno buoni e l’ora
dopo è l’inferno. A volte i ragazzi parlano e schiamazzano; sento di essere
imperfetta, di non sapere sempre cosa fare, percepisco che a volte mi manca la
fermezza e la capacità di controllare tutto e spesso sento che la situazione mi
scivola dalle mani. L'altro giorno è entrata in classe un'ape e i ragazzi hanno
urlato. La preside mi riprende in continuazione perché dice che i ragazzi non
mi rispettano, ma su 10 lezioni 7 scorrono senza problemi e la preside è
magicamente presente solo in quelle dannate tre in cui i ragazzi sono stanchi.
Perché, tra l'altro, ho sempre le seste ore. I continui richiami della preside,
la parola "licenziamento" che serpeggia nei suoi rimproveri, mi
stanno consumando l'anima.
Al mattino, quando sono in
macchina, mi viene sempre da piangere perché non so cosa potrà accadere quel
giorno. Pensavo di aver realizzato il mio sogno, ma invece sto vivendo un
incubo. Mi stanno divorando.
Sono davvero stanca. Non ce
la faccio più. La prego, mi dia qualche consiglio.
Grazie di cuore e perdoni lo
sfogo. Leda"
Eleonora mi scrive:
“Buonasera.
Sono un'insegnante di
sostegno di scuola primaria. Ho 52 anni e venti anni di servizio. Quest'anno la
tragedia è iniziata il 20 settembre, quando un mio alunno HC di quarta , per
vendicarsi di un mio rimprovero, ha detto a suo padre che" lo avevo
strozzato". Famiglia disfunzionale, padre perennemente disoccupato,
violento, pazzo. Madre depressa con malattia psichiatrica. Il padre quindi è
venuto a scuola minacciandomi: non era la prima volta, né la prima volta che il
bambino inventava qualcosa, le prime settimane di ogni anno scolastico ha
sempre inventato che la collega o io lo picchiavamo (seguivo il bambino sin
dalla prima). Quest'anno ho dato un alto là, non ne potevo più, senza contare
che sua moglie per tutta l'estate mi aveva tormentata al telefono a tutte le
ore, dalla mattina presto alla sera tardi, otto dieci quindici volte al giorno
e tutti i giorni. Ero esasperata: il padre lo sapeva che non era vero, ma mi
sono sentita offesa e qualche giorno dopo quando l'ho incontrato fuori dalla
scuola e ha cercato di fermarmi mi sono rifiutata di parlare con lui e l'ho
invitato a prendere un appuntamento o a rivolgersi al dirigente. La reazione è
stata immediata: mi ha gridato dietro che mi avrebbe tolto il figlio e così ha
fatto. E' andato dalla dirigente chiedendole di togliermi dalla classe e ha
portato il bambino al servizio SMREE a parlare con la psicologa: qui il bambino
ha ripetuto la storia dello strozzamento e ha detto alla dottoressa che non
voleva più lavorare con me. E' iniziato l'inferno. In quella classe seguivo
anche un altro bambino, ho avuto tutti gli alunni e i genitori dalla mia parte,
la collega mi ha appoggiata ma non ho potuto fare altro che scegliere di
lasciare la continuità sulla classe e prendere altri casi. Tutto questo mentre
venivo insultata infangata e minacciata su facebook. Ho fatto molto per quel
bambino e per tutti i bambini che ho seguito sin dall'inizio della mia
carriera. Ho sempre studiato molto, mi sono sempre aggiornata e formata, non
avrei mai immaginato di finire in un incubo simile. Ho deciso di dimettermi.
Non so cosa farò, ma non ce la faccio più. Per gli insegnanti sono momenti bui:
troppe riforme capestro e troppe ingerenze sul lavoro. Troppi problemi di
mancanza di rispetto, gli alunni sono intrattabili, le famiglie impossibili, le
classi numerose. C'è troppa ignoranza e violenza, non si può continuare così.
Sono disperata, non riesco
più a lavorare. Eleonora”
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