Tempo
di scrutini. Un incubo, per gli insegnanti che devono decidere se promuovere o
bocciare, per i ragazzi che temono la bocciatura, e per i genitori di quei
ragazzi.
Ci
sono insegnanti che si pongono (e mi pongono) la domanda: “Come decidere nel
modo migliore se promuovere o bocciare”?
È
una questione molto difficile. Il mio ragionamento è il seguente: “promuovere”
significa “ammettere alla classe successiva” o “permettere che passi a ordini
di scuola più alti”; “bocciare” significa “non ammettere alla classe
successiva” o “non permettere che passi a ordini di scuola più alti”.
Sembra
ovvio? Non sempre lo è. Anzi, riflettere su questi significati è il modo per
decidere che cosa è giusto fare.
Prima
di tutto, c’è una grande differenza da considerare: quella fra Scuola
dell’obbligo e Scuola post-obbligo.
La
Scuola dell’obbligo, proprio perché è obbligatoria, dovrebbe contenere in sé
strumenti e possibilità per il recupero: individuazione delle abilità e delle
conoscenze effettivamente necessarie e utili per proseguire negli studi e/o per
entrare nel mondo del lavoro. Domanda: le capacità e le conoscenze necessarie sono
le stesse per chi vuole entrare al più presto nel mondo del lavoro, e per quelli
che scelgono di proseguire gli studi? Nella Scuola c'è effettivamente un dibattito serio su questo problema? (non parlatemi delle prove Invalsi, per favore!). Risposta: no.
Un
tempo questi due gruppi venivano divisi e molti ragazzi, dopo le
elementari o prima, venivano avviati al mondo del lavoro o a studi che miravano all’avviamento
al mondo del lavoro. Ma questa soluzione penalizzava fortemente chi non aveva
possibilità di studiare per motivi economici, e nel 1962 fu istituita la Scuola Media Unica,
obbligatoria e unica.
Non
vi annoio con tutta la storia dei vari cambiamenti, che sono stati tanti e che - ciascuno a suo modo - hanno sferrato qualche più o meno pesante badilata alla Scuola italiana.
Quello
che però mi preme far notare è questo: che cosa chiediamo ai ragazzi per promuoverli? Ecco il punto. Abbiamo le idee chiare su questo? Ai ragazzi chiediamo:
- che stiano
attenti (e se, per esempio siamo noi che spieghiamo male, o che non
sappiamo tenere la disciplina, o che siamo noiosi? che cosa dovrebbero fare? stare attenti comunque? lo faremmo noi? Lo facciamo, ai corsi noiosi?)
- che si comportino
bene (e se siamo noi che non sappiamo tenere la disciplina? Che cosa
dovrebbero fare? Autocontrollarsi? Stare zitti durante i tempi morti?
Come facciamo noi durante il collegio dei docenti, forse?)
- che non si
comportino male 1 (e se sono ragazzi con disturbi comportamentali, se sono
iperattivi, se sono figli di genitori che vivono di espedienti illegali? Se
a casa vengono maltrattati, picchiati, ignorati, trascurati o addirittura
violentati? Che cosa dovrebbero fare? Confidarsi non noi, che - anche noi - magari, li
maltrattiamo e li ignoriamo? Dovrebbero essere uguali ai ragazzi che vivono
in un ambiente sereno e protetto?)
- che non si
comportino male 2 (e se un alunno viene preso in giro dai compagni e alla fine
reagisce con le botte o gli insulti? Che cosa dovrebbe fare? Rivolgersi all’insegnante
e denunciare il fatto? E se l’insegnante dice “ma lascia perdere! Queste cose
aggiustatevele fra di voi! Sono sciocchezze!” oppure, se non fa nulla per
proteggerli?)
- che studino a
casa 1 (e se a casa non c’è nessuno, se i genitori sono semianalfabeti,
lontani mille miglia dallo studio e dalla cultura, chi li sprona? Chi li
controlla? E se sono i genitori stessi quelli che li impegnano a guardare
i fratellini o ad aiutare in casa o al lavoro? dove dovrebbero trovare la
volontà di studiare? Da noi, che diciamo loro per qualche ora alla
settimana “devi studiare”?)
- che studino a
casa 2 ( e se anche sono stati attenti alla spiegazione e non hanno capito
nulla, perché hanno obiettive difficoltà di apprendimento, e se non hanno “l’aiuto da casa”
come nei quiz televisivi, che cosa dovrebbero fare? Chiedere spiegazioni
all’insegnante? (lo diciamo tutti “dica a suo figlio che, se non ha capito, deve chiedere
spiegazioni in classe”). E se hanno un insegnante di quelli che li
rimprovera se chiede qualcosa? (“ma come fai a non aver
capito?! L’ho detto mille volte!”, oppure “evidentemente non sei stato
attento!” – e qui si ritorna al punto n° 1; o se viene preso in giro dai
compagni perché non capisce ?)
- che ottengano dei risultati ( e se sono affetti da disgrafia, discalculia, dislessia, disortografia? che cosa dovrebbero fare? autopunirsi? e noi? dovremmo punirli per questo? o promuoverli, seccati, magari dicendo "con la scusa della dislessia ci tocca promuoverli!"?)
Mi
capita spesso, nella scuola dell’obbligo, di sentire colleghi difendere a spada
tratta il dovere/diritto di bocciare chi non studia e chi “rompe le scatole”.
Secondo
me non hanno proprio riflettuto. Si vendicano per essere stati "disturbati", e puniscono i ragazzi per colpe
che non hanno. Dichiarano – solo sulla carta – di aver tentato il recupero
(come? Dicendo loro “devi studiare?” o dicendo loro “se ti comporti così sei un
cretino”? o mandando a chiamare i genitori? O mettendo delle note rabbiose sul
registro o sul diario?). Ma è vero che abbiamo fatto qualcosa per loro, onestamente parlando? La Scuola italiana, prevede, soprattutto oggi, qualcosa?
La
Scuola italiana valorizza davvero le capacità che ogni alunno ha? O solo
alcune, spesso perfettamente inutili? Per esempio, la Scuola, valorizza la capacità
di risolvere i problemi pratici (molto utile nel mondo del lavoro), che spesso
è molto più spiccata fra i ragazzi difficili?
Ritengo sbagliato paragonare un ragazzo ad un altro, perché nella Scuola dell'obbligo ognuno deve essere valutato per il percorso che ha fatto. In questo senso, non vale a nulla la frase spesso pronunciata da qualche insegnante in sede di scrutinio "allora se promuoviamo Tizio, dobbiamo, per giustizia, promuovere anche Caio...". Ma di quale giustizia si parla? Basterebbe, e sarebbe auspicabile, che tutti gli insegnanti spiegassero bene che cosa significa una bocciatura. Bisognerebbe che la promozione e la bocciatura fossero una cosa seria. Bisognerebbe che bocciare fosse una strategia per farli migliorare. Bisognerebbe che bocciassimo solo quando pensiamo che ripetere l'anno possa davvero essere utile al ragazzo. Bisognerebbe che la smettessimo di sventolare la carta della bocciatura davanti al naso di chi non studia, come se fosse una punizione. La bocciatura non deve essere vissuta come una punizione, come una vergogna e come una sconfitta. Ma continuerà ad essere sentita come tale (a volte con conseguenze drammatiche), finché ci sarà qualcuno che continuerà a gestire i ragazzi difficili minacciando "Fai pure così! Ridi, che poi rido io alla fine dell'anno! Continua a non studiare...Vedrai che ti boccio!".
E durante gli scrutini sarebbe bene che non si sentissero più frasi come "dovremmo fermarlo, ma poi finisce nell'altra seconda, che è già difficile..." o, peggio "via, via! è un rompiscatole! diamogli questa benedetta licenza così se ne va e non lo vediamo più".
Allora, personalmente, nella Scuola dell'obbligo ritengo utile bocciare solo i ragazzi che avrebbero avuto la possibilità di studiare (vedi punti 1-7) e non l’hanno sfruttata.
Per gli altri, ci vuole
la promozione (con tante scuse per non aver saputo fare nulla per aiutarli).